Il terremoto di Messina del 1908 non era prevedibile, ma la tragedia sì.
1. «Io fui svegliato dal terremoto, ma senza alcuna apprensione e, da principio, pareva che si trattasse d’uno dei soliti movimenti, ai quali la lunga dimora in Messina ci aveva abituati; anzi io cercava di mantenere tranquilli i miei a casa che si erano svegliati con me, e andavo ripetendo loro: state fermi, ora la scossa finirà. Ma pur troppo l’intensità del movimento andò sempre aumentando, dopo una brevissima sosta; e incominciarono a cadere alcuni muri e alcune colonnine verso ESE [est-sud-est], poi crollò la torre ottagona dell’Osservatorio, la quale cadde nel piano N [nord] 20° NE [nord-est]– S [sud] 20° SW [sud-ovest]. Una parte delle macerie cadde verso settentrione e una parte verso mezzodì; e il cappello della torre, costituito da un blocco di cemento armato, cadde a piombo sui muri che servivano di sostegno alla torre medesima. Per quanto ho potuto giudicare, la scossa durò in tutto circa 30 secondi. Non ho avvertito alcun fenomeno precursore del terremoto e, al momento della scossa, non ho osservato alcun fenomeno luminoso od elettrico; il cielo era coperto e piovigginoso.
Noi riuscimmo a metterci in salvo, la mia famiglia ed io, passando attraverso ad una finestra del piano terreno, senza gravi ferite; soltanto mia moglie, essendo stata colpita da un muro in rovina, aveva riportato delle contusioni e delle lacerazioni di una certa gravità. E restammo alcuni giorni ricoverati in un piccolo casotto di legno, destinato alle misure magnetiche e alle misure di geodesia. Accenno a queste circostanze perchè esse mi porgono l’occasione di dire che, stando in quel casotto, abbiamo sentito numerose repliche della scossa, le quali furono di intensità molto differenti tra loro; ed essendo noi, si può dire, distesi al suolo, potevamo distinguere molto bene i caratteri dei movimenti. Nè io, nè i miei, abbiamo mai provato l’impressione che il moto fosse quello di un inabissamento; ci parve sempre che ogni scossa fosse prodotta da un colpo diretto dal basso all’alto. Ed era strana l’impressione che si riceveva, quando si sentiva un terremoto un po’ forte, stando diritti: pareva di sentirsi sollevare in alto da un urto sotto le piante dei piedi».
La testimonianza di un fisico, Giovambattista Rizzo
A consegnarci questa sconvolgente e lucida testimonianza, è il fisico Giovambattista Rizzo, direttore dell’Osservatorio Geodinamico e Astronomico di Messina. Rizzo e la sua famiglia abitavano in un casolare adiacente all’osservatorio.
Alle ore cinque del giorno ventisette di dicembre, il microsismografo Vicentini, recentissimo acquisto dell’Osservatorio messinese, aveva segnalato una «leggera registrazione sismica, la quale presentava i caratteri delle registrazioni abituali dei terremoti d’origine vicina». Per tutto il resto della giornata, fino alla mattina del 28 dicembre, nessun’altra registrazione di rilievo.
Il tempo atmosferico non mostrava particolari anomalie: il cielo si alternava fra il nuvoloso e il sereno. Al tramonto era caduta una pioggia leggera. A mezzanotte, il cielo si era coperto di nuvole. Da sud soffiava un vento moderato di scirocco.
Alle ore 5, 20 minuti e 27 secondi, il professor Rizzo fu svegliato da un violento scossone. All’inizio il movimento fu minimo e somigliava «a uno dei soliti terremoti locali, ai quali eravamo abituati». Poco dopo seguì un urto violento, con un movimento parallelo alla direzione dello Stretto. L’Osservatorio, costruito in cemento armato e posto su un’altura isolata dal centro, tremò, ma resistette alle scosse. A crollare fu la torre, che cadde su se stessa, con tutti i suoi quindici metri d’altezza. Lo straordinario peso distrusse il portico che precedeva l’entrata (foto n. 1) .
La storia del microsismografo Vicentini
Il sotterraneo, dov’erano collocati i sismografi, rimase miracolosamente intatto e il pilastro di cemento armato che conteneva il microsismografo Vicentini non fu minimamente danneggiato. La violenza dell’urto spezzò solo il filo d’acciaio che sosteneva il pendolo verticale e i pennini collegati alle due componenti orizzontali. Il pennino della componente verticale rimase impigliato con il pennino del cronografo, ma sul diagramma restarono registrate, con grande precisione, le componenti del principio del movimento: la direzione del primo impulso fu da SSW [sud-sudovest ] a NNE [nord-nordest] e dal basso verso l’alto, e l’istante preciso del principio della scossa si registrò alle ore 5h 20m 27s. Ponendo l’epicentro al centro dello Stretto, il raggio d’azione fu superiore ai venticinque chilometri. Sulla riva opposta, Reggio e Villa S. Giovanni riportarono i maggiori danni del terremoto, mentre il tratto a sud di Reggio, fino al Capo dell’Armi, fu maggiormente interessato dal maremoto.
Il movimento del suolo non si fermò qui: in virtù della sua velocità di 200/250 cm/s fu avvertito anche all’estremità occidentale della Sicilia e oltre la Calabria, in Basilicata, nella Puglie, fino a Napoli e nella penisola Garganica.
Rizzo riuscì a salvarsi. Dei suoi due assistenti che vivevano presso lo stesso edificio, il professor Luigi Fenech rimase gravemente ferito e perse entrambe le figlie, mentre Giovanni Rapidà, che aveva visto nascere l’osservatorio, perse la vita con la moglie e i figli.
I superstiti si rifugiarono presso una piccola costruzione in legno, al centro del giardino antistante il complesso dell’Osservatorio Geodinamico. Quando le scosse più forti ebbero termine, il loro pensiero andò al resto della città, ai parenti e agli amici che abitavano ad appena due chilometri di distanza. Se l’Osservatorio in cemento armato aveva resistito, pur riportando notevoli danni, quale effetto poteva aver avuto quel terremoto sulla città, dove il cemento armato era scarsamente utilizzato e le case si trovavano le une a ridosso delle altre?
Articoli precedenti sul Terremoto di Messina:
Articoli successivi sul Terremoto di Messina:
Cap. 2: Storia di un superstite del terremoto di Messina: Antonio Barreca
Cap. 3: Messina 1908: “quale spettacolo terrificante!”
Cap. 4: Storia del primo telegramma che rese noto il terremoto di Messina al resto del mondo.
Cap. 5: Da “via del Corso” a “Corso Cavour”, Messina com’era
Cap. 6: 1 aprile 1867: è tempo di cambiare
(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].
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