L’arte del Novecento si avvale di grandi teorie che caratterizzeranno il secolo e oltre: la psicanalisi e la teoria della relatività. In esse l’uomo del Novecento rivive e rivede la sua condizione di uomo al centro dell’Universo, la sua grandezza ma anche la sua infinitesimale piccolezza, la vastità del suo mondo interiore analoga a quella del mondo esterno. Picasso è abile nell’indagare entrambi i campi.
Vita di Pablo Picasso
Pablo Ruiz Picasso (1881-1973) nasce a Malaga, in Spagna, da Josè Ruiz Blasco, professore alla Scuola delle Arti e dei Mestieri, conservatore del museo della città e pittore nel tempo libero. A soli undici anni Pablo frequenta la scuola di belle arti a La Coruna dove Josè insegna in qualità di docente di storia dell’arte. Tre anni dopo il padre viene trasferito a Barcelona; qui Pablo viene ammesso all’Accademia di Belle Arti, occasione più che propizia, da considerare quasi una fuga o un riscatto da una condizione familiare restrittiva e da un genitore depresso che dipinge ossessivamente volatili e animali sulle pareti.
Josè, comunque, è un buon padre, una figura iper-creativa non reprimente: favorisce il figlio, sia perché crede nelle sue possibilità, sia perché vuole riscattarsi da una sua mancata vocazione. Due anni dopo, infatti, Pablo è iscritto all’Accademia di Madrid. Qui è parte integrante di una frenetica vita culturale e artistica che ha come sede il caffè letterario “Els Quatre Gats (I quattro gatti)”, dove espone i suoi primi quadri destando positive impressioni. Tuttavia, cerca nuovi riscontri a Parigi, dove si reca nel 1900 e dove conosce Max Jacob, suo grande amico e protettore, e Toulouse-Lautrec, un geniale artista che lo influenzerà per tutta la vita.
Periodo blu
Dal 1901 lo stile di Pablo mostra dei tratti personalissimi: inizia il «periodo blu» (1901-1904), così detto per via della pittura monocromatica provvista di tonalità uniche di blu. I soggetti sono i poveri e gli emarginati ritratti a figura intera, isolati e con aria triste.
Periodo rosa
Dal 1905 alla fine del 1906, il pittore, che preferisce chiamarsi come lo chiamano gli amici, con il cognome della madre, Picasso, utilizza le gradazioni chiare e calde del rosa, dando inizio al «periodo rosa».
I soggetti, questa volta, sono personaggi presi dal circo, saltimbanchi e maschere della commedia dell’arte, come Arlecchino. Ma rosa è anche il colore femminile per eccellenza, e i quadri di questo periodo sono quasi tutti dedicati alle donne.
Nasce il Cubismo
Sempre alla ricerca di nuove forme espressive che evidenzino il più possibile la decadenza dei suoi tempi e la discesa verso una fase consumistica dell’economia, confluisce nella cultura africana, verso una lettura primordiale della vita e delle azioni umane. A influenzarlo è principalmente Cézanne, morto da poco. Ma l’amore per l’esotico dilaga in tutta Europa e la svolta cubista ne acquisisce tutte le potenzialità. Affermatosi tra il 1906 e il 1907, grazie all’amicizia con George Braque, il cubismo di Picasso fa il suo ingresso sulla scena parigina con il quadro «Les demoiselles de Avignon» (1907).
Il cubismo, ovvero la teoria della relatività di Picasso
Il cubismo è una visione alterata ma elementare della vita. E’ la stessa visione del bambino, innocente, rilassata, ingenua. La realtà è dispiegata su un supporto piano, non c’è profondità: tutti i lati sono evidenti e frontali. Un bambino, solitamente, rappresenta una casa senza prospettiva, mostrandone tutti i lati. E’ lo stesso Picasso a dettare il passaggio da un cubismo analitico (dettagliato, anche forzatamente, a volte) a un cubismo sintetico, in cui la forma è più semplice e più pura. E’ una fase lunga, quella cubista (dura dieci anni), che raccoglie grandi consensi.
La quarta dimensione di Picasso
E’ anche una forma espressiva rivoluzionaria, di contestazione e di rottura nei confronti di un presente incomprensibile. Ad esso Picasso si oppone con la rivelazione della quarta dimensione, il lato oscuro, ciò che non si vede. O anche tutto ciò che l’ipocrita società capitalistica tiene debitamente nascosto, non mostra per irreggimentare le masse, per formulare quella sola realtà utile al sostegno dei propri interessi finanziari.
Già nel 1873 lo scienziato Maxwell, conducendo studi di fisica e sugli elettroni in particolare, teorizzava l’assenza della materia. Agli inizi del Novecento, con le nuove scoperte degli scienziati Henri Poincaré, Hilbert ed Einstein, si studiano le fonti di energia possibili sulla faccia della Terra e si prova che gli elettroni possono funzionare anche nel vuoto, ovvero in assenza di materia. Ciò significa che l’energia può essere scorporata dalla materia stessa, è vita a sé.
La nuova ipotesi che nasce nel campo dell’arte, grazie alla creatività di Picasso, sulla base delle suggestioni delle teorie di Freud (sulla relatività del pensiero umano), Maxwell, Poincaré, Hilbert (sulla relatività della materia che ci circonda) e di Einstein (sulla relatività del tempo e dello spazio dell’uomo) è questa: se, dunque, esiste un’energia che fa muovere l’universo, i moti celesti e la natura terrestre, c’è la possibilità che l’energia prodotta dall’uomo abbia vita a sé?
Sì, e l’arte è la migliore espressione di questa teoria: essa esisterebbe anche al di là della materia, basti pensare alla continua meraviglia che suscitano in noi opere di architettura, scultura e pittura di secoli fa.
Insomma, Picasso mostra la sua “teoria della relatività” proprio nel periodo in cui Einstein la tratta scientificamente (Teoria della relatività generale, presentazione ufficiale presso l’Accademia Prussiana delle Scienze, 25 novembre 1915: il tempo e lo spazio sono relativi e modificabili dalla velocità), dimostrando ancora una volta che l’arte arriva sempre prima di ogni grande evento.
Il concetto della relatività diventa deflagrante anche in un contesto più allargato e tende a svalutare l’assolutezza dell’universo e della vita (politica, sociale, economica, religiosa) in una società che finge e che artisti e scienziati invitano a superare.
Ma il 1917 è anche il tempo di un viaggio in Italia e del ritorno contemporaneo a una pittura tradizionale, più densa e corporea. Questo nuovo stile, però, non gli vieta di continuare a sperimentare, specie nel campo della scultura, influenzata dal linguaggio espressionista e surrealista.
Nel 1937 partecipa all’Esposizione Mondiale di Parigi, con il suo quadro «Guernica», presentato presso il Padiglione della Spagna. Qui esprime tutta la sua rabbia contro la guerra civile spagnola, lo scempio dei bombardamenti e la perdita di preziose vite umane, in un quadro che ha il volto e la sofferenza della tragedia greca.
Guernica, analisi dell’opera
Composto in pochissimo tempo (quasi due mesi), il quadro di Picasso, realizzato su una grande tela di iuta, era destinato al padiglione spagnolo dell’Esposizione Universale di Parigi del giugno 1937. Il forte contenuto dell’opera mirava a sollevare l’attenzione pubblica internazionale sulla guerra civile spagnola.
L’ordine di lettura del quadro è da destra verso sinistra (nel padiglione era collocato a destra rispetto all’entrata) e il primo impatto è di un mondo in rovinosa distruzione. Ci sono elementi sparsi che destano meraviglia e confusione, così come gli orrori di una guerra, che priva la vita dei suoi caratteristici colori:
- la città, visibile attraverso un palazzo in fiamme, brucia e il fuoco avvolge un uomo che alza le braccia al cielo. L’immagine straziante spinge alla lettura della parte successiva del quadro, disposta in linea diagonale, con un punto di fuga che converge verso la sommità della lampada ad olio.
- Lunga quella linea si nota una figura di donna dai grandi piedi deformi, che fuoriesce da un palazzo spettrale come un ectoplasma, un’anima che vaga, soluzione che si ripete nel grande volto sofferente superiore.
- Un lungo braccio tiene stretta una lampada ad olio, simbolo della regressione tecnologica cui paradossalmente una guerra sottopone una comunità, privata del progresso, della corrente elettrica, dei contatti;
- accanto alla lampada, un cavallo che digrigna i denti, sofferente, ricorda la natura animalesca dell’uomo o comunque costituisce il simbolo di una società ottocentesca che sta per svanire, dilaniata dalla presenza delle macchine;
- ai piedi del cavallo, spezzoni di corpi umani, un braccio con una mano che stringe ancora forte un’elsa di una spada spezzata, simbolo della brutalità della guerra, contrapposto al simbolo della speranza, un fiore nascente;
- un uomo riverso per terra, alla fine della seconda diagonale discendente, con gli occhi strabuzzati, con il palmo della mano che riporta delle evidenti stigmate, simbolo di sofferenza e di innocenza;
- sopra, una madre disperata che scuote l’intera scena con il suo urlo straziante, mentre tiene in braccio il corpo inerme di un bimbo: sopravvivere al proprio figlio è contra naturam, proprio come la guerra;
- una colomba, tradizionale simbolo di pace, per contrasto, riecheggia l’urlo della madre;
- la figura di un fiero toro, simbolo della Spagna (e delle sue tradizioni) che non si arrende, nonostante sia ferita a morte;
- infine, decentrato rispetto alla congiunzione delle linee diagonali convergenti, un grande occhio che emana una luce artificiale, originata da una lampadina elettrica: presenza divina umanizzata e declassata, ridotta a un ruolo meccanico o unico punto luce in un cielo oscurato dai fumi della guerra?
Nell’ultima fase della sua vita, Picasso si dedica alla ceramica e alla riproduzione di famose opere d’arte rivisitate, come “Le dejeneur su l’herbe” di Manet.
Picasso muore nel 1973, a novantadue anni.