Chi vuol essere il prossimo Dante?
Scriviamo. Ricostruiamo. Ridiamo vita a storie, documenti, testimonianze.
Lo facciamo per non dimenticare, per continuare a esplorare mondi antichi — o magari crearne di nuovi.
Migliori? Non sempre possiamo saperlo. Ma il desiderio di migliorare ciò che è già stato fatto è la speranza che alimenta ogni nuovo progetto. Ogni pagina scritta, ogni ricerca condotta, ogni parola scelta.
Lo dico spesso ai miei allievi: una frase letta in un libro può aprirvi nuovi mondi, orientarvi nei vostri obiettivi, dare forma alle emozioni. Può aiutarvi a trovare il senso di un momento… o, addirittura, di una vita!
Le parole appartengono a tutti. Ma è nel modo in cui le combiniamo — con originalità, passione e creatività — che diventiamo comunicatori, costruttori di idee, inventori di senso.
Eppure, per diventare storici, servono anche altre qualità: adesione rigorosa alle fonti, metodo, disciplina. Lo studio della storia è tecnica, è struttura, è profondità.
Ma è anche intuizione. E l’intuizione non è un dono misterioso: è una conquista. Si coltiva giorno dopo giorno, con esperienza, studio, sinapsi allenate e un approccio interdisciplinare.
Sono d’accordo con Hegel quando affermava:
“La storia del mondo non è altro che il progresso della consapevolezza della libertà.”
Perché la storia è il racconto delle nostre emancipazioni: dei cambiamenti profondi, delle rivoluzioni silenziose o fragorose, della volontà di superare ciò che è diventato vecchio, inadeguato, corrotto.
Pensiamo a Dante. La sua Divina Commedia non è solo un capolavoro poetico: è un atto di denuncia.
È il grido di chi vuole rompere con un mondo dominato da un clero ipocrita e da poteri politici asserviti all’egoismo e al tradimento.
Dante scrive per liberarsi, per mostrare una via diversa. Ed è per questo che, da oltre sette secoli, continua a parlarci.
La domanda che lascio, oggi, è semplice:
Chi sarà il prossimo Dante?