Cronache (distorte) dal terremoto di Messina

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Abbiamo già parlato di risentimento isolano nei confronti del governo italiano, trattando i casi Palizzolo e Nasi. 

In seguito al terremoto del 1908, le richieste d’aiuto provenienti dalla Sicilia certo non rientravano nel programma del meridionalismo separatista nittiano, ma il governo nazionale le interpretò come tali. La conferma, a mio parere, fu la reazione dei prefetti siciliani e di Giolitti al primo telegramma di richiesta d’aiuti inviato dall’ufficiale postale Antonino Barreca. 


Quei telegrammi ignorati dal governo Giolitti

I prefetti di Catania e di Siracusa fecero trascorrere molte ore prima di autorizzare un intervento a favore dei superstiti messinesi e calabresi. Alle ore 13.40 del 28 dicembre, il ministro delle Poste Chanzer lesse il telegramma del Barreca al presidente del Consiglio dei Ministri, il quale esclamò fosse opera di un pazzo. 

Perchè quest’incredulità di fronte a un telegramma ufficiale? La risposta stava proprio nei difficili rapporti che s’erano venuti a creare tra il governo giolittiano, che puntava all’industrializzazione del Nord, e la classe politica meridionale, che aveva sempre meno rappresentanti in Parlamento. 

La chiave di volta del pensiero giolittiano era eliminare il meridionalismo becero e mafioso che aveva caratterizzato buona parte del governo della sinistra depretisiana, aveva avuto il suo profeta in Nicotera, in Di Rudinì il suo estremo difensore, i suoi morti eccellenti in Notarbartolo, le sue esasperazioni politiche con Crispi, autore delle repressioni dei Fasci siciliani e protagonista degli scandali bancari.

In questo clima di lotte per il potere e di strategie politiche, era ormai nelle normali azioni governative trascurare le notizie, le interpellanze e le richieste più disparate che dal Sud venivano inoltrate alla Presidenza del Consiglio. Tant’è vero che il primo telegramma che Giolitti prese in seria considerazione non fu quello inviato dalle Poste di Siracusa alle ore 10.40 del 28 dicembre, arrivato a destinazione alle 13.40, nè quello inviato dal sindaco De Medici dal Comune di Martirano alle 10.30 e arrivato al ministero degli interni alle 14.10 . Come si può evincere sia da un’intervista rilasciata da Giolitti pochi giorni dopo il terremoto sia dal momento in cui si metterà in moto la macchina governativa degli ordini e dell’invio dei primi soccorsi, la prima comunicazione che Giolitti prenderà per vera ed attendibile sarà quella spedita dalla torpediniera della Marina Militare Italiana Spica alle ore 14.50 e arrivata a Palazzo Braschi alle ore 17.35 . 

Sono testimonianze vive di come le notizie sull’evento disastroso di Messina e Reggio, che oramai arrivavano da più parti, siano state interpretate con molta leggerezza dal Governo italiano. 

Il sospetto di un attacco da parte del sicilianismo separatista

A onor del vero, il ministero aveva ripetutamente cercato di mettersi in contatto con i prefetti di Messina e Reggio per avere notizie attendibili sull’accaduto. Ma, dal momento che non ricevette alcuna risposta, inevitabile fu pensare che le due città meridionali avessero interrotto le comunicazioni, forse approfittando dell’ennesima calamità naturale, per portare avanti, con l’appoggio del sicilianismo separatista, degli avventori del popolarismo, del nasismo e della borghesia imprenditrice, un altro efferato attacco contro il Governo accentratore, sfruttatore e settentrionalista. D’altra parte, esattamente nove anni prima, il governo di Luigi Pelloux aveva riservato un trattamento analogo ai siciliani, interrompendo le comunicazioni telegrafiche con l’Isola per alcune ore, in occasione di una seduta della Camera dei Deputati che doveva discutere della sorte del deputato palermitano Raffaele Palizzolo, considerato il mandante del delitto Notarbartolo. Insomma, nella mente di qualche ministro dovette balenare l’idea della ritorsione, seppure a distanza di tempo. 

Stato d’assedio e caos

Nei giorni successivi al terremoto, le decisioni prese dal governo italiano non migliorarono certamente i rapporti con le città meridionali distrutte, sin dal momento in cui fu dichiarato lo stato d’assedio: l’accesso ad ogni luogo fu vietato a tutti tranne che alle autorità militari e politiche; i civili, i giornalisti e i superstiti non ebbero neanche la possibilità di visitare i parenti ricoverati presso l’Ospedale civico o accedere alle macerie delle proprie abitazioni. Gli ordini del comando militare furono eseguiti a singhiozzo, le responsabilità militari si accavallarono per la presenza contemporanea delle marine di varie nazionalità. L’impressione che se ne ricavò non fu di ordine e regolarità, ma di caos pressoché completo.

Il governo fu sempre tenuto a conoscenza di ogni disservizio anche per vie ufficiali, tramite le segnalazioni del comandante Mazza, dei ministri e dei deputati recatisi sul posto il giorno dopo la sciagura. Il socialista De Felice Giuffrida, che aveva vissuto di persona le drammatiche scene successive al terremoto, tuonerà in Parlamento parole minacciose contro il Presidente del Consiglio, puntando l’indice sull’inutilità dello stato d’assedio che tenne le braccia dei soldati lontane dai soccorsi: «[…] Io dico, on. colleghi, che se ci fosse stata una forte mente direttiva il Paese avrebbe potuto assai meglio contare sui propri soldati e ufficiali i quali fremevano di sdegno per l’inerzia in cui erano tenuti dalle autorità ad essi preposte!». Giolitti rispose che lo stato d’assedio fu una scelta del prefetto per reprimere i saccheggi e, da uomo politico consumato qual’era, provocò il suo avversario: «[…] Ma poniamo, on. De Felice, che lei fosse stato il prefetto di Messina…», e prontamente De Felice: «Vi avrei salvato mezza Messina!». 

Le relazioni degli ufficiali stranieri

Anche le relazioni degli ufficiali stranieri riportavano l’inefficienza dei comandi militari italiani: il colonnello francese Elie Jullian scriverà: «Il generale Mazza sembrava al suo esordio, ossessionato dalla preoccupazione di evitare l’affollamento a Messina e di non lasciarvi entrare che le persone e le cose indispensabili e altresì d’impedire l’ingresso in città di profughi. L’ammiraglio Mirabello non sembrava condividere queste preoccupazioni e voleva sbarcarvi più gente possibile, il re si è ‘barcamenato’ fra i due». E cita una serie d’esempi negativi. Infine aggiunge: «Questi esempi si potrebbero moltiplicare: ma non si tratta di fare un’inchiesta, quanto di dare un’idea della confusione indescrivibile che ha regnato sull’arrivo dei soccorsi e sulla completa assenza di organizzazione di cui le più alte autorità italiane, presenti sul luogo, hanno dato prova». 

Il colonnello inglese Delmè-Radcliffe riporterà, in tempi più sereni: «Gli ufficiali e i sottoufficiali [italiani] non hanno molta autorità. Non riescono a comandare tranquillamente e con autorevolezza, così da ottenere i servizi migliori e più utili. O tormentano e opprimono i soldati, o sono insensatamente deboli e oltremodo indulgenti. È una sfortuna che, generalmente, gli ufficiali non siano arruolati dalle classi meglio istruite della popolazione, com’era nel vecchio esercito piemontese». E, per concludere: «L’inettitudine, la disonestà e l’opportunismo contrassegnano le autorità civili. Nel territorio afflitto dal terremoto prevalgono sudiciume, miseria e mancanza d’indizi di un risveglio materiale. E probabilmente sarà così per un lungo tempo a venire».


Articoli precedenti sul Terremoto di Messina:


(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].

(2) D. De Pasquale, I Marchesi di Cassibile, ABC Sikelia Ed., 2018


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