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Terremoto di Messina

Storie del terremoto di Messina raccontate dai giornali dell’epoca

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Nel mese successivo al disastro tellurico del 1908, il Corriere della Sera pubblicherà notizie su Messina in primissima pagina, fino al 29 gennaio 1909.


Reportage dal terremoto di Messina

Il Corriere della Sera riportava la notizia del salvataggio del Prefetto Trinchieri ad opera dei marescialli Orani e Guardia. Nell’articolo, inoltre, si sottolineava come, sebbene la maggior parte dei soldati e dei carabinieri fossero morti, i militari superstiti riuscirono a mandare un dispaccio di richiesta d’aiuti alla vicina Milazzo. 

Dalle pagine della Tribuna, la testimonianza sul maremoto del tenente di vascello Saccarese, comandante della regia torpediniera Saffo: 

«Il mare improvvisamente si gonfiò alzandosi in un’enorme montagna ruggente dallo stretto e si rovesciò con cupo rombo furioso ai lati del porto San Ranieri, facendo crollare il ponte di comunicazione e fracassando le navi. Il piroscafo austro-ungarico Andrassx rimase in balia delle onde, sballottato, danneggiando gravemente altri piroscafi mercantili ed una torpediniera. Un istante dopo la superficie agitata del mare apparve coperta di botti, d’imbarcazioni, di rottami, di battelli, di casse di petrolio, di frutta, d’agrumi, e un nembo fittissimo coprì la povera città da cui si elevavano acute strazianti urla invocanti soccorso […] Il capo timoniere Donini, della Saffo, scese a terra con otto marinai, lottando energicamente contro il furore delle onde e riuscì a penetrare coi suoi uomini in Messina, dove si accinsero, tutti – con slancio ammirevole – all’opera di salvataggio […] Anche gli ufficiali della regia nave Piemonte, con un gruppo di marinai, operarono miracoli di coraggio».

Il Journal

Il Journal si soffermava sugli stessi momenti, questa volta vissuti da un ufficiale francese a bordo del piroscafo Orenoque. L’imbarcazione attraversava lo stretto di Messina, proveniente da Alessandria. Alle 5,40 sentì una violenta scossa che fece sussultare la nave: «Credevamo di aver urtato un avanzo di nave. Poi proseguimmo la rotta e alle ore 7 giungemmo a Messina». Arrivato a 200 metri dalla costa, l’ufficiale francese osservò con il cannocchiale le case diroccate e pensò subito a un disastro tellurico (foto n. 14). 

L’appuntato di Finanza Nicola Sebastiani, di anni 33, portava la sua testimonianza al Corriere della Sera: salvo per miracolo dopo essersi sottratto a «un’altissima ondata di acqua marina, sporca e limacciosa, che copriva ogni cosa…», riuscì a scappare e ad arrampicarsi sulle rovine. Alla ricerca del tenente colonnello Francesco Roco, ne trovò le figlie e le salvò da sicura morte. 

L’Avanti!

Il giornale Avanti! intervistava il signor Umberto Bianchi. Anch’egli, come Barreca, sentì impellente il dovere di comunicare la notizia dell’evento al resto d’Italia e si mise alla ricerca di un mezzo di comunicazione a distanza. Dopo vari tentativi, lo trovò nell’ufficio radiotelegrafico della ferrovia, rimasto miracolosamente in piedi, probabilmente grazie alle sue ridottissime dimensioni. Da lì telegrafò a Reggio e a Villa, ma non ricevè alcuna risposta. Persa ogni speranza, tornò fra le macerie e qui incontrò il prefetto Trinchieri e il sindaco di Catania De Felice (foto n. 15). 

Ed è proprio De Felice che rilascia subito dopo un’intervista che non lascia dubbi sullo sconcerto vissuto dopo il terremoto da tutti i superstiti e dai soccorritori: 

«La minaccia del furto e del disonore si fa sempre maggiore. Io stesso, mentre assistevo al dissotterramento dell’on. Niccolò Fulci, vidi una banda di ladri, alla testa della quale si distinguevano purtroppo tre guardie di finanza, scassinare il negozio del signor Dagnino. Corro subito e arresto la loro opera infame: afferro al petto due delle tre guardie che rimprovero, minaccio e caccio indietro impugnando il bastone animato. Sapete voi quale sia la ferocia del ladro sorpreso? Allora soltanto potrete immaginare la veemente resistenza di costoro. Vi assicuro che se non fossero accorsi i volontari catanesi e otto soldati che aveva con me, quei ladri, specie quelli in montura, mi avrebbero ucciso». 

Riguardo alla disorganizzazione dei reparti militari mandati dal governo a sciogliere la matassa, dirà: 

«Messina è stata abbandonata, non vi sono più servizi, non c’è più nulla. Il prefetto Trinchieri, povero uomo, non ha più forza: non si sa più in chi risieda il comando; i carabinieri fanno a modo loro, le autorità militari a modo loro, la polizia è scomparsa con la morte del questore. Occorre una mano di ferro, una mente organizzatrice che prenda la direzione di tutto».

Fece scalpore la notizia dell’evasione di 1.600 detenuti dal carcere in un momento così convulso, perchè lasciò immaginare che altra violenza si fosse aggiunta a quella già sopportata dai superstiti. Ancora più scalpore fece registrare la testimonianza del detenuto Augusto Casimiro, rilasciata a un giornalista del Corriere. Casimiro, in stato di choc alla vista delle macabre scene della sciagura, si costituì alle autorità dopo aver scagionato i suoi compagni, appena arrestati, dalle responsabilità d’alcuni saccheggi compiuti nella città distrutta, dichiarando di aver visto contadini armati depredare ogni cosa. 

Il Secolo

Il Secolo narrava la storia della cantante lirica Koralek, protagonista dell’Aida al Teatro Vittorio Emanuele, dove era stata applaudita la sera prima. Ospite all’Hotel Trinacria, riuscì a trarsi in salvo. 

La sera del 27 dicembre il brusio in città era unico: i caffè illuminati a giorno brulicavano di persone, i teatri, i caffè-concerto e i cinematografi erano letteralmente invasi. Alle ore 8,30 aveva avuto inizio lo spettacolo dell’Aida di Verdi presso il Teatro Vittorio Emanuele, lungo il rinomato Corso Cavour. L’opera, ch’ebbe un successo strepitoso, si era conclusa un pò più tardi del previsto, ma quella notte dal clima natalizio era ancora lontana dal finire. C’era un ultimo, nottambulo appuntamento riservato alla parte eletta della città, ai cittadini che portavano i nomi storici, onore e vanto della Sicilia: il ballo dato dalla nobile famiglia dei conti di Peralto per festeggiare le nozze della figlia Amelia con il giovane ufficiale d’artiglieria Ugo Raimondi. I due fidanzati si erano conosciuti alla festa del Prefetto, ma quando Ugo ebbe il coraggio di chiedere al conte di Peralto la mano della figlia, questi gliela negò solo perchè il giovane non possedeva titoli nobiliari, anche se era figlio di un facoltoso gioielliere di Torino. Alla fine, persino una persona ostinata come il conte dovette cedere alle pesanti contestazioni della figlia e alle pressioni del futuro genero. Il matrimonio fu celebrato nella cappella gentilizia dei Peralto davanti al Sindaco e, il giorno dopo, davanti all’Arcivescovo di Messina. La festa delle nozze era uno scintillio d’ori, gemme e pietre preziose. Le dame incipriate in ampi e vaporosi abiti, gli uomini in palandrana e ghette non facevano altro che parlare della sposa che portava in dote più di un milione di lire. Al centro della sala, Amelia, avvolta in uno splendido abito da sposa, aveva lunghi capelli corvini, lievemente ondulati, occhi neri e profondi, labbra porporine, carnagione bianca e delicata, su un fisico snello e flessuoso. Ugo era in divisa da ufficiale militare, alto, biondo, occhi celesti e linee armoniose. 

La festa, cominciata già ad ora tarda, finì con il congedo degli sposi nelle prime ore della mattinata. Fuori li aspettava una luccicante carrozza che li avrebbe portati al vicinissimo Hotel Trinacria, dove Ugo aveva preso in affitto un elegante appartamento per trascorrere un’indimenticabile luna di miele. E indimenticabile fu davvero: a un’ora dal loro arrivo, una parte della stanza sprofondò nel nulla, separandoli. La terra continuò a tremare senza sosta e Amelia si ritrovò presto in mezzo a un cumulo di macerie. In camicia da notte, lacera e inebetita, si alzò e cominciò a girovagare per il porto. Cadde in acqua, trascinata da onde impetuose. Riuscì ad aggrapparsi a una carcassa ed ebbe la fortuna di essere recuperata da una nave russa. Nel frattempo, una squadra di soccorso militare al comando del tenente Aliprandi, preoccupato per la sorte dell’amico, era sopraggiunta per tirare Ugo dalle macerie. Sul posto i due trovarono anche il conte di Peralto, il quale, nonostante fosse ferito, aveva vegliato per qualche tempo la moglie colpita mortalmente alla testa da un pesante capitello. Ugo e il conte, che di fronte a tale sciagura avevano sepolto tutti i dissapori, si precipitarono alla ricerca di Amelia, scavarono a più non posso, anche con l’aiuto dei soldati, per giorni, invano. 

La povera Amelia aveva perduto la memoria e riusciva a tartagliare solo poche parole. A bordo della nave russa Slava e sotto le cure del tenente Demidof che la confortò e la prese a cuore per tutto il viaggio, raggiunse Napoli. Dopo varie peregrinazioni e ricerche, Ugo provò a mettersi in contatto anche con il comando militare russo. Dalla descrizione che i marinai riuscirono a dargli, ma soprattutto grazie ai precisi riferimenti del tenente Demidof, cominciò a nutrire qualche speranza. Recatosi, infine, presso i luoghi di ricovero per i superstiti del terremoto organizzati nel capoluogo partenopeo, trovò finalmente la sua Amelia e vissero insieme ancora per lunghi anni. 

Le storie descritte presentano un’evidente natura romanzesca, ma fanno parte di un evento assurdo che, forse, poteva essere raccontato solo così, con le testimonianze verosimili dei sopravvissuti.


Articoli precedenti sul Terremoto di Messina:


(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].

(2) D. De Pasquale, I Marchesi di Cassibile, ABC Sikelia Ed., 2018


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