Lo smistamento dei superstiti del terremoto di Messina

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Molte città d’Italia s’attivarono per accogliere le migliaia di messinesi scampati al disastro tellurico. Durante le operazioni d’imbarco fu operata una divisione per famiglie o per cognome, cosicché troviamo la famiglia di avvocati Calapaj a Siracusa, presso il Grand Hotel; i negozianti di cereali De Pasquale di Messina a Nicolosi e i De Pasquale di Lipari a Cefalù; la famiglia di sensali di prodotti agricoli Marangolo a Ragusa; i possidenti e imprenditori Pulejo ad Acireale. Dei quaranta componenti della famiglia Bonanno ne restò uno solo.

Su un treno arriva un futuro vate: Salvatore Quasimodo

Mentre in città si lavorava per recuperare i corpi, il porto era un viavai di navi d’ogni nazionalità che depositavano vettovaglie, coperte, tende e imbarcavano migliaia di superstiti imploranti aiuto. Altrettanto alacremente lavorava il treno che viaggiava lungo il binario Catania-Messina, portando i viveri e i vestiti raccolti dai comitati cittadini, nuova manodopera e tecnici per ripristinare i servizi di comunicazione interrotti dal sisma.

Fra questi ultimi c’era Gaetano Quasimodo, un capostazione staccato dalla sede di Ragusa e spedito a Messina per cercare di ripristinare la rete ferroviaria distrutta. Purtroppo gli alloggi che potevano garantire sicurezza d’abitabilità erano assai carenti, cosicché Gaetano, che aveva portato con sé la sua famiglia, la moglie Clotilde Ragusa e il piccolo Salvatore, si trovò costretto a vivere in un vagone presso un binario morto vicino la stazione. Il figlio Salvatore aveva appena sette anni e in quelle macerie visse tutta la sua infanzia.

Il futuro premio Nobel si diplomerà nel 1919 presso il Regio Istituto Tecnico Professionale e Industriale di Messina, con il titolo di geometra, e stabilirà le prime amicizie con personalità come Giorgio La Pira e Salvatore Pugliatti, noti giuristi.

In occasione dei novant’anni del padre e dei cinquanta del terremoto, Salvatore Quasimodo scrisse una toccante poesia che, a buon titolo, diventò testimonianza sincera di quei giorni terribili:

Salvatore Quasimodo

Al padre
[da La terra impareggiabile (1955-1958)]

Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.
La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d’aquila.
E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d’Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo – difficile affinità
di pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
«Baciamu li mani». Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.


Articoli precedenti sul Terremoto di Messina:


(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].

(2) D. De Pasquale, I Marchesi di Cassibile, ABC Sikelia Ed., 2018


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