Uno scienziato del ‘700 a Messina
Una figura di spicco del panorama culturale siciliano fra XVIII e XIX secolo è monsignor Gaetano Grano, oggi riscoperto grazie alla dedizione e alle ricerche condotte dal giornalista e scrittore Vanni Ronsisvalle. Un interessante epistolario mette in rilievo i rapporti dell’alto prelato con Lazzaro Spallanzani, il biologo gesuita professore all’Università di Pavia che più di una volta si servì degli studi scientifici del brillante studioso messinese.
Nato a Messina il 21 novembre 1754, Gaetano Grano compì i primi studi presso le scuole dei Padri Gesuiti. In seguito alle rivolte dell’ormai lontano periodo seicentesco (1674-78), Messina fu spogliata dagli Spagnoli di tutti i suoi privilegi, dell’Università, della Curia Stratigoziale, dell’Accademia della Fucina. L’istruzione, da quella data in poi, rimase nelle mani dei padri Gesuiti, non lasciatisi coinvolgere nel tentativo insurrezionale, fino alla soppressione della Compagnia, avvenuta nel 1767.
Storico, erudito, archeologo, umanista, ad appena diciotto anni, assunse l’incarico d’insegnante di retorica presso lo Studium messinese.
Giovane ricco di passione e dotato di grande capacità d’osservazione, si dedicò all’esplorazione della natura, studiando i banchi coralliferi, le conchiglie, i fossili, e consegnando importanti scoperte scientifiche al noto biologo Lazzaro Spallanzani, che le andava pubblicando come sue.
Bruciando tutte le tappe, a soli venti anni, divenne precettore di retorica presso la Reale Accademia di Messina, che si serviva di un organo di stampa intitolato Giornale di Scienze, Lettere ed Arti per i tipi di Letterio Fiumara e Giuseppe Nobolo. Vi presero parte, a parte Grano: Andrea Gallo, Gregorio Cianciolo, Placido Arena Primo Porzio, Niccolò Mezzasalma Serra, Alberto Corrao, Antonio Traverso, Graziano Frantone, Francesco Cespes, Carmelo La Farina. In quel dinamico foglio si sfornavano articoli pieni d’invettive contro il giacobinismo, dichiarato allora nemico di Dio e della società1.
Al momento della soppressione della Compagnia di Gesù (1767), ovvero del più importante istituto per l’istruzione della città, i notabili di Messina promossero la nascita di un Collegio scolastico con la funzione di formulare un nuovo piano di sviluppo per l’istruzione pubblica e, il 7 aprile 1801, con Real Dispaccio, fecero istituire la Reale Accademia Carolina, della quale Grano divenne non solo un energico fautore ma anche l’attivo bibliotecario: nel 1780 cominciò a lavorare sull’imponente operazione di compilazione del primo inventario ufficiale2. La Reale Accademia Carolina fu elevata a Università il 29 luglio 1838.
A 26 anni si appassionò anche all’archeologia, intesa nell’accezione moderna di studio della storia antica. Nonostante le numerose occupazioni, riuscì persino a laurearsi in Scienze Mediche nel 1784.
Fu l’uomo del momento, tanto da ricevere incarichi anche dal re Ferdinando III di Sicilia. Nel momento di maggior fioritura degli studi scientifici e delle sperimentazioni politiche, amministrative ed economiche del regno, grazie alla guida illuminata dei viceré Domenico Caraccíolo Marchese di Villamarina e Capitan generale Francesco d’Aquino, principe di Caramanico, fu nominato Giudice ecclesiastico della Regia Udienza e nel 1791 eletto Giudice delegato del Regno in Messina.
In seguito alla Restaurazione del sovrano borbonico sul trono del regno di Napoli, il reggente siciliano Francesco I (figlio del re Ferdinando III) gli conferì l’incarico di Giudice della Monarchia in Sicilia, ma Grano rifiutò prontamente la carica, accettando di buon grado solo quella di membro per la compilazione del Codice del Regno delle Due Sicilie fra il 1812 e il 1815.
Nella veste di parlamentare propose la riforma di leggi sociali ormai anacronistiche, nella ferma ed altruistica intenzione di liberare il popolo dalla struggente povertà in cui versava ai tempi, riscattandolo attraverso lo sfruttamento razionale del terreno, l’incremento del commercio e la creazione di un’industria che avesse la forza di sottrarre allo straniero lo sfruttamento delle materie prime siciliane. Idee che furono condivise ampiamente dai suoi allievi e, in talune circostanze, anche attuate (vedi la straordinaria avventura dell’impresa agricola del mercante messinese Loffredo Marchese di Cassibile).
Infine, si batté per una riforma sanitaria a favore della sua città, proponendo l’istituzione di un Ospedale Civico.
Fra le più interessanti annoveriamo la sua avanzata teoria delle cause delle correnti nello stretto di Messina, che la leggenda attribuiva ai vortici creati da un fondale a forma conoide e che, invece, dall’ingegnoso monsignore venivano attribuite all’esistenza di una frattura causata dal continuo passaggio del magma vulcanico. Sulla stessa base, il Grano rifiutò la spiegazione elettromagnetica dei fenomeni sismici, spostando ancora una volta l’attenzione sui vulcani, o meglio sulle contrastanti forze endogene di cui i vulcani sono indice, «spiragli», come diceva, «che anche oggi s’indagano».
Sconcertanti intuizioni di un intellettuale illuminato.
Per le sue scoperte si guadagnò l’ammirazione del marchese toscano Manfredini e del cavaliere De Medici.
Durante la sua lunga vita rivestì la carica di priore dell’abbazia di S. Andrea di Piazza Armerina, La carica era associata alla chiesa di Santa Croce di Messina, a sua volta annessa all’omonimo monastero, sito lungo la piana tra Porta Imperiale e Porta Sant’Antonio. Il Priorato di Santa Croce era sede dei canonici regolari di Sant’Agostino ed era associato non solo al Gran Priorato di Sant’Andrea di Piazza Armerina ma anche al monastero del Santo Sepolcro in Gerusalemme3.
Scienziato ed erudito, era conosciuto in campo internazionale anche come autore colto e raffinato d’iscrizioni, carmi e orazioni, oltre che di un testo scientifico di profetiche osservazioni e di un libro di memorie sui pittori messinesi, consegnato alle cure dell’artista Filippo Hackert4, che ne realizzò un’elegante edizione. Grano, però, rifiutò l’apposizione della sua firma, anche se i suoi attenti lettori sapevano che dietro l’«amico dotto e intelligente delle Belle arti che le ha compilate» stava il prestigioso monsignore.
Nel 1823 l’artista Letterio Subba (1787-1868) realizzò per l’alto prelato messinese un dipinto5 su tela cm 76 x 65, che ne riproduceva il mezzo busto nell’atto di scrivere la seguente quartina:
Di cortese pittor l’amica mano
Pensa sottrarmi al già vicino oblio
Se grato al suo valor esser deggio io
Tacer non posso, chè il pensier è vano.
Dal quel dipinto nacque l’incisione a cura di Antonino Minasi per l’opera Inscriptiones et Carmina del Grano stesso, pubblicato da Giovanni Rosso nel 1829. Pare che lo stesso servì ai suoi nipoti per erigergli un monumento in marmo presso la Chiesa di S. Nicolò dei Gentiluomini di Messina6, opera del carrarese Enrico Franzoni, discepolo del Canova e del Thorwaldsen.
Gaetano Grano morì, in seguito ad una paralisi, il 13 marzo 1828 a Messina. Fu sepolto, secondo i suoi desideri, presso la chiesa dei Padri Cappuccini. I resti furono poi traslati presso il Gran Camposanto di Messina, presso un colombario che non ne riporta più il nome.
La famiglia Grano godeva di legami parentali con i Ruffo, i Faravone, i Castelli, i Micaletti e i Vita.
La fortuna della famiglia Grano volse al termine negli ultimi anni dell’Ottocento, quando gli eredi di Giuseppe Grano (1828-1908), nipote del monsignore, sperperarono il notevole patrimonio immobiliare che li aveva visti tra i fortunati possessori delle preziose acque che dissetavano la città.
Negli anni settanta, Giuseppe adibì a sede scolastica comunale alcuni locali del suo splendido Palazzo Grano (ex Roccafiorita) di via Oratorio della Pace, a Messina, abbattuto dopo il terremoto del 1908.
Chiuso quel capitolo nel 1892, l’Indicatore del 30 dicembre dell’anno successivo recò in cronaca che la pinacoteca del cav. Giuseppe Grano era in vendita e che il cav. Ignazio Virzì di Palermo offriva tremila lire per tre quadri, con il crudo commento finale: «li otterrà facilmente, viste le condizioni affatto floride del venditore».
Il triste epilogo di questa lunga saga familiare avverrà con il suicidio dell’ultimo discendente della famiglia, Letterio Grano.
Caduto nell’oblio da quasi duecento anni, monsignor Grano è stato riportato alla luce e rivalutato dall’impegno e dalla sapiente penna del giornalista Vanni Ronsisvalle. In città manca un monumento o una lapide che lo ricordi, il suo nome oggi è tristemente legato a una piccola via della zona Provinciale.
Scrisse:
- Osservazioni sugli ultimi terremoti del Perù paragonati con quelli di Sicilia e della Calabria (nel Giornale letterario di Napoli, vol. 87);
- Memorie dei pittori Messinesi, napoli, 1792;
- Il Comune di Messina al Parlamento, Messina, Giovanni del Nobolo Ed., 1814;
- Memoria diretta al Parlamento Nazionale in Napoli pel Civico ospedale di Messina, 1821;
- Inscriptiones et Carmina a Ioanne Rosso Messanensi Patricio collecta aereque suo impressa, Messane Ex Typographia Iosephi Pappalardo, 1829.
(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “Mille volti, un’anima. Percorso iconografico nel Gran Camposanto di Messina alla ricerca dell’identità perduta“, [2010] (in offerta!).
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Note
- Caio Domenico Gallo (1692-1780) – Gaetano Oliva, Gli Annali della Città di Messina, vol. V-VI, Arnaldo Forni Editore, Ristampa 1980, p. 48
- D. De Pasquale, Mille volti, un’anima, pag. 21
- Messina, quale sede della Confraternita dei Cavalieri del Santo Sepolcro, era anche aggregata alla chiesa di Santa Croce di Mineo (CT) e alla chiesa di San Pietro sotto il titolo della «Beata Vergine dell’Accomandata» di Messina.
- Jakob Philipp Hackert (1737 –1807), pittore tedesco.
- Il dipinto in questione fu acquistato dalla Regia Accademia Peloritana nel 1903
- Chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini, in piazza della Concezione, già del Pentidattilo (oggi fra il palazzo della Provincia e la via Loggia dei Mercanti), dove originariamente sorgeva la statua della Vergine, opera di Giuseppe Buceti risalente al 1757.