Risulta utile al nostro percorso fiammingo in Italia l’opera di Colantonio del Fiore San Francesco che consegna la regola ai francescani e alle clarisse (realizzato per la Chiesa di San Lorenzo Maggiore di Napoli e l’annesso convento dei francescani, oggi esposto al Museo di Capodimonte) che riporta notevoli influenze sia fiamminghe, sia provenzali, sia catalane.
Il tema è molto semplice: al centro si staglia la figura del Santo che distribuisce copie della sua Regola ai monaci francescani, alla sua destra, e alle monache clarisse, alla sua sinistra.
Analisi dell’opera San Francesco che consegna la regola ai francescani e alle clarisse
Nel dipinto di Colantonio, il Santo è un elemento integrato nell’Ordine, rasato, con un bel saio di un colore più chiaro rispetto agli altri e con la barba appena accennata, le stigmate in evidenza, quali testimonianze della sua santità e della sua vita raminga e solitaria. Gli altri frati si presentano ben rasati, sia nel capo sia nel viso, con pesanti sai di diversa colorazione.
Anche le clarisse sono perfettamente ordinate nelle loro tonache color terra. L’idea di un ambiente confortevole è accentuata dall’introduzione delle preziose piastrelle valenciane (le famose rajoletas), disposte a scacchiera sul pavimento, sulle quali spiccano lo stemma degli Aragona e vari motivi floreali.
L’ipotesi: il superamento delle dispute francescane
Ipotizziamo che l’opera sia stata modulata con l’intento di superare le solite dispute francescane, partendo dalle tesi di San Bernardino da Siena, così come gli affreschi d’Assisi partivano da quelle di San Bonaventura.
L’ipotesi sarebbe anche suffragata dall’opinione, già avanzata da alcuni studiosi, che l’intera opera sia stata realizzata in diversi momenti cronologici e che ogni elemento corrisponda a una suggestione stilistica diversa a seconda delle presenze di artisti (o di opere) straniere nel napoletano. Cosicché, nel complesso, si notano le influenze del Maestro d’Aix (Barthélemy d’Eyck?) nelle figure degli angeli e nei libri del San Girolamo; dell’arte valenciana (Jacomart, in particolare) nel volume dei sai dei francescani, nella fisionomia delle clarisse e nelle piastrelle della pavimentazione; infine, della monumentalità di Fouquet nelle figure dei Beati Francescani (Silvestro, Pietro, Galbazio e Masseo).
Personaggi e contenuti
Valutata, dunque, su base stilistica, la natura del complesso pittorico, osserviamone personaggi e contenuti. Le figure dei Beati Francescani (Fondazione Giorgio Cini, Venezia), da alcuni attribuite ad Antonello, sono molto indicative del percorso teologico utile per la lettura del polittico:
- Silvestro era sacerdote di Assisi e dodicesimo seguace di San Francesco;
- Pietro potrebbe essere Pietro Cataneo, compagno di San Francesco, oppure il frate appartenente al Terzo Ordine del convento di San Francesco di Gualdo, fondatore di un eremo a Rigali, o, ancora, Pietro Pettinaio, francescano laico di Siena;
- Galbazio da Rimini era un Malatesta terziario francescano, morto ventenne nel 143225;
- Masseo da Marignano, era un compagno di San Francesco.
Si tratta di seguaci di San Francesco entrati in contrasto con i Frati della Comunità per essersi allontanati dall’ideale delle origini, denominati in seguito Spirituali, fedeli osservanti della Regola e del Testamento di Francesco (povertà e rinuncia ai beni materiali), per distinguerli dai Conventuali.
Spirituali e Conventuali
Gli Spirituali trovano un buon momento sotto il papato di Celestino V (durato pochi mesi, da luglio a dicembre 1294), che li autorizzava a riunirsi in un ordine religioso autonomo, dedito principalmente alla vita eremitica. L’ordine, chiamato anche dei «celestini», viene sciolto da papa Bonifacio VIII a un solo anno di distanza (bolla Olim Coelestinus dell’8 aprile 1295).
La tensione si acuisce sotto il papato di Clemente V, che conferma la facoltà di usare i beni materiali (bolla Exivii de Paradiso del 1312), e Giovanni XXII, che condanna gli Spirituali (bolla Quorumdam exigit del 1317) e li dichiara eretici (bolla Sancta Romana del 1317), chiamandoli con il termine dispregiativo di «fraticelli».
Dopo la condanna degli Spirituali e la ribellione dei fraticelli, il francescanesimo, confinato nell’ordine dei Conventuali, riceve nuovo impulso grazie all’iniziativa di Giovanni della Valle che, nel 1334 dà vita all’ordine degli Osservanti (approvato dal papa Clemente VI con la bolla Bonorum operum del 1350), i quali ritornano all’applicazione della Regola francescana in tutto il suo rigore.
Alla fine del secolo XIV, s’inseriscono nel gruppo degli Osservanti dei grandi predicatori e pensatori del calibro di Giovanni da Capestrano, Bernardino da Feltre, Giacomo della Marca e Bernardino da Siena (probabilmente immortalati nella tavola di Colantonio). Quest’ultimo cerca di allontanare le dispute sul vero francescanesimo, valorizzandone l’aspetto più «spirituale», senza cadere però nell’estremismo del pensiero di Gioacchino da Fiore.
Bernardino da Siena
Bernardino da Siena (1380-1444) è anche un grande estimatore dell’operato umanistico di San Girolamo. Vicario generale degli Osservanti, dopo vari tentativi di riunione degli ordini francescani, muore all’Aquila nel 1444 e viene proclamato santo nel 1450. Nel dipinto di Colantonio, appare tra le figure alla destra del Santo di Assisi, il più anziano con l’aureola e lo sguardo severo.
Quando Colantonio si appresta a realizzare questa grande opera, dunque, sicuramente è al corrente della canonizzazione di Bernardino, quantunque l’aureola sull’Albizzeschi costituisca una novità iconografica per il personaggio (rispetto ad altre figure di santi presentati come tali in anticipo sulla canonizzazione), oppure l’opera è successiva al 1450.
Leone, Sant’Antonio o Bonaventura?
L’altro francescano con l’aureola, intento a leggere la Regola, potrebbe essere il beato Leone, destinatario della Chartula, il documento che rivela, attraverso l’autenticazione apposta sulla pergamena dallo stesso Leone, come un Serafino (simbolo dell’amore puro) abbia consegnato parole e stigmate al Poverello di Assisi. Proprio sopra il Santo volteggiano due serafini (che ricordano tanto l’Arcangelo Gabriele del Trittico Mérode di Campin) con due cartigli provvisti di scritte inneggianti alla pace, ottenuta grazie alla Regola e all’impressione della TAU sulla fronte degli uomini virtuosi quale simbolo di salvezza.
Tale raffigurazione potrebbe designare il passaggio dalla figura di Francesco-Serafino a quella di Francesco-Cristo, ovvero dalle Vitae di Tommaso da Celano alla Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio.
Il rapporto tra il Santo e fra Leone, testimoniato dalla lettera autografa Benedictio fratris Leonis e dalle Lodi, viene ricordato in quegli anni anche in un dipinto di Jan Van Eyck, Stigmate di San Francesco (1430-32), che Colantonio ha certamente visto e rivisitato.
Non escluderei, tuttavia, che la stessa figura rappresenti Sant’Antonio di Padova, probabile punto di incontro delle due anime del francescanesimo, sottoscrittore della Regola bollata e fra i primissimi predicatori nel novero dei conventuali mandati dallo stesso Francesco prima in Marocco a convertire i musulmani, poi in Francia per combattere l’eresia albigese e catara.
Così come non potrei escludere anche la figura dello stesso San Bonaventura da Bagnoregio, quale autore conventuale della biografia di San Francesco.
Niccolò IV o Ludovico di Tolosa?
Al centro del gruppo dei francescani, c’è un cardinale o un papa che regge un pastorale e potrebbe configurarsi nella persona di Niccolò IV, il primo papa francescano, già menzionato, o in Ludovico di Tolosa, se dovessimo attenerci alla tradizione.
Le Clarisse
Dall’altra parte, alla sinistra del Santo, fra le clarisse, assistiamo alla consegna della Seconda Regola (approvata da papa Innocenzo IV il 9 agosto 1253) nelle mani di Santa Chiara. Alla destra della Santa, troviamo, raffigurata con il velo nero e senza aureola (anche se senza le classiche rose o pani in grembo), Santa Elisabetta d’Ungheria, con accanto Caterina Scifi, detta Agnese d’Assisi (santa dal 1752), sorella minore di Chiara; alle sue spalle un’altra figura di clarissa più anziana e con l’aureola, che individuerei (viste le somiglianze somatiche) nella persona della beata Ortolana Fiumi, madre di Chiara; infine, in primo piano e con le mani giunte, l’ultima sorella di Chiara, la giovanissima Beatrice.
Ad aiutarci nell’individuazione, intervengono dei particolari. L’aureola, in generale, rileva la santità del personaggio, ma il colore e la forma ne sottolineano anche il grado. Colantonio ricorre al linguaggio gotico per impreziosire le sue aureole «flamboyants»: Bernardino ne ha una tutta dorata, simbolo di luce estrema; San Francesco, il papa e Santa Chiara hanno aureole dorate con sfondo nero, indice della loro missione terrena; Leone/Antonio e Ortolana hanno aureole dorate con sfondo rosso, simbolo della “santità di vita” dei servi di Dio.
Anche le Clarisse, nel corso della loro storia, avevano subito una scissione, dovuta sempre alle deroghe alla Regola: le intransigenti Damianine (per via della prima collocazione presso il monastero di San Damiano) e le Urbaniste (aderenti alla bolla di Urbano IV del 18 ottobre 1263, con regole meno restrittive).
Qual era l’obiettivo di Colantonio?
Dopo questa breve analisi, la domanda è: nel dipinto di Colantonio appare l’impronta dei francescani Osservanti o dei Conventuali?
Evidentemente, di entrambi, anche se più a favore degli Osservanti, profilo che ben qualifica la comunità minoritica di San Lorenzo di Napoli: i beati dei pilastrini appartengono alla compagine degli Spirituali (Silvestro, Pietro, Galbazio, Masseo), altri al novero dei Frati Minori (Francesco, Leone), degli Osservanti (Giovanni, Giacomo, Bernardino), del Terzo Ordine Francescano (Santa Elisabetta d’Ungheria) e delle Damianine (Chiara, Ortolana, Beatrice, Agnese, Pacifica, Benvenuta, Cristiana, Amata, Illuminata, Consolata) e, in parte, dei Conventuali (Bonaventura, Niccolò IV). San Girolamo, pur non essendo francescano per ragioni cronologiche, è l’eremita di riferimento per il gruppo degli Osservanti.
Con queste caratteristiche, l’opera complessiva ci appare non solo come un tentativo di conciliazione tra le parti sempre avverse, ma anche un tributo nei confronti del re Alfonso, capace di dare unità di intenti all’Ordine, nel singolare contesto del più importante e antico scrigno francescano del suo regno: la Chiesa di San Lorenzo Maggiore a Napoli.
Gli Osservanti raggiungono la completa autonomia nel 1446 con la bolla Ut sacra Ordinis Minorum religio di Eugenio IV. Grazie a questa concessione, trovano grande diffusione in tutta Europa, superando nel numero i Conventuali.
Sull’arte napoletana e Colantonio in particolare, la bibliografia è ricchissima, qui suggeriamo: NICOLINI F., L’arte napoletana del Rinascimento e la lettera di P. Summonte a M. A. Michiel, Napoli 1925, pp. 160-163 e 199-232; ARU C., Colantonio ovvero il Maestro dell’Annunciazione di Aix, in Dedalo, XI (1931), 2, pp. 1121-1141; BOLOGNA F., I pittori alla corte angioina di Napoli, Roma 1969, pp. 280 s.; CAUSA R., L’arte nella certosa di S. Martino, Napoli 1973, p. 20; PANE R., Il Rinascimento nell’Italia meridionale, I, Milano 1975, pp. 73-77; BOLOGNA F., Napoli e le rotte mediterranee della pittura da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico, Napoli 1977, pp. 53-96.
Per tutti i riferimenti bibliografici e le note con approfondimenti vedere:
Dario De Pasquale, Antonello da Messina e il suo tempo, ABC SIKELIA Ed., ed. 2022.