Michelangelo, l’elogio del genio imperfetto

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Michelangelo è considerato universalmente un artista completo, uno dei più grandi che la storia dell’arte potesse regalarci. Genio dalle svariate doti, come spesso accadeva ai più talentuosi, si ritrova a ricoprire, in maniera impeccabile, i ruoli di architetto, scultore, pittore e poeta. E’ considerato anche il massimo esponente del periodo rinascimentale, ma, al contempo, ne rappresenta anche la sua drammatica conclusione. 


Figlio di un podestà caduto in bassa fortuna (senza più la protezione dei potenti di allora), Michelangelo Buonarroti (6 marzo 1475-18 febbraio 1564) vive l’infanzia presso il paese natio di Caprese, per poi trasferirsi a Settignano. In quest’ultimo paesino si conduce una fiorente attività per allora: l’estrazione della pietra serena (una roccia molto usata come elemento decorativo di palazzi e chiese). Lì Michelangelo dice di essere cresciuto artisticamente, “bevendo il latte della balia mescolato a polvere di marmo”. 

Dodici anni e già artista

Michelangelo mostra sin da piccolo una grande predisposizione per l’arte, il padre lo invita più volte a desistere perché non viva nelle stesse ristrettezze economiche che in quel momento la sua famiglia sta attraversando, ma lui non demorde e il genitore, seppur contrariato, è quasi costretto a portarlo a Firenze presso la bottega di Domenico Ghirlandaio (1487).

A Firenze, Michelangelo si mette in evidenza come abile riproduttore di opere classiche greche e romane (Il fauno e Il Cupido, per esempio, venduti dal 15enne Michelangelo per qualche decina di ducati, circolavano presso i da collezionisti d’arte come pezzi antichi originali a costi dieci volte superiori).

Vengono attribuiti a questo primo periodo giovanile due rilievi, conservati in Casa Buonarroti: la Madonna della Scala (1489-94) che trae da Donatello la tecnica del rilievo a stiacciato e la fattura dei putti sullo sfondo prospettico, mentre l’abile panneggio del manto della Madonna, il suo profilo armonico e la torsione delle spalle del bambino sono tutte delle evidenti reminiscenze classiche della scuola attica.

Michelangelo, Madonna della Scala, 1489-94, casa Buonarroti.

Appartiene al 1491 la Lotta dei Centauri, espressione anch’essa degli studi classici compiuti presso il Ghirlandaio e della cultura neoplatonica del giardino mediceo, talmente incisiva nella vita dell’artista (forse per via dell’intensità della scena e la difficoltà della stesura nelle piccole dimensioni della formella in marmo) che volle tenerla per sé per tutta la vita.

Michelangelo, Centauromachia (Lotta tra centauri), 1491, casa Buonarroti. La composizione diparte dalla figura centrale e si dipana in maniera articolata dal basso verso l’alto e in senso circolare. A dare maggiore drammaticità alla scena è il contrasto di superfici: laddove il grezzo si scontra con il finito liscio. La scena è tratta dalle Metamorfosi di Ovidio ed è testimonianza del profondo studio compiuto dal giovane artista sull’iconografia antica.Intorno al 1489 viene in contatto con la famiglia Medici e con l’ospedale annesso al monastero di S. Spirito, laddove ha la possibilità di apprendere l’anatomia umana sul corpo dei cadaveri stessi.

Firenze dopo Lorenzo il Magnifico non è più sicura

Dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta nel 1492, sente giunto il tempo della decadenza per Firenze, in preda a un epocale cambiamento politico e sociale. La contemporanea scoperta dell’America grazie all’impresa di Cristoforo Colombo, porterà nuove ricchezze nel continente europeo, sbilanciando i rapporti di forza tra grandi regni come Spagna e Francia e i piccoli deboli regni italiani.

Fra il 1494 e il 1495, Insieme ad alcuni componenti della famiglia de’ Medici, Michelangelo si reca a Bologna, ospite di Gianfrancesco Aldrovandi. Qui realizza un Angelo reggicandelabro, S. Procolo e S. Petronio, probabilmente ispirati ai rilievi di Jacopo della Quercia nel portale di S. Petronio.

Michelangelo, Angelo reggicandelabro, Bologna 1495

Il cardinale romano Riario lo chiama a sé catturato dalla sua incredibile bravura (ne aveva fatto da poco le spese acquistando un falso Cupido da un collezionista, realizzato proprio da Michelangelo). Cosicché, tra il 1496 e il 1501, Michelangelo si trova a Roma, dove esegue, su commissione del cardinale Riario, il Bacco (poi acquistato dal collezionista di antichità Jacopo Galli) e la Pietà (1498) commissionata dal cardinale francese Jean de Bilhères e destinata alla rotonda di S. Petronilla (cappella dei re di Francia), presso l’antica basilica di S. Pietro (prima presso l’antica sagrestia, poi nella prima cappella della navata destra della nuova basilica di S. Pietro).

Michelangelo, Il Bacco

Michelangelo, Pietà, Basilica di San Pietro, Roma, Vaticano. Nel 1498, il cardinale J. Bilhères gli commissiona una Pietà per la sua tomba in S. Petronilla a Roma: per il carattere di perfetta armonia, grazia e bellezza, l’opera suscita universale ammirazione. L’esecuzione compositiva è perfetta: una struttura piramidale che ha come vertice il volto giovane della Madonna e come base il manto su cui si staglia il corpo inerte del Gesù sceso dalla croce. E’, contemporaneamente, un’immagine di straziante dolore e di grande senso di compostezza e contemplazione. Al centro, il tema della fede che cura ogni lacerazione con la forza di un abbraccio. Il panneggio convulso della Vergine (viva) accentua la drammaticità dell’azione, mentre il corpo ampio e lucido del Cristo (morto) getta luce nelle tenebre dell’aldilà. L’opera, densa di contrasti visivi, emotivi e iconografici, è una prova che solo gli artisti maturi e talentuosi sono in grado di realizzare: difficilissimo, infatti, realizzare con questa leggerezza e naturalezza l’irrealistica figura di una giovane donna che regge il corpo di un uomo. In più, Michelangelo la concepisce con una Madonna sedicenne, sensuale madre di tutti i cristiani, e un Cristo con evidenti lampi di vitalità (notare la mano che trattiene un lembo della veste e il particolare dei muscoli ancora guizzanti).


A Firenze per il David

Ritornato a Firenze, gli viene commissionata la statua di David (1501-04), ricavata da un lastrone di marmo sbozzato in precedenza da altri scultori e abbandonato perché pericolosamente incrinato. Michelangelo lo fa tornare a nuova vita, individuandone i punti critici e costruendo una statua stabile. Il colosso costituisce non solo una delle più alte espressioni dell’arte rinascimentale e michelangiolesca, ma uno dei simboli della cittadina toscana la cui posizione faceva invidia a tanti aspiranti al potere, papa compreso.

Michelangelo, David, marmo di Carrara, 1501, Piazza della Signoria (copia), Accademia (originale), Firenze. Il David, ricavato da un grande blocco di marmo, già sbozzato e ritenuto non più utilizzabile, fu occasione di sfida per il superamento di una difficoltà materiale sfruttata dall’artista che concentrò nell’immagine con il massimo di intensità l’energia, la volontà che precede l’azione.

Nella Firenze del 1501, il clima politico è letteralmente cambiato, ma Michelangelo si fa diretto interprete della nuova ventata di novità repubblicane. Lo stesso David è il simbolo della Firenze libera da ogni tirannia e, difatti, viene collocato di fronte al palazzo della Signoria. Allo stesso modo, l’artista è impegnato nell’affresco della Battaglia di Cascina presso la Sala del Consiglio di Palazzo Vecchio, proprio davanti al perduto e contemporaneo affresco di Leonardo (chiamato Battaglia di Anghiari). Anche la battaglia serve a ricordare la grandezza di Firenze e il suo forte desiderio d’indipendenza. Se il tema del suo collega Leonardo è analogo, diversa è la scelta della scena rappresentata, non una guerra ma il momento che la precede, con la preparazione alla tensione e allo scontro da parte dei soldati rappresentati.

Aristotile da Sangallo, Battaglia di Cascina, copia dall’originale di Michelangelo, 1505-1506

L’attività artistica di quei tempi è frenetica (Michelangelo ha circa trent’anni) e del 1506 è la Madonna col bambino (Tondo Doni), ordinata da mercanti fiamminghi e collocata nella chiesa di Notre-Dame a Bruges. Una sacra famiglia del tutto nuova, con una disposizione originale dei componenti, a spirale piramidale, dove il tema della famiglia si confonde con quello della trinità.

Michelangelo, La Sacra Famiglia (Tondo Doni), 1506, Galleria degli Uffizi, Firenze. Dipinta per Agnolo Doni, la Sacra Famiglia (Firenze, Uffizi) è l’unica opera su tavola del nostro pittore che può definirsi compiuta. La stesura anticipa le figure possenti e gli ignudi della Capella Sistina, mentre la composizione piramidale con al centro la figura principale della Madonna è il tramite fra lo spettatore terreno e la dimensione umana e, allo stesso tempo, divina dell’unità familiare. Il punto di unione fra le due parti è il S. Giovannino sulla destra con la corona di alloro sulla testa, mentre gli ignudi rappresentano il mondo classico e pagano. La raffigurazione a spirale è un marchio michelangiolesco, simbolo del tormento dell’animo umano diviso.

Di nuovo a Roma

Nel 1505 è di nuovo a Roma per eseguire la tomba di Giulio II in S. Pietro, un mega-progetto voluto dal megalomane papa Giulio II che lo terrà impegnato per i prossimi quarant’anni. Michelangelo si trova nella scomoda posizione di dover interrompere l’affresco della Battaglia di Cascina, annullare il contratto con l’Opera del duomo per le statue degli apostoli, costretto a scegliere i marmi presso le cave di Carrara. Il progetto iniziale in forma di edicola da collocare nell’abside dell’erigenda nuova basilica vaticana, prevede una serie di allegorie delle arti liberali, chiamate Prigioni, rimaste orfane del papa mecenate che, in vita, le aveva largamente sostenute, e, al secondo livello, le statue di Mosè, di S. Paolo, della Vita attiva e della Vita contemplativa quali pilastri della Chiesa cristiana e rappresentazioni del profilo intellettuale del papa; al terzo livello, il Cielo e la Terra (o, forse, due angeli) reggono l’arca funebre del pontefice.

Michelangelo, Tomba di Giulio II, 1505-1545, San Pietro, Roma. La tomba di Giulio II rimaneva un impegno morale ed artistico centrale nella vita di Michelangelo, un pensiero che egli avrebbe inseguito per quarant’anni.

Tornato a Roma, Michelangelo trova tuttavia Giulio II concentrato nello sforzo della demolizione dell’antico santuario di S. Pietro per dar vita alla sua ricostruzione su progetto di Bramante; deluso, nel 1506, riparte improvvisamente per Firenze, invano inseguito dai messaggeri e dalle minacce del papa. Richiamato a Roma, cerca inutilmente di sottrarsi alla volontà del papa affinché finisse l’affresco della volta della cappella Sistina, cosicché nel maggio del 1508 intraprende il grande lavoro che completerà solo nell’ottobre del 1512. 

La Cappella Sistina

In questa opera immensa, Michelangelo pensa di evocare l’origine del creato, dell’umanità e del suo destino: la Creazione; il Peccato, il Diluvio; i presagi della Redenzione nei Profeti e nelle Sibille; la lunga attesa del Cristo della stirpe di David nelle figure dei suoi ascendenti. Sono figure e concetti familiari da secoli all’arte e alla coscienza religiosa e perciò a tutti intellegibili; la novità è costituita dalla ciclopica eppur armoniosa presenza fisica dei personaggi dell’opera, contestualmente ispirate al tormento dell’artista: l’uomo, infatti, è così grande da potersi ergere fra i suoi simili per forza e intelligenza, ma così mortale da non poter primeggiare con Dio. Le storie della Genesi sono intervallate da finti archi marmorei. Nelle vele, ammiriamo la serie dei sette Profeti e delle cinque Sibille assisi in trono e, al di sopra, gli Ignudi costruiscono una linea compatta che dà volume e ritmo all’intera membratura. Nei quattro scomparti triangolari sulla volta troviamo Aman crocifisso; il Serpente di bronzo; David e Golia; Giuditta e Oloferne, nei triangoli e nelle lunette sulle finestre della cappella, invece, le figure della stirpe di Abramo e di David. 

Perché queste figure umane così possenti e anatomicamente voluminose?

Due le possibili risposte: una, tecnica, è legata all’altezza del soffitto, distante da terra ben quindici metri; l’altra, mistico-religiosa, perché Michelangelo, frequentando gli ambienti ecclesiastici romani, comincia a nutrire seri dubbi circa la corretta morale cristiana degli uomini di Chiesa e si sente sempre più uno spirito libero con una grande contraddizione in sé: un’energia straordinaria che proviene dalla sua forza fisica e dal suo genio creativo e, contemporaneamente, un uomo prigioniero di un corpo destinato ad invecchiare e scomparire per sempre. Un immortale con un corpo da mortale.

Michelangelo, L’origine del creato, 1508-1512, Cappella Sistina, Roma.

Dopo il restauro del 1993, i colori della composizione ci appaiono lucenti e decisi, in linea con l’architettura dei corpi rappresentati. Il Dio antropomorfo, già esistente nella coscienza e nell’iconografia cristiana, ha una parte prepotente nello spazio della volta, sembra inondare della sua presenza ogni cosa, grazie al suo gesto imperioso eppur leggero, autorevole eppur condiviso, maestoso e allo stesso tempo umile, vibrante eppur apparentemente statico.   

La sopraggiunta morte di Giulio II obbliga il nostro artista alla rivisitazione del suo sepolcro, un nuovo progetto del 1513 ne stabilisce la versione definitiva, grandemente ridotta. Il complesso marmoreo inizia dal Mosè, una delle sei statue sedute da collocare nel piano del mausoleo. Altre figure non finite sono i due Prigioni (Parigi, Louvre), una sintesi della visione dolorosa della religione cristiana vissuta con grande contrizione dall’artista.

I sepolcri di Giuliano e Lorenzo de’ Medici

Michelangelo, Sepolcro di Giuliano de Medici, Sagrestia Nuova della chiesa di S. Lorenzo a Firenze
Michelangelo, Sepolcro di Lorenzo de Medici, Sagrestia Nuova della chiesa di S. Lorenzo a Firenze

Nel 1514 esegue per Leone X la cappella in Castel S. Angelo, alterando il disegno di Antonio da Sangallo, mentre, nel 1520, gli vengono commissionati i sepolcri di Giuliano de’ Medici e di Lorenzo de’ Medici per la Sagrestia Nuova della chiesa di S. Lorenzo a Firenze, un esempio felice di connubio tra architettura e scultura che segna il passo nella tradizione delle cappelle funerarie. 

 

Nel 1533 viene incaricato da Clemente VII nel completamento della Cappella Sistina per la parte dietro l’altare destinata al Giudizio universale, mentre Paolo III gli affida il completamento di Palazzo Farnese, della piazza del Campidoglio e della cupola di S. Pietro. 

Michelangelo, Giudizio Universale, 1535-1541, Cappella Sistina, Roma.

Le opere letterarie

Nell’ultima fase della sua vita si dedica alla composizione di un epistolario e di alcuni versi in rima, grazie anche all’amicizia con la romana Vittoria Colonna, promotrice di un importante salotto letterario e di confessione religiosa valdese.

Nella sua lunga vita poteva vantarsi di aver servito ben sette papi.

Il suo soggiorno a Roma, da allora in poi diviene definitivo e non tornerà mai più a Firenze. 

Michelangelo architetto di San Pietro

Alla morte di Antonio da Sangallo il Giovane (1546), Michelangelo è nominato architetto di S. Pietro (1547). Su ispirazione della monumentale cupola del Brunelleschi, Michelangelo pensa a una cupola ancora più grande ma bilanciata anche in larghezza, tale da accogliere idealmente tutta la cristianità. Alla sua morte, la Basilica era costruita fino al tamburo, quando gli architetti Della Porta e Fontana ne abbracciarono l’eredità.

Michelangelo, Cupola della Basilica di San Pietro, disegni preparatori

Le ultime opere e il non-finito

Fra le sue ultime sculture, due Pietà incompiute (Firenze, Duomo e Palestrina, Accademia di Firenze) e la Pietà Rondanini, (1555-59, Milano, Castello Sforzesco). Le ultime opere di Michelangelo sono volutamente non finite: la decisione non è legata alla possibile stanchezza derivante dalla sua avanzata età. Ragioni di ordine mistico lo portano a una rinuncia alla fase di rifinitura: l’uomo è un essere imperfetto poiché mortale e, anche se può assicurarsi l’immortalità attraverso le sue produzioni creative, è allo stato embrionale che, in realtà, raggiunge il massimo della sua espressività. È nel sentirsi imperfetti che si cerca di migliorarsi. È in quello straordinario momento di crescita che l’uomo si nutre della sua più grande forza: la speranza.

Michelangelo, Pietà Rondanini, 1555-59, Castello Sforzesco, Milano

Michelangelo muore a Roma nel 1564, lasciando un enorme vuoto nel campo dell’arte e aprendo una fase di grandi trasformazioni artistiche, al limite della rivoluzione.


 

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