Con Le mani su Messina abbiamo assistito al “sacco” ottocentesco di Messina, oggetto di un rinnovamento urbanistico sì, ma anche preda di affarismi di ogni sorta. Qui, attraverso un libello dell’epoca, si parla di responsabili e di responsabilità.
I nuovi barbari: politici in cerca di voti
Riccardo Hopkins è un personaggio cosmopolita, figlio di un negoziante inglese integrato nel contesto sociale messinese, che possiede innato l’istinto giacobino della rivendicazione dei diritti liberali. Già nelle prime pagine richiama la cittadinanza al dovere civico, chiedendole di mettersi nei panni di quel povero forestiero costretto ad attraversare i quartieri «sconci e deturpati» del centro storico. I colpevoli, asserisce l’ingegnere, siamo noi stessi, per l’indolenza con cui si tratta l’interesse sociale, il rifiuto della partecipazione al bene pubblico, l’uso frequente dello scambio di favori e del clientelismo. Non ultimo il ricorso alla mafia, pur di far valere la propria autorità.
Sempre secondo Hopkins, il consiglio comunale messinese del dopo unità d’Italia riflette questa mentalità comune e la rappresenta in tutta la sua negatività. Ma non per la disonestà congenita negli individui, quanto per la cattiva abitudine di lasciarsi plagiare dal sindaco. Hopkins approfitta dell’occasione per destarli dal letargo in cui si trovano, esortarli a «cambiare indirizzo» o a dimettersi, per non rendersi complici del danno arrecato alla città. Solo qualora non si faranno più oggetto dei voti di scambio, «allora i grandi elettori di bassa sfera, residenti o reduci d’America e dalla provincia Toscana, non s’imporranno più sulla nostra cittadinanza».
Si profila, in queste parole, il nuovo nemico di fine secolo da combattere, non più l’austriaco o il borbone, ma i nuovi invasori: quei politici senza scrupoli in cerca d’elettori su tutto il territorio nazionale. Quelli che vanno al potere per poter eseguire un’opera pubblica curando l’interesse personale, quelli che dedicano monumenti ai commendatori, quelli che fanno vendere i propri giornali. Nello scenario presentato da Hopkins, il sindaco Cianciafara rappresenta il tiranno da combattere; la mafia uno strumento di coercizione da utilizzare come ultima risorsa; il Municipio un’oligarchia che gestisce un potere esclusivo e non di rappresentanza. Di contro, l’allora sindaco di Palermo Mariano Stabile diventa un esempio di virtù civiche.
Il mancato piano regolatore del 1865
Nel capitolo secondo, Hopkins si getta testa e corpo sull’argomento «piano regolatore», punto di forza del potere cianciafariano. Fino al 1860, il piano regolatore in vigore a Messina fu quello borbonico del 12 ottobre 1852, sostituito dalle disposizioni transitorie del 1859, fino alla promulgazione della legge comunale e provinciale del 20 marzo 1865.
Quest’ultima sarebbe entrata in vigore il 1 luglio 1865. Durante il periodo di vacanza della legge, tutti i consigli comunali italiani avrebbero dovuto attivare il nuovo piano regolatore secondo le nuove direttive, stabilite soprattutto dall’articolo 70 e riguardanti:
«1. la formazione delle commissioni edilizie comunali con voto puramente consultivo;
2. la determinazione del perimetro dell’abitato a cui si debbono intendere assolutamente circoscritte le prescrizioni dei Regolamenti stessi;
3. i piani regolatori dell’ingrandimento o di livellazione, o di nuovi allineamenti delle vie, piazze e passeggi pubblici;
4. erezione, demolizione o ristauro dei fabbricati e costruzioni murali poste a vista del pubblico e gli obblighi relativi dei proprietari, ad oggetto che non siano violati i piani di cui al numero precedente, ed al fine che non sia impedita la viabilità e non sia deturpato lo aspetto dell’abitato;
5. l’intonaco e le tinte dei muri e delle facciate, quando la loro condizione deturpi l’aspetto dell’abitato, rispettando gli edifizi di carattere monumentale sì pubblici che privati;
6. l’altezza massima permessa pei fabbricati in correlazione alla ampiezza della via e dei cortili;
7. le sporgenze di qualunque genere sull’area delle vie e piazze pubbliche;
8. i lavori sotterranei da eseguirsi nel pubblico sotto-suolo e la forma delle ribalte destinate a dar luce od accesso ai luoghi sotterranei sì pubblici che privati, quando tale ribalte esistono nei luoghi di pubblico passeggio;
9. l’apposizione e la conservazione dei numeri civici;
10. la formazione, la conservazione ed il ristauro de’ marciapiedi, dei lavori nei portici e dei selciati nelle vie o piazze.
Art. 107: «Il Governo del Re può modificare i regolamenti che vengono deliberati dai comuni e dalle provincie, quantunque ne sia delegata l’approvazione alle deputazioni provinciali od altra autorità. A tale effetto sarà sempre trasmessa copia dei Regolamenti approvati al ministero competente. Il provvedimento del Re emana tanto sopra ricorso come pure per iniziativa del Governo».
L’iter era dunque molto chiaro: nominare una commissione edilizia a carattere consultivo, sottoporre i progetti al governo del re per l’approvazione. L’amministrazione comunale presieduta dal sindaco Cianciafara mise in piedi una commissione edilizia, alla quale prese parte pure l’ingegner Hopkins.
Il nuovo piano edilizio trovò strenue opposizioni da parte d’alcuni consiglieri comunali e di quattrocentotre cittadini. Il prolungamento della via Garibaldi, ad esempio, fu fortemente osteggiato dall’ing. Leone Savoja. I progetti furono spediti prima a Torino, poi a Firenze e infine a Roma senza mai riscontrare la totale approvazione ministeriale. Nel frattempo, la giunta municipale riesumava il regolamento del 1852, ai sensi dell’art. 252 delle disposizioni transitorie della legge n. 2359 del 25 giugno 1865.
Liberalismo o conservatorismo?
L’ironia di Hopkins, in questo contesto, riprende l’antico dissidio tra liberalismo e conservatorismo: chi è più conservatore, il governo che non approva o il municipio che non riesce a produrre un piano regolatore moderno? Hopkins parla da testimone. Nel 1868, infatti, in qualità di membro della commissione per l’edilizia della città, lavorò alacremente sul progetto del piano regolatore edilizio di Torino, affinché avesse la certezza di un’approvazione governativa. La commissione, invece, non arrivò a nessun accordo se non dopo aver stravolto lo schema della copia del regolamento edilizio torinese. E così via, da quella data fino al 1881, senza alcun nuovo regolamento approvato.
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(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].
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