La città che cresce punta al prolungamento della via Garibaldi
Messina è una città che cambia spesso il suo volto, come tutte quelle che, in seguito a varie calamità, tendono a rinnovarsi, stanche di recuperare il vecchio assetto urbanistico oppure pronte a rifiutare l’aspetto precedente, approfittando della distruzione per ricomporre il centro abitato secondo le esigenze emergenti.
All’alba dell’Unità, Messina era in pieno subbuglio, si credeva finalmente libera da ogni oppressione fiscale mentre continuava a mantenere i privilegi del portofranco.
Sulla scia dell’insurrezione popolare e del cambiamento, i simboli delle passate dominazioni furono prontamente abbattuti. Antichi e nobili edifici furono riedificati e si destinarono nuove aree urbane alla costruzione di strutture per lo svago e il tempo libero. Nel fervore della rinascita, arrivarono le proposte degli architetti locali a favore del rimodernamento dell’impianto urbanistico. Si trattava di progetti di notevole spessore culturale ed architettonico, forse anche sovradimensionati rispetto alle reali esigenze della città, ispirati agli stili delle grandi capitali europee.
L’architetto Giacomo Fiore, in uno scritto infarcito di patriottismo e idee illuminate, suggeriva alla nuova amministrazione comunale, retta dal professor Felice Silipigni, un rinnovamento che partisse dal centro storico della città, da Piazza Duomo, con l’ultimazione del portale gotico «interrotto per le calamità della guerra spagnuola combattuta nel 1674-78 […]», la costruzione di due nuove tribunette in sostituzione dell’attuale «informe ammasso di Campanile che torreggia con tanto pericolo», il restauro della Fontana di Orione, sforacchiata «in orribile guisa dalle bombe e dalle mitraglie grandinate su di noi» nel 1848, con la proposta d’inserire una piattaforma con ringhiera e, in direzione di ogni grifone, otto candelabri, reggenti altrettanti globi di cristallo, riportanti i colori nazionali e il nome degli stati italiani: Sicilia, Napoli, Roma, Parma, Modena, Lombardo-Veneto, Piemonte, infine l’erezione di una grande Piramide con quattro bassorilievi in bronzo raffiguranti la liberazione dal regime borbonico. Chiedeva, inoltre, che la facciata della Cattedrale fosse dotata di una moderna illuminazione a gas, in sostituzione degli obsoleti lumi ad olio, causa del turpe annerimento della superficie muraria e anche del suo sgretolamento, poiché gli operai addetti all’accensione dei lumini vi appoggiavano continuamente le scale a pioli1.
Altre proposte di stampo patriottico riguardavano l’eliminazione di ogni traccia dell’oppressore spagnolo: la costruzione di una gigantesca Statua della Libertà davanti al Palazzo di Giustizia, in luogo dell’infamante statua «in cui il superbo spagnolo in trionfo volle mostrarsi in bronzo, con Messina piangente sotto le zampe del suo cavallo»; la riedificazione del Caffè dei Nobili, da ribattezzarsi «Caffè Italiano» ad imitazione del famoso Caffè Pedrocchi del Lombardo-Veneto, con le sale del Caffè per la colazione e il gioco, lieti convegni e il nobile gabinetto di lettura; la trasformazione della Strada d’Austria in via Primo Settembre, con l’abbattimento del baluardo di Don Blasco e la vista indisturbata del mare e della sorella Reggio; la demolizione della Cittadella, creata dal «crudelissimo spagnolo», e la costruzione, in suo luogo, di «un dolce sito» per parco, ballo, giochi, arena, teatro diurno per il popolo, accessibile ai pedoni, alle barche e alle carrozze; la demolizione del forte Gonzaga sito in Montepiselli, risalente al 1540, per dar luogo a un ridente villaggio.
Non mancavano suggerimenti di carattere economico, come la costituzione di un’alleanza commerciale tra Messina, Catania, Siracusa e Noto, perchè anche le altre città siciliane potessero usufruire del beneficio del porto franco messinese e vedere i loro affari prosperare per mare.
Dopo le direttive legislative del 1865, sempre disapplicate secondo l’ex ingegnere comunale Riccardo Hopkins, la giunta di Messina presentava le proposte sul nuovo piano edilizio della città 2. Pochi giorni dopo fioccarono le proteste: quattrocentotre abitanti manifestarono per iscritto la loro ostilità verso il prolungamento della via Garibaldi 3.
L’ingegnere comunale Leone Savoja, chiamato in causa, dichiarava che la via progettata fosse ben proporzionata, sia per l’altezza degli edifici che per la lunghezza e la larghezza stradale: una maggiore estensione su un suolo acclive e di diverse pendenze avrebbe deformato l’effetto prospettico. Gli si oppose il consigliere Lombardo Scullica che, vantando vedute più moderne, riteneva «non doversi applicare tali concetti architettonici alle strade che pur lunghe, come in altre parti d’Europa, sono ugualmente meravigliose»4.
Un altro ostacolo tecnico al prolungamento della via Garibaldi verso sud era la Basilica delle Anime del Purgatorio, collocata proprio alla centro della strada e a cinquecento metri dal piano della Mosella.
Il sindaco Giuseppe Cianciafara si fece promotore dell’abbattimento dell’antico luogo di culto, necessario, a suo dire, «per migliorare la vista e la salubrità dell’intrigo di vie dietro la Basilica».
Sotto gli occhi esterrefatti del patrono della stessa, presente in quel contesto, si stava per consumare un altro capitolo della trasformazione della città in senso moderno. Il primo cittadino, alla ricerca di consensi, incalzava e, al principio, minimizzò circa l’eventualità di una spesa per l’acquisto del patronato della Chiesa e, in luogo di una indennità pecuniaria, propose d’effettuare una «sostituzione» con una chiesa dei soppressi ordini religiosi (Carmine, Minoriti, S. Filippo Neri, Annunziata). Infine, piazzava la stoccata finale, invocando il saldo patriottismo del suo patrono, il marchese Loffredo: «sebbene sia tra i firmatari delle opposizioni, non disconoscerà l’alta utilità della strada creata».
Il giovane marchese, che non amava essere impopolare ma dotato di sufficiente acume da non farsi accecare dai vapori della riforma, «dichiara[va] che non i suoi interessi di patronato della Bas[ilica] delle Anime del Purgatorio, ma la profonda convinzione della niuna utilità dell’opera in progetto, lo ha determinato ad ascriversi alle opposizioni, nella stessa guisa che un contrario convincimento lo avrebbe reso sollecito d’immolare al bene del proprio paese ogni sua privata ragione»5.
Al loquace sindaco non restò che la carta della burocrazia e, dietro sua proposta, il numero degli architetti della neo-costituita commissione edilizia venne ridotto da tre a uno, per non «esercitare troppa influenza nei voti consultivi della medesima». O per garantirsi un unico parere tecnico.
Il regolamento, già in vigore per la città, venne esteso anche ai borghi e ai sobborghi6.
(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].
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Note
- Giacomo Fiore, Di talune opere da costruirsi tra noi in questi primi tempi del Risorgimento italiano, Messina, Tipografia D’Amico, 1 novembre 1860, p. 4
- Dario De Pasquale, Le mani su Messina, Messina 2006, pp. 53-71.
- ACC Me, Tornata di Lunedì 1 aprile 1867, Deliberazione n. III. Regolamento edilizio per la città. La giunta presenta un piano edilizio per la città. La seduta è rinviata per ora tarda, p. 34.
- ACC Me, Tornata del Venerdì 5 aprile 1867, Deliberazione n. III. Reclami contro il piano di ampliamento ed il piano regolatore della Città. Si vota «senza arrestarsi alle osservazioni dei privati» contro il prolungamento e si approva con 31 voti a 1. Dissenzienti Savoja e Picciotto. Astenuti Loffredo e La Corte, p. 34.
- ACC Me, tornata del Venerdì 12 aprile 1867, deliberazione n. I. Incidente sull’approvazione dei verbali. Loffredo chiede che il verbale precedente sia modificato e dichiara di essersi astenuto non per difendere i propri interessi ma «per secondare il voto di alcuni Consiglieri». Il sindaco oppone che essendosi iscritto nella lista quale oppositore per interessi di patronato non può far valere le opposizioni di Consigliere. Il consiglio riconosce a Loffredo la facoltà di emettere un suo suffragio come consigliere comunale. La rettifica del verbale viene effettuata, pp. 35-38
- ACC Me, tornata del Venerdì 12 aprile 1867, deliberazione n. II. Progetto di Regolamento edilizio per la Città, p. 38.