Nell’articolo precedente abbiamo parlato delle difficoltà di gestione e delle criticità del terremoto di Messina da parte del Governo giolittiano e dell’Esercito italiano, degli interventi di sciacallaggio, dei continui furti, delle fucilazioni dei ladri colti in flagrante. Dopo l’arrivo dei regnanti di Casa Savoia sul luogo del disastro, si organizzarono i comitati di soccorso per la città ferita a morte.
I Comitati di soccorso dopo il terremoto di Messina del 1908 fra solidarietà internazionale, i Cavalieri dell’Ordine di Malta e le «passeggiate di beneficenza»
Lo straniero Paolo Grill si prodigò con molto zelo all’industria e al mecenatismo in Messina. Titolare di una fiorente attività bancaria, gestì anche un’azienda di vini siciliani e calabresi, arrivando a fondare una filiale in Francia. Procurò occupazione e ricchezza a molti messinesi, ma anche ai cittadini di Riposto, Milazzo e Posillipo, dove amministrò numerose attività commerciali. Morì il 7 gennaio del 1883 e nel giorno del suo funerale l’intera città si riversò in processione. Gli uffici e i negozi restarono chiusi in segno di lutto.
Il sacerdote Giuseppe Ciccolo, nel dedicargli un solenne encomio presso il Cimitero degli Inglesi del Gran Camposanto di Messina, si domandò come mai un uomo d’affari fosse tenuto in così grande considerazione a Messina: «non aveva nessuna ufficialità, non era neppure italiano!».
Non era italiano Paolo Grill e nemmeno lo zio Federico. Provenivano dalla Baviera ed erano di religione protestante. «Ma» – concludeva il sacerdote – «Messina è riconoscente verso chi ha fatto del bene» e non poté fare a meno di citare pubblicamente il testamento morale del banchiere, rivolto ai figli: «rammentatevi di essere uniti e concordi fra voi, ricordatevi che siete nati a Messina».
Messina, dunque, era la città del porto franco, delle grandi e facili ricchezze, degli scambi internazionali, dell’accoglienza e del partenariato economico. Ecco spiegato, al di là della solidarietà mondiale per una tragedia umana senza precedenti, l’intervento degli stranieri nella città colpita dal terremoto. Gli inglesi, i francesi, i danesi, gli svizzeri, i tedeschi vennero a cercare i corpi dei loro connazionali Peirce, Sarauw, Sanderson, Jaeger, Grill.
Anche nei soccorsi, come si è visto, scattarono i meccanismi del sostegno internazionale, delle buone relazioni con le maggiori città europee legate a Messina per parentela, affari, gemellaggi. In passato, Messina si era prodigata per soccorrere i catanesi sconvolti dal terremoto del 1693, aveva elargito sussidi agli alluvionati di Firenze nel 1864, ai terremotati del comune di Macchia (CT) nel 1865, ai napoletani danneggiati dal Vesuvio e ai ferraresi colpiti dalle inondazioni del Po nel 1872, aveva mandato aiuti ai genovesi in preda a una grave epidemia di colera, aveva accolto con disinvoltura le comunità protestanti d’investitori inglesi, danesi, svizzeri, tedeschi.
L’aiuto dei Cavalieri di Malta
Dopo il terremoto del 5 febbraio 1783, la città dello Stretto ricevette il primo intervento di soccorso da parte dei Cavalieri della vicina Malta. Il 18 febbraio 1783, il Gran Maestro dell’Ordine, tal Emanuele di Rohan, fu incaricato dai Cavalieri di spedire una squadra con sei galee, comandata dal generale Barlì de Freslom, cariche di viveri, letti, biancheria, medicinali, strumenti chirurgici, medici professionisti, cavalieri, inservienti per il disseppellimento dei morti e il dissotterramento dei vivi, manovali abili nella costruzione di baracche e la distribuzione dei viveri. Le galee approdarono prontamente a Messina e il giorno dopo vi si aggiunse un’altra galea carica di trentamila scudi d’oro. Fu a questo punto che il Vicerè di Palermo, in tempi in cui intervenire tempestivamente per risolvere casi imprevisti e problematiche nascenti all’interno di un regno era considerato un fattore di grandezza politica, pur ringraziando i maltesi per la preziosa opera, rifiutò l’aiuto, assicurando loro che il Re di Napoli avrebbe fatto fronte a tutte le occorrenze. Cosicché ai Cavalieri non restò che ritornare a Malta con il loro carico di attrezzature per il primo soccorso e le monete d’oro. Con qualche ritardo (il 25 febbraio) il re Ferdinando IV fece partire da Napoli una squadra di soccorso dotata di tutto punto, guidata dalla nave ammiraglia Santa Dorotea.
Quest’iniziativa autonomistica e autarchica del re borbonico fu interpretata in maniera molto positiva dai cronisti dell’epoca e continuò ad essere considerata un indice di forza dall’Italia imperialista e colonialista dei primi anni del Novecento: «Qui cade in acconcio, un passeggiero e rapido confronto tra il governo nazionale e il governo borbonico, che parmi non torni a vantaggio del primo. Il governo borbonico, dopo il grande terremoto del 1783, i cui effetti furono quasi eguali a quelli del terremoto del 28 dicembre 1908, provvide come meglio potè; e secondo le risorse e le comodità del tempo, al salvataggio dei sepolti vivi, al soccorso dei superstiti, alla risurrezione delle città distrutte. Ma rifiutò con fierezza, che non sembra verosimile in esso, ogni concorso de’ popoli e de’ governatori stranieri, dicendo che il suo governo aveva provveduto, e si proponeva di provvedere a tutti i bisogni».
L’unica pecca del re Ferdinando IV, dunque, fu quella di non raggiungere anch’egli il luogo del disastro e di starsene, come si disse, seduto a piangere per i poveri messinesi, all’interno della sua reggia.
Anche gli Stati Uniti provvidero a risolvere tutti i problemi causati dal terremoto di San Francisco con le loro sole forze.
L’esatto opposto accadde a Messina nel 1908: il Re d’Italia accettò tutti gli aiuti, compresi quelli dell’Ordine Militare dei Cavalieri di Malta, e si recò presso la città distrutta, seguito dalla consorte Elena di Montenegro, la mattina del 30 dicembre 1908.
Solidarietà internazionale per Messina ai tempi dei Savoja
Per capire quanto fu grande la solidarietà internazionale, basterà citare l’intervento della Croce Rossa di molte città italiane, ma anche di quella francese, cui fece seguito la Società francese di soccorso ai feriti, l’Unione donne di Francia e l’Associazione delle Signore francesi. Molti medici partirono da Siracusa per assistere i feriti sul campo, mentre i medici parigini apportarono il loro aiuto a Napoli, presso l’ospedale Stella d’Italia.
Ventimila profughi furono trasferiti a Catania: 800 presso l’ospedale Garibaldi, 550 presso l’ospedale Vittorio Emanuele, 100 presso l’ospedale Santa Marta; fu improvvisato un ospedale con 160 letti persino all’interno della Camera di Commercio, 70 letti presso un privato a cura della Croce Rossa, 30 letti presso la scuola Villa Ermosa, 100 letti nelle varie cliniche, 50 letti a S. Francesco, 100 letti alle Carceri nuove, 10 letti all’interno dell’Università. Ad Acireale furono ospitati 86 feriti. A Siracusa ricevettero le cure della Croce Rossa 500 feriti di cui 269 presso l’ospedale civile Umberto, 80 all’Arcivescovado, 80 all’infermeria militare, altri in caserme, asili, cliniche.
Le città di Avola, Noto, Spaccaforno, Modica, Ragusa, Comiso, Vittoria, Scicli s’attivarono per accogliere circa 300 feriti. Palermo ospitò 12.000 sopravvissuti di cui circa 350 feriti gravi così ripartiti: 150 al Lazzaretto F. Crispi, 150 al Lazzaretto della Guadagna, 30 all’Hotel Excelsior, 150 presso l’Albergo di Madama Londry a spese della nobile francese De Marle.
Metà dei ricoverati in Napoli e Roma, arrivati al numero limite di 4.534, furono smistati fra Milano, Genova, Torino, Firenze, Bologna e Venezia.
Il Re Vittorio Emanuele elevò il sussidio iniziale di duecentomila lire a un milione affinché tutte le città potessero garantire i ricoveri per i superstiti. Un milione venne elargito anche dal Papa, cinquantamila lire dallo Zar di Russia, cinquantamila lire dall’imperatore d’Austria, un milione dall’Inghilterra, un milione dalla Francia, un milione dagli Stati Uniti.
In molte città italiane furono organizzate le «passeggiate di beneficenza» e le sottoscrizioni che, in poco tempo, fecero salire a oltre trenta milioni di lire la somma depositata presso il conto corrente della Banca d’Italia per i terremotati del 1908.
Le passeggiate di beneficenza
In Sicilia, la formula delle «passeggiate di beneficenza» era molto comune. I frati e i parroci praticavano frequentemente raccolte di viveri per i più disagiati, specie in occasione di piccole e grandi calamità: un’epidemia di peste o di colera, un’alluvione, un terremoto, una guerra. Nella seconda metà dell’Ottocento si moltiplicarono i comitati laici di soccorso presieduti dai notabili della città, su imitazione di quei tradizionali riti di raccolta o d’elargizione di beni che si tenevano in Francia o in Germania, nei borghi operai. Tutte iniziative encomiabili, ma a Messina si ricordano soprattutto le «passeggiate di beneficenza» promosse da Padre Annibale di Francia, a partire dall’epidemia di colera del 1887. Quest’ultima storia, però, merita una trattazione a parte.
Anche le «passeggiate di beneficenza» di Catania, opera dell’instancabile sindaco socialista De Felice Giuffrida, furono particolarmente famose: alcuni carri passavano attraverso la città con De Felice in testa che declamava l’importanza dell’iniziativa. I passanti vi gettavano dentro tutto quello che erano riusciti a raccogliere per i poveri senza-tetto messinesi: vestiti, scarpe, pentolame, soldi.
Notevole la beneficenza di Palermo che, attraverso la famiglia Whitaker, istituì un Comitato di Dame e raccolse ingenti contributi anche dall’Inghilterra. Il Comitato ebbe un ruolo attivo a Messina con la presenza di ventitré dame nelle vesti d’infermiere.
Un altro episodio che catturò l’attenzione dell’opinione pubblica italiana nei primi anni del Novecento, fu l’alluvione di Modica del 26 settembre 1902, in cui persero la vita ben centododici persone e si registrarono danni per due milioni di lire dell’epoca. Il contributo delle passeggiate, soprattutto ad opera delle città di Palermo e di Milano, fu talmente notevole da permettere alla piccola Modica di ricostruire le case distrutte e dotarsi di robusti argini contro le inondazioni torrenziali.
Il disegno di legge a favore dei danneggiati dal terremoto del 1908
L’otto gennaio 1909 fu convocata la Camera dei deputati, in seduta straordinaria, per approvare il disegno di legge presentato da Giolitti a favore dei danneggiati del terremoto del 1908. Il presidente Marcora aprì i lavori con un discorso commovente e patriottico, ascoltato in piedi da tutti i deputati. Poi intervenne il presidente del Consiglio Giolitti che puntò subito l’attenzione degli onorevoli sull’urgenza dei provvedimenti «[…] perciò prego il parlamento di volere ordinare che questo disegno di legge sia dichiarato urgentissimo; e che il presidente della Camera sia incaricato di nominare una commissione, autorizzando questa commissione di riferire anche verbalmente se lo crederà. Non posso fare a meno di mandare anch’io da questo banco un fervido ringraziamento a tutte le nazioni del mondo che, nessuna eccettuata, hanno dimostrato quanto esse apprezzino il valore dell’Italia nella civiltà del mondo, e come nessun paese del mondo possa rifiutarsi di manifestare la propria riconoscenza all’Italia, che è stata per tutti culla di civiltà».
Il disegno di legge fu approvato il 9 gennaio con 406 voti su 411.
A Roma, pochi giorni dopo il decreto, nacque il Patronato Nazionale Regina Elena, costituitosi in ente morale con facoltà di aprire sottocomitati in altre città d’Italia.
Il patrimonio del patronato era costituito:
- dai contributi dei sottoscrittori che si obbligavano a versare annualmente, per dieci anni o per più quote, venticinque lire;
- da fondi assegnati dalla pubblica carità o anche dallo Stato;
- dai lasciti e dalle sovvenzioni di opere pie, o altri istituti, e di privati.
Triste scelta di un governo in decadenza, riferisce il cronista Nicastro Ventura: «Nel 1693 e nel 1783, senza leggi e decreti, le macerie furono sistemate e collocate. Oggi rimangono ancora a montagne, dove la furia tellurica le sospinse».
Articoli precedenti sul Terremoto di Messina:
- Messina 1908-2018: i 110 anni del terremoto che unì gli italiani più dell’Unità
- 28 DICEMBRE 1908: storia di una tragedia annunciata
- Storia di un superstite del terremoto di Messina: Antonio Barreca
- Messina 1908: “quale spettacolo terrificante!”
- Storia del primo telegramma che annunciò il terremoto di Messina al mondo
- Da «Via del Corso» a «Corso Cavour»
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- Trasformismo “alla messinese”
- La Voce di Gaetano Salvemini
- L’acqua: da risorsa naturale a strumento di potere
- Il giorno dopo il terremoto: i soccorsi russi e inglesi
- Il Re e la Regina a Messina a due giorni dal terremoto
(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].
(2) D. De Pasquale, I Marchesi di Cassibile, ABC Sikelia Ed., 2018
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