I terremoti: catastrofi o principio di un cambiamento?

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Il terremoto e il cambiamento sono legati dal comune denominatore della katastrofé degli antichi greci, un fenomeno improvviso che rompe i legami con il passato per dar vita a qualcosa di qualitativamente diverso. 

I terremoti sono catastrofi naturali acuite dall’intervento umano

L’uomo è l’unico animale capace di distruggere se stesso. La corsa al benessere ad ogni costo e il progresso tecnologico da lui promossi hanno avuto, e continuano ad avere, un duro prezzo da pagare in termini di disastri ambientali ed ecologici. Difficilmente, nella parte cosiddetta «civilizzata» del pianeta, troviamo aree «vivibili» e «il male fatale» è sempre in agguato. Se a tutto questo aggiungiamo le catastrofi naturali, i terremoti, i maremoti, le alluvioni, ne viene fuori un quadro tristemente apocalittico. Da decenni si parla di prevenzione, soprattutto nel ramo della scienza medica: prevenzione dai tumori, dalla sindrome da immunodeficienza acquisita, dalla febbre, dai raffreddori, dalla carie… La prevenzione ha costi individuali e sociali minori delle cure, potenzia le difese immunitarie e assicura la continuità dell’attività lavorativa e produttiva. Ai tempi d’oggi costituisce un imperativo categorico e un dovere, più che un semplice consiglio. 

Perchè la stessa teoria non è applicabile alle catastrofi naturali? Anch’esse, come molte malattie, sono imprevedibili, arbitrarie e terribili, investono il povero e il ricco, il buono e il cattivo, il piccolo e il grande, indiscriminatamente. Le tragedie tutte italiane del Vajont e di Sarno sono state il risultato di errori umani, non classificabili come catastrofi naturali. A pensarci bene, anche molte inondazioni sono il risultato del livello critico dell’inquinamento ambientale dell’intero pianeta: le enormi quantità di ossido di carbonio che si liberano ogni giorno nell’aria distruggono l’ozono e fanno aumentare la temperatura terrestre. Di conseguenza i ghiacciai si sciolgono e i mari s’ingrossano, i litorali si modificano, le piogge aumentano. 

Come dicevamo prima, è il prezzo che ogni uomo paga per il proprio benessere. 

I movimenti tellurici, invece, fanno parte della storia della Terra, della sua trasformazione sempiterna di sfera contenente materia viva al suo interno. Oggi, con i nuovi sistemi di monitoraggio, sono state individuate numerose fratture, cosiddette di «sfogo», del magma che ribolle sotto la crosta terrestre. Ma questa parte di crosta, a volte, è abitata e le conseguenze di una serie di vibrazioni mettono a repentaglio la vita degli abitanti, le loro case, le loro attività. Certo, prevedere l’area precisa e il momento in cui l’evento accadrà è praticamente impossibile, anche se nella maggioranza dei casi un terremoto non costituisce un evento improvviso e isolato, ma si ripete con frequenze irregolari, in determinate aree, ed è preannunciato da scosse premonitorie di piccola entità. 

È possibile fare previsioni in materia di terremoti e bradisismi?

L’ideale sarebbe se qualche sensibilissimo sismografo c’indicasse la possibilità del verificarsi di un terremoto alcune ore prima che le onde sismiche si propaghino in superficie, permettendo l’evacuazione delle zone potenzialmente interessate. Ma se consideriamo che le aree dove potrebbe verificarsi il macrosisma sono molto vaste, che le scosse avvertite da un sismografo potrebbero non raggiungere la superficie o, viceversa, propagarsi a una velocità sconcertante, uno sfollamento organizzato di persone è solo un’utopia. 

Ci tocca tornare al tema della prevenzione. 

Sin dall’antichità l’uomo si è impegnato in costruzioni che potessero resistere ai tempi, agli incendi e alle invasioni di popolazioni nemiche. Minore è stato l’impegno verso le architetture antisismiche, giustificato dalle scarse conoscenze in materia. Gli edifici realizzati dagli antichi Romani presentavano caratteristiche strutturali di maggiore resistenza rispetto a quelli progettati da altri popoli pur tecnologicamente avanzati, come i Greci ad esempio, grazie ai materiali e alle nuove tecniche utilizzate (mattoni, paramenti murari, archi, volte e cupole). Sul finire dell’età repubblicana, a Roma, si erano già esauriti gli spazi per la costruzione di nuovi alloggi e si cercò di sfruttare al massimo lo spazio disponibile in verticale. Nei primi tempi, come ci conferma Vitruvio (De Architettura, II, 3), si abbassò solo il soffitto per non compromettere la stabilità dell’edificio, poi si costruirono altri piani, aiutandosi con i declivi dei colli. Durante l’età imperiale, la quotazione degli affitti raggiunse livelli da brivido e la conseguente speculazione edilizia contribuì a perfezionare gli studi sulla costruzione d’imponenti edifici a cinque o sei piani, capaci di resistere ai tempi e alle catastrofi naturali. 

Durante tutto il Quattrocento e il Cinquecento si recuperarono il trattato di Vitruvio e le preziose conoscenze architettoniche dell’antica Roma, riconoscendo qualità asismiche a strutture come il Pantheon, poiché provviste di intercapedini capaci di assorbire lo sfogo dei vapori sotterranei, principale causa delle scosse telluriche, secondo gli antichi. Con la Controriforma, la storia delle strutture antisismiche prese una piega sempre meno scientifica e bisognò arrivare all’età dei lumi perché i terremoti non si considerassero un castigo divino e si prendessero seri provvedimenti per rinforzare la struttura portante delle case. Da qui ebbe inizio una serie di studi strabilianti, alla luce dei mezzi tecnici a disposizione, che portarono alle prime leggi statali sui sistemi d’architettura antisismica per le zone a rischio. 

Messina, terremoto del 28 dicembre 1908.

Il maremoto che il 26 dicembre 2004 ha colpito le numerose isole al largo dell’Oceano Indiano, nonché la zona costiera sudorientale dell’India, del Bangladesh, del Myanmar, della Thailandia e dell’Indonesia, ha cancellato le numerose forme di vita umana e animale che vi si erano insediate. Si parla di più di 150.000 morti in un’estensione territoriale molto vasta, dove esistevano buone e robuste abitazioni, quelle dei ricchi e dei turisti, e una moltitudine di capanne fatte di legno e paglia, spazzate via come fuscelli dalla furia distruttiva del mare. In realtà l’evento ha messo in evidenza i mali di tutti questi paesi, divisi in due aree sociali lontanissime, eppure integrate: i troppo ricchi e i troppo poveri. Le case dei primi sono rimaste in piedi, seppur devastate, quelle dei secondi sono state completamente cancellate, insieme alle famiglie formate da elementi giovanissimi. E poi la mancanza di sistemi di allarme geosismico, di una protezione civile, di strutture sanitarie. 

Bisogna attivare meccanismi auto-conservativi

Come un uomo nella vita si prepara al peggio mettendo da parte dei risparmi o curando la propria alimentazione o investendo su quanto ritiene più sicuro per l’avvenire suo e dei propri figli, anche uno Stato sano dovrebbe adottare tutti quei meccanismi di difesa utili a garantire la sua autoconservazione. Ecco il punto: gli Stati sudasiatici non avevano pensato ad attivare meccanismi auto-conservativi. 

Ma non è solo un difetto di quei Paesi. Anche in Occidente, anche in Italia, possiamo quotidianamente osservare fenomeni che minano la stabilità sociale ed economica di una comunità. Principalmente l’inquinamento e la speculazione edilizia. Realtà che minacciano costantemente il nostro futuro (1). 

Credo che gli obiettivi dell’Agenda 30 siano perfettamente in linea con questa visione:

Insieme, possiamo programmare uno sviluppo sostenibile:

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Anche quest’anno è stata avviata la campagna nazionale “Io non rischio” (ottava edizione), che aiuta a diffondere fra i cittadini la cultura della prevenzione e le buone pratiche di protezione civile per ridurre l’impatto dei rischi naturali quali quello sismico, alluvione e maremoto. La copertina su sfondo giallo fa parte della campagna della protezione civile.


 

(1) Tratto dal libro “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, di Dario De Pasquale, Messina 2006, pp. 12-17.

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