L’arcangelo Raffaele (in ebraico “Dio ha guarito”) è una particolare figura legata al sacramento del matrimonio e rappresenta lo strumento di Dio per ogni guarigione di tipo fisico e spirituale.
Una rappresentazione singolare a Galati Mamertino
Nel messinese, l’arcangelo Raffaele ci appare in un quadro particolarissimo, Tobia guarisce il padre Tobi, custodito presso la Chiesa di Santa Caterina di Galati Mamertino, piccola perla incastonata nei monti Nebrodi e centro di un importante ex-feudo, di cui conserva tutt’oggi importanti testimonianze, molte ancora da scoprire. La tela, della metà del Settecento, è attribuita al pittore palermitano Gaetano Mercurio (1730-1790).
Storia di Tobia
La storia di Tobia in cui ha parte fondamentale l’arcangelo Raffaele è tratta dalla Vulgata (traduzione della Bibbia in latino da una versione greca ed ebraica) e tratta di una complessa storia familiare: Tobi, abitante di Ninive e osservante della tribù di Neftali, uomo pio e caritatevole, è diventato cieco; ma i guai in famiglia non vengono mai da soli, perciò una sua parente, Sara, figlia di Raguele, sta attraversando un brutto periodo: i suoi mariti muoiono uno dopo l’altro, uccisi proprio durante la notte delle nozze dal demone Asmodeo. Tobi e Sara, distrutti dal dolore, invocano la morte rivolgendosi a Dio. Dopo poco tempo arriva dal cielo l’arcangelo Raffaele che invita Tobia, figlio di Tobi, a raggiungere la casa di Raguele, dove conoscerà la sua futura sposa Sara e con la quale troverà la cura per guarire il padre dalla cecità. Ma la strada non è facile: Tobia deve fabbricare l’unguento miracoloso traendolo dal cuore, dal fegato e dal fiele di un pesce del fiume Tigri, che rischia di farlo annegare. Infine, lo sforzo è premiato: il fumo del pesce allontana il demone Asmodeo e l’unguento ricavatone guarisce il vecchio Tobi. Quest’ultima scena simboleggia il periodo del fidanzamento, tempo di verifica dell’impegno personale e del raggiungimento dello stato di grazia che porterà al matrimonio. Dietro la figura angelica c’è la mano di Dio che mette fine alle tribolazioni in segno di consenso al progetto di ogni unione matrimoniale sincera.
Il racconto è anche un invito ai doveri verso i morti (Tobi, prima di diventare cieco, seppelliva nel silenzio della notte i morti uccisi), alla pratica dell’elemosina, al gesto altruistico e alla contemplazione del miracolo divino.
Un tema benaugurale per gli sposi
Anche questi sono temi dell’unione sponsale, della ricerca di una dimensione consapevole della propria persona sulla faccia della Terra, dei propri sentimenti e della propria sessualità. Nello sconquasso della vita che prende tutto, affetti, amori, la vista dei propri occhi, l’arcangelo Raffaele è il conforto divino, ma anche la conquista tutta umana di un rapporto attraverso un atto d’amore che si dispiega in tutte le sue fasi, dal bene reciproco al culminante congiungimento fisico. Tuttavia, per effetto della tribolazione vissuta, la spiritualità è sempre salva e l’amore si mantiene eterno.
Alla fine dell’ottocento un sacerdote francese scriveva: “Noi invochiamo l’arcangelo Raffaele come patrono dei matrimoni felici e santi […]. Infatti, la santità di questa unione completa dell’uomo e della donna, nel matrimonio attiene alla qualità, all’integrità, all’ordine stesso dell’amore. Quelli che si amano non si uniranno affatto per godere isolatamene l’uno dell’altro, ma per darsi l’uno all’altro, sostenendosi vicendevolmente in maniera disinteressata. Allora anche il piacere fisico che ne proveranno sarà come il completamento della festa che accompagna la loro tenerezza. Una tenerezza offerta nella delicatezza del cuore. Ed è così, che, su consiglio dell’angelo, Tobia e Sara decisero di dare la precedenza, per tre giorni, alla tenerezza sul solo piacere” (Abbé Trinceau, Arciconfraternita di San Raffaele, in Rivista dell’Angelo Custode, 1892, p. 9).