Nasce la Corte dei Conti
Fra i grandi successi ottenuti dal governo liberale in tempi successivi a quelli cavouriani ricordiamo l’istituzione della Corte dei Conti, ad opera del Rattazzi il 14 agosto 1862, tramite legge ministeriale approvata dal parlamento. Essa aboliva le magistrature affini degli antichi stati, attribuendo i poteri a un magistrato inamovibile. La Corte sorgeva nell’ambito del principio garantista delle istituzioni liberali poichè era rivolta a un controllo dell’operato del governo grazie al confronto tra la spesa impegnata da ogni singolo ministro con quella autorizzata in bilancio, se il riscontro fosse stato negativo il ministro era tenuto a sottoporre il proprio bilancio al consiglio dei ministri, se vi fosse stato disaccordo tra Corte e governo, s’investiva il parlamento ad esprimere un giudizio di merito sul caso.
Intanto, dopo la morte del Cavour, si profilava per il re l’occasione di riprendere l’antica autorità. Tuttavia il sistema d’alleanza tra ministero e parlamento resse e il governo Rattazzi cadde per una crisi extraparlamentare. Seguì il ministero Farini-Minghetti che propose il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, creando una nuova crisi extraparlamentare per i tumulti insorti a Torino. Intervenne il re a sedare la polemica scavalcando il parlamento e nominando capo del ministero il Lamarmora. Questi riuscì a far trasferire la capitale. L’esecutivo chiese ancora al parlamento i pieni poteri. La sinistra accusò il governo di aver violato l’art.55 dello statuto per l’emanazione di leggi importanti come quelle sull’unificazione amministrativa del regno. Si trattava di ben 6 serie di norme pubblicate per decreto:
- Legge comunale e provinciale (il prefetto diventava la longa manu del governo sull’amministrazione locale),
- Pubblica sicurezza,
- Sanità pubblica,
- Consiglio di Stato,
- Abolizione del contenzioso amministrativo (abolizione dei tribunali del contenzioso per la loro dipendenza diretta dall’esecutivo e rimessa al giudice ordinario, indipendente dal governo. Si rispettava così il principio garantista della divisione dei poteri),
- Lavori pubblici (1865).
Terza Guerra d’Indipendenza
Il 1866 fu l’anno della terza guerra d’indipendenza contro l’Austria allo scopo di conquistare il Veneto. Il governo (presieduto dal Ricasoli, cui aveva passato il testimone Lamarmora in quanto ufficiale dell’esercito) si fece dare ancora i pieni poteri e varò nuove riforme relative alle norme sull’imposta dei terreni, sui fabbricati e sui redditi di ricchezza mobile. Ma più importante fu la soppressione delle corporazioni e delle congregazioni religiose che comportò la devoluzione al demanio dei loro beni. Ciò anche al fine di risolvere il problema finanziario statale.
La sconfitta dell’esercito a Custoza e della marina a Lissa e l’umiliazione per la consegna del Veneto tramite la Francia, misero in pericolo il ministero di destra. Seguì la formale annessione del Veneto tramite plebiscito (Dichiariamo la nostra unione al governo monarchico costituzionale…).
Incompatibilità cariche parlamentari
Un altro problema discusso in questo periodo fu quello relativo all’incompatibilità delle cariche parlamentari, in un periodo in cui l’ingerenza nella vita economica del paese di alcuni politici era elevatissima. Per esempio l’ammiraglio Persano, responsabile della sconfitta di Lissa doveva essere giudicato da un tribunale militare come ufficiale o dal Senato riunito in Alta corte di giustizia come senatore? Prevalse quest’ultima opinione. Persano fu scagionato dall’accusa di alto tradimento e fu condannato solo per negligenza e incapacità come militare, perciò continuò a fare il senatore.
Eversione dell’asse ecclesiastico
Il governo Ricasoli cadde perchè battuto dalla Camera sulla questione dell’eversione dell’asse ecclesiastico (propendeva per un’apertura maggiore verso la Chiesa), problema alquanto delicato. Ricasoli rassegnò le dimissioni e le nuove elezioni del 1867 portarono in auge il Rattazzi. Questi con la legge del 15 agosto 1867 puntò alla soppressione dell’asse ecclesiastico e alla liquidazione dei beni, senza prevedere una distribuzione delle terre ai contadini, restando quindi nell’ambito degli schemi politico-sociali del momento. Ma il governo Rattazzi cadde perchè compromesso con l’avventura garibaldina (vedi Mentana ed entrata in Roma) cosicchè il re lo esautorò dalla sua posizione. Al suo posto il re collocò il generale Menabrea, considerato super partes e perciò extraparlamentare. Menabrea istituì l’odiosa tassa sul macinato. Questi in breve ebbe contro il parlamento e l’opinione pubblica e la crisi di governo si presentò presto.
Con il ministero Lanza-Sella fu ripristinato il potere parlamentare (1869), utilissimo a garantire la restituzione di Roma all’Italia. Grazie alla guerra franco-prussiana, il regno d’Italia ebbe Roma e come governatore fu posto il generale Lamarmora con pieni poteri. Fu eseguito il plebiscito e le nuove elezioni del 1870 dichiararono vincitrice la destra storica, consentendole di emanare l’importante legge delle Guarentigie (basata sul principio cavouriano del separatismo, nozione difficile da applicare visto l’art. 1 dello statuto. In ordine ai controlli sulle prerogative papali, il re si riservò il placet e l’exequatur sulle nomine ai benefici ecclesiastici e gli atti riguardanti le proprietà ecclesiastiche).
Il governo Lanza-Sella cadde su alcune misure in materia finanziaria non gradite alla sinistra. Nel braccio di ferro che ne seguì fra Minghetti e Depretis, vinse il primo. Ma anche questi cadde presto e, dopo aver fatto approvare un’importante legge bancaria, si andò a nuove elezioni (1874).
Queste misero in luce la nuova forza della sinistra, specie nel meridione (continua: La Sinistra al potere).