Non deve stupire questa misurazione empirica dell’intensità dei terremoti, basata esclusivamente sui danni a persone ed edifici. All’epoca, infatti, le scale sismiche erano tutte empiriche e soggettive e una famosa scala dei gradi sismici, tuttora comunemente usata, fu quella inventata dall’allora vivente abate Giuseppe Mercalli. Fu dopo il 1935, in seguito al perfezionamento dei sistemi di registrazione meccanografici, che Richter e Gutenberg introdussero la magnitudo, una grandezza ricavata dall’ampiezza delle onde sismiche registrate dai sismografi.
Il microsismografo “Vicentini”
A Messina, presso l’Osservatorio Geodinamico dell’Istituto di Fisica terrestre della Regia Università (foto in intestazione), presieduto dal prof. Giovambattista Rizzo, era in funzione un microsismografo Vicentini. Installato nel 1906, lo strumento era dotato di un pendolo di grande massa, costituito da otto dischi di piombo saldati tra loro, di un peso complessivo di cento chili. Sul disco superiore erano avvitati tre ganci che, attraverso tre anelli d’ottone, erano agganciati a loro volta ad un filo d’acciaio di tre millimetri di sezione e di un metro e mezzo di lunghezza, appeso alla base di una torretta alta quindici metri. Il disco inferiore, invece, era circondato da un anello di ferro tenuto da tre viti sporgenti ed equidistanti, utili a garantirne la giusta distanza dal muro e a misurare l’ingrandimento delle leve. Sotto il disco era installata una leva amplificatrice che comandava tre pennine d’acciaio con piccole sfere di vetro all’estremità. Erano queste sfere che, in caso di movimenti del suolo, sfregavano contro una carta affumicata e lasciavano impresse le registrazioni delle oscillazioni sismiche, due in senso orizzontale e una in verticale. La carta affumicata, posizionata verticalmente, era tenuta in tensione da due rulli. Uno di questi era collegato all’asse principale di un orologio che indicava l’esatta ora della registrazione.
Il sismografo dell’Osservatorio di Messina era circondato da una gabbia in cemento armato che resistette all’urto del terremoto, mentre il cavo d’acciaio e le pennine si ruppero malamente. L’epicentro fu registrato a 4,6 chilometri di distanza dal sismografo. Il pendolo, privato del sostegno del cavo, andò a poggiare su due travi appositamente costruite e previste dal progetto Vicentini per evitare un impatto troppo violento contro il suolo.
A proposito del terremoto del 28 dicembre 1908, lo stesso Rizzo scrisse: «Per se stessa non era stata una scossa delle più violente, ma la nostra sventura volle che fossero colpite in pieno due ricche e popolose città, nelle quali gli edifizi non erano stati costruiti con le norme, che si devono seguire nei luoghi soggetti ai terremoti».
Tutti sapevano
Tutti, quindi, dal normale bottegaio al consigliere comunale, dall’ingegnere edile all’esperto geofisico, erano a conoscenza della totale disapplicazione delle norme antisismiche nella costruzione di edifici in una città a rischio come Messina.
Tutti, da sempre, erano consapevoli del rischio: il sindaco Cianciafara che nel lontano 1876 approvò la nascita di un Osservatorio Geodinamico, il sindaco D’Arrigo che nel 1896 lo volle sul colle dell’Andria, il sindaco Martino che nel 1903 lo inaugurò, il sindaco Marullo che nel 1905 fece acquistare il microsismografo Vicentini.
Le 80.000 vittime non furono propriamente una conseguenza della potenza del movimento tellurico.
Quale fu, dunque, la principale causa che portò a quella terribile carneficina? Perchè le case di Messina resistettero, in buona parte, ai precedenti terremoti e non a questo?
La disinvoltura edilizia
Come abbiamo già avuto modo di osservare nei capitoli precedenti, l’innalzamento dei piani delle case, pur essendo vietato dalla legge, era stata una pratica molto in voga dopo il 1863: per quasi quarant’anni si era costruito badando più all’aumento della rendita immobiliare che alla solidità dell’edificio. L’amministrazione comunale chiudeva entrambi gli occhi, dal momento in cui erano gli stessi assessori, i consiglieri e i loro parenti ad usufruire dei benefici delle elevazioni.
In soli dieci anni dalla nascita dell’Italia sabauda, contiamo ventinove concessioni di porzioni di terreni demaniali, dietro canone enfiteutico al 5% della rendita immobiliare, e ventiquattro espropriazioni per motivi di pubblica utilità. Ancora più folto il panorama degli indennizzi ai proprietari privati di case e botteghe per i danni provocati dalle ditte municipali durante le opere di aggiustamento del manto stradale. I proprietari degli immobili, infatti, intascavano l’indennizzo senza riparare il danno, lasciando in mille difficoltà gli inquilini affittuari.
Sulle case, si andavano moltiplicando gli «aggiustamenti a scopo di pubblico ornato» e la maggioranza degli edifici ubicati lungo le vie principali furono oggetto di integrazioni, prolungamenti, rifacimenti, con tanto di progetti realizzati da ingegneri cittadini compiacenti e approvati dalla Giunta e dal Consiglio municipali. Frequenti, e tollerati, i casi d’abusivismo.
Il 26 gennaio 1872 il consigliere Buscemi denunciava: «si è esteso oltremodo il malvezzo di procedere ad opere pubbliche, or senza un piano d’arte determinato, or con un piano d’arte che si modifica tuttogiorno a seconda delle ispirazioni o i capricci del momento, e ciò con notevole discapito di decoro edilizio della città».
Abbiamo visto com’erano sorti inevitabili contenziosi tra i vicini di casa che si vedevano eretto un muro, o addirittura un altro piano, davanti al proprio balcone. Chi non aveva il privilegio di avere una casa sulla strada, si vedeva interdetta per sempre la vista sul mare dello Stretto. Quasi tutti i citati in giudizio s’appellavano al diritto di proprietà, complici l’articolo 29 dello Statuto Albertino e il codice civile introdotti dopo l’Unità d’Italia.
Primi edifici antisismici a Messina
Le prime case a prova di terremoto furono quelle ad un piano eseguite dopo il sisma del 1783, alla luce del nuovo ordinamento per le zone a rischio. Queste case erano dotate di grossi muri perimetrali e mediani, nonché di profonde fondamenta. All’interno dei setti murari, inoltre, furono impiegate intelaiature lignee con funzione di rinforzo.
Le nuove nozioni tecniche s’ispiravano alla normativa lisbonese del 1755 che introdusse le cosiddette case “a gajola”. Quantunque non dotate di un’architettura moderna, in altre parole prive d’imbracature metalliche verticali e orizzontali e d’elevazioni in calcestruzzo armato ed acciaio, queste case resistettero anche al terremoto del 1908. Altre strutture più pesanti, come l’ex monastero di S. Gregorio, sede del Museo cittadino, subirono notevoli danni. Costruito dal rinomato architetto Filippo Juvara, il monastero presentava un’imponente armatura in legno inserita in una voluminosa muratura. Probabilmente la vicinanza con il mare e l’umidità compromisero in poco più di centotrent’anni la stabilità della struttura che, all’apparenza, poteva sembrare solida e robusta, di fatto era un gigante dai piedi d’argilla.
L’indebolimento delle case costruite in seguito alla speculazione edilizia nel periodo 1863-1908, invece, fu aggravato non solo dagli innalzamenti, ma anche dall’aggiunta di finestre, porte, balconi e arcate. E dalla vicinanza degli edifici.
La Chiesa delle Anime del Purgatorio, posta nell’omonima piazza al centro della via Garibaldi, fu costruita con i sistemi antisismici della fine del Settecento e solo un’ala crollò al suolo sotto il peso dei vicini fabbricati che raggiungevano anche i sedici-diciotto metri d’altezza. Le sue fondamenta restarono saldamente in piedi.
Vi erano poi delle zone particolarmente esposte ai danni del terremoto, caratterizzate dalla presenza di baracche e vecchie case lesionate dai terremoti precedenti. Portalegni, che presentava antiche abitazioni a un solo piano e alcune case signorili in cemento armato, poteva considerarsi una parziale eccezione.
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(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].
(2) D. De Pasquale, I Marchesi di Cassibile, ABC Sikelia Ed., 2018
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