Giorgio Attard (o Attardi, 1813–1904) è stato per lungo tempo il beneamato custode del camposanto di Messina: il mitico nume tutelare del sito era stato preferito, ai voti, ai candidati Domenico Preve, Nicolò Saraceni e Francesco Di Pietro. A lui e al nipote Vincenzo Giorgio Attard dobbiamo la conservazione dei monumenti ivi custoditi e, in particolare a Vincenzo, la pubblicazione delle epigrafi dei personaggi più noti dell’epoca, seguite da un breve profilo biografico (in questo sicuramente aiutato dal suocero, lo storico Pietro Preitano).
Il rapporto di Attard con i recinti sacri del Cimitero di Messina
Attard considerava il Gran Camposanto come un luogo storico della memoria di Messina, da conservare e preservare: era solito, infatti, seguire tutte le sepolture e osservare con i suoi occhi i lavori dei tre sotterratori nominati dal Comune.
Dicevamo come non fu il solo Giorgio Attard ad occuparsi della custodia sito monumentale: il suo operato fu nobilmente ripreso e portato avanti dal nipote Vincenzo Giorgio Attard (1878-1956).
Come riporta lo storico Giovanni Molonia nell’introduzione della ristampa anastatica (1991) del libro dello stesso Vincenzo Giorgio Messinesi insigni del secolo XIX sepolti al Gran Camposanto (1926), edito online nella versione pdf dalla Società messinese di storia patria, “il giovane Attard, mazziniano fervente, si avvicinò alla letteratura e alla storia da autodidatta: purtroppo la mancanza di mezzi finanziari gli impedì di portare a termine gli studi di ragioneria. Profondamente colpito dalla tragedia del terremoto del 28 dicembre 1908, rimase in città occupando lo stesso posto del nonno. Per oltre un quarantennio quindi egli visse con la sua famiglia e operò all’interno del Cimitero di Messina, svolgendo per lunghi periodi funzioni di direttore. La sua “passione” per quel sacro luogo lo spinse ad elaborare una grande guida del Camposanto che però, continuamente rimaneggiata, non venne mai portata a termine. Le più belle pagine di questa guida sono naturalmente dedicate al famoso Famedio, da Attard definito “il più bel monumento della città”, la cui prima parte, già interamente costruita prima del disastro del 1908, fu da quest’ultimo gravemente danneggiata.”
La prof.ssa Michela D’Angelo, docente universitaria, si è occupata più volte della storia della famiglia Attard e ne ha conosciuto personalmente i discendenti.
Si rimanda, dunque, all’articolo specifico su Giorgio Attard: ulteriori notizie sulla famiglia Attard.
Viaggio nel Cimitero monumentale di Messina
Continuiamo il nostro viaggio all’interno del Cimitero monumentale di Messina, grazie alle fonti tratte dai verbali delle sedute del Consiglio Comunale di Messina.
Già nel febbraio del 1872 le tariffe per l’acquisto delle Cappelle da parte delle Confraternite variavano per un’evidente disparità numerica: vi erano solo dodici cappelle per sessanta confraternite. Si stabiliva che i confrati venissero sepolti anche presso le cappelle destinate alle sepolture private, previa una riduzione di prezzo. Nell’anno 1874 si presentava il problema di cambiare il regolamento per permettere il pagamento dilazionato delle tariffe e la sepoltura cumulativa nelle stesse celle, infine nasceva la zona destinata alle sepolture dei bambini nati morti.
Fra le frequenti variazioni del regolamento per il camposanto, quasi tutte rivolte all’aggiornamento delle tariffe, meritano attenzione le particolari concessioni fatte ad alcuni esimi cittadini.
Alcune sepolture di uomini illustri messinesi
Il prof. Antonio Migliorino lasciava in eredità la sua ricca collezione di libri alla biblioteca universitaria e la proprietà di una rendita di 1.500 lire alla Pia Casa di ricovero. La famiglia superstite realizzava a proprie spese un monumento e poi chiedeva uno spazio gratuito per la collocazione dello stesso presso il camposanto. Per l’occasione si stabiliva di formare una commissione ad hoc che redigesse un regolamento a parte per affidare spazi di terreni comunali per gli illustri cittadini.
Per un debito di ammirazione e gratitudine nei confronti dei volontari caduti nell’epidemia colerica del 1887, l’Assemblea dell’Associazione della Croce d’Oro aveva deliberato di erigere loro un monumento all’interno del Gran Camposanto. La richiesta era stata accolta dal sindaco e votata dal Consiglio, che aveva approvato la concessione gratuita. Dopo qualche mese alcuni consiglieri chiedevano la concessione di sepolture gratuite per alcuni uomini illustri messinesi: Seguenza, Laudamo, Pancaldo, Messina e Ribera.
E, per finire, anche per il custode storico del Gran Camposanto, il signor Giorgio Attard, il quale
«trovandosi in fin di vita nella tarda età di 91 anni, chiede che gli sia concesso un posto di tumulazione in sezione nel cimitero ove ha prestato il suo servizio sin dall’apertura dello stesso avvenuta nel 1871, per potere riposare in perpetuo accanto alla defunta consorte. Il consiglio delibera di concedere gratuitamente un tumulo in perpetuo accanto a quello della moglie, a titolo di gratificazione per il lungo e lodevole servizio prestato per oltre 30 anni al comune».
Stabilito il precedente, anche altri dipendenti del camposanto chiedevano di essere esonerati dal pagamento per le sepolture: i fratelli Carnazza, rispettivamente primo direttore e coadiutore del Gran Camposanto, ricevevano il condono di lire duecento come remunerazione straordinaria per il servizio prestato, mentre nel gennaio del 1905 un gruppo di consiglieri capeggiati da Fleres chiedeva una giusta collocazione delle spoglie del prof. Seguenza, preferibilmente accanto a Natoli e La Farina, un posto d’onore veniva dato alla salma del patriota Sant’Antonio nel vestibolo della grande galleria, eroe dei giorni del colera del 1867. Il posto monumentale negato al prof. Seguenza, invece, veniva riservato al senatore Giacomo Longo, morto in Roma nel 1906. Un altro chiaro segno del cambiamento dei tempi: un politico veniva preferito a un uomo di cultura, in questo caso uno scienziato.
Infine, il presidente della Società dei Reduci delle Patrie Battaglie, colonnello Commensuli, presentava un’istanza affinché il Consiglio comunale concedesse l’esumazione e il trasporto gratuito delle salme dei soci nel cimitero monumentale, dove la società possedeva già una cripta. Il sindaco approvava l’istanza e il Consiglio autorizzava la concessione.
L’ingegnere del Gran Camposanto Leone Savoja tra polemiche ed encomi
La costruzione del Gran Camposanto di Messina era stata interrotta a causa della morte dell’ingegnere Savoja, suo più tenace promotore, avvenuta nel 1885, a vent’anni dalla deposizione della prima pietra. Nonostante fosse trascorso tanto tempo e le opere edilizie del cimitero fossero belle, ordinate e numerose, il fiume in piena delle contestazioni dei suoi numerosi delatori non riuscì a fermarsi: nel 1880 il professor Antonino Costa Saya, fisico e geologo di chiara fama, aveva aggredito l’ingegnere Savoja in un libello, accusandolo, fra le altre cose, di aver costruito «una splendida dimora per i morti» e di aver oberato il Comune di debiti.
Il tenace sessantaseienne autore del Gran Camposanto rispondeva al suo avversario con competenza e lucidità: per quanto riguardava i vari sistemi di seppellimento adottati per Messina, erano stati mutuati quelli dei camposanti di Napoli, Bologna, Brescia, Roma e Genova, sistemi ancora in uso nei tempi in cui Savoja scriveva, ad eccezione delle sepolture comuni che abbracciavano modalità nuove varate dal governo italiano.
I costi del Gran Camposanto di Messina
Per la parte relativa ai conti, affermava che in quindici anni di lavori la spesa del Comune per i fabbricati era arrivata alla cifra di 927.025,82 lire, esclusa la somma per l’acquisto del terreno e le paghe del personale; dal momento in cui le entrate annuali ottenute in seguito alla vendita di 4 edicole, 2 cappelle nei portici, 563 fra arche mortuarie, compartimenti per mausolei, sarcofagi, bassorilievi, statue, 1300 celle nei sotterranei e 1600 tumuli, ammontavano a 28.000 lire, arrivava alla conclusione che la spesa effettivamente sostenuta dal Comune non eccedeva le 367.000 lire, somma che non sarebbe bastata a costruire un qualsiasi cimitero, non solo quello monumentale di Messina.
La seconda accusa mossagli dal Costa Saya riguardava l’utilizzo di una sorgente d’acqua per irrorare le piante del camposanto e dissetare il personale addetto ai lavori, soluzione giudicata eccessiva in una città che soffriva la mancanza d’acqua potabile. Savoja adduceva una giustificazione tecnica: l’acqua utilizzata, di soli 3-4 penne, non poteva essere sostituita da altra ricavata da un pozzo perchè l’opera di scavo avrebbe dovuto raggiungere la profondità di 160 palmi e richiesto l’uso di una trivella di 360 palmi d’altezza, soluzioni che avrebbero comportato una notevole spesa.
Alla fine dei lavori, il totale della superficie del Gran Camposanto di Messina fu di circa 50.000 metri quadrati di campi comuni, tombe provvisorie, zone verdi, piramide, concessioni perpetue, strade e viali d’accesso.
Un progetto acclamato anche all’estero
Il progetto, seppur parzialmente realizzato, riceveva gli encomi d’architetti e regnanti stranieri: il prof. Moritz Schultz della Scuola di Belle Arti di Berlino ricopiava i disegni per una pubblicazione sul suo periodico d’architettura e il Comune di Catania chiedeva e otteneva dallo stesso Savoja il progetto di un cimitero monumentale per la città.
Le doti di architetto, d’ingegnere e di geologo del Savoja erano confermate, nel corso della sua vita, non solo dal progetto del Gran Camposanto ma anche, come ci riferisce il suo biografo e amico Michele Basile, dalla progettazione di alcuni edifici cittadini come il palazzo Vitali, la palazzina Costarelli, il palazzo del Priorato e il prospetto della Chiesa di S. Chiara.
L’irreprensibile condotta morale avrebbe portato il nostro architetto, come abbiamo già visto in occasione della realizzazione dell’impianto cimiteriale protrattasi per lungo tempo, ad aperti contrasti contro amministratori pubblici e imprenditori edilizi, più intenti a salvaguardare i propri interessi personali che quelli dei cittadini.
Invitato a presentare un progetto per il rinnovamento della zona portuale di Messina, s’era trovato al centro di nuove ed estenuanti contestazioni circa la scelta del sito da destinare alla costruzione della dogana e dei magazzini. Durante la direzione dei lavori della ferrovia Messina-Catania-Siracusa e di un tratto della Porto Empedocle-Palermo, aveva dovuto scagliarsi contro i furbi appaltatori che avanzavano pretese allo scopo di prolungare i tempi dei lavori. Ma la sua fama aveva oramai varcato i confini isolani e conquistato anche la capitale del regno d’Italia dove il ministro ai lavori pubblici lo aveva chiamato a sè, invano.
Savoja, infatti, rifiutava ogni offerta di lavoro lo portasse lontano dalla sua città natale. Un buon risultato per un figlio di un piccolo negoziante, orfano di madre a undici anni. Il padre Giuseppe, andato a cercare fortuna a Ragusa, era ritornato a Messina in seguito a un grave tracollo finanziario e il piccolo Leone, sedicenne, s’era gettato a capofitto negli studi e nel lavoro. Si sarebbe appassionato a tutto lo scibile umano: dalla letteratura alla filosofia, dalla teologia alle scienze naturali, dalla matematica alla fisica, dalla meccanica razionale al disegno appreso dagli stessi maestri dello scultore Gregorio Zappalà, i pittori messinesi Letterio Subba e Michele Panebianco. Allo scopo di mantenere la sua numerosa famiglia aveva scelto di non sposarsi e in gioventù aveva persino pensato di farsi frate.
Sulle vicende che hanno caratterizzato la sua vita e gli altri suoi progetti, abbiamo ritenuto opportuno dedicare un capitolo a parte.
Il cimitero monumentale del Savoja: un progetto avveniristico
Il Gran Camposanto del Savoja è un luogo d’incontro con l’altra parte di noi stessi, l’anima di tutti gli uomini del mondo dispersa nell’universo, nello spazio e nel tempo. Davanti alle tombe dei nostri antenati scompare l’abisso temporale, si annulla ogni differenza d’età e la memoria diventa eterna, il silenzio speranza.
Nella profondità dei momenti che viviamo nel grande polmone verde del camposanto ci ricordiamo che non i nostri corpi non la nostra fisicità ma le nostre opere sono destinate a rimanere salde nel tempo, a raccontare la storia della nostra vita anche dopo la morte.
E con essa la pace, il sublime, la continuità nella memoria.
Gli uomini dell’Ottocento, soprattutto i cittadini messinesi da sempre soggetti alle più svariate calamità naturali, l’avevano capito: non esiste futuro senza amore, non esiste gloria senza impegno civile.
Questo Camposanto è il frutto di un grande amore verso l’arte, del rispetto nei confronti della morte, di un appassionato impegno civile. Infatti, anche senza volerlo, riusciamo a respirarne l’originaria grandiosità e il senso d’eterno. È triste vederlo oggi in stato d’abbandono e preda di una continua e miserevole spoliazione, verso la quale chiediamo che sia messa la parola «fine», affinché ci venga restituito per intero quello che di più caro e unico ci resta della nostra martoriata città.