L’eccezionale scoperta, avvenuta nel 2010, aggiunge fatti nuovi alla storia siciliana.
I documenti, estratti dal Tabulario dell’Abbazia greca di S. Maria della Grotta di Palermo, narrano, tramite scritture private, della funzione esercitata dall’Abbazia greca in una Palermo araba, ebrea e cristiana, nel tumultuoso momento di transizione della Sicilia dal mondo orientale a quello occidentale, fino alla concessione del titolo di abate commendatario perpetuo alla Compagnia di Gesù, avvenuta nel 1552 sotto l’imperatore Carlo V su impulso del Vicerè Giovanni de Vega.
Tra le altre cose, aiutano a chiarire ruoli ed importanza di funzionari, protopapi, notai e mercanti nella Palermo e nella Sicilia normanna, riportano nuovi dati sulla storia dell’Abbazia di S. Maria della Grotta e sull’arrivo dei Gesuiti a Palermo, allargano le nostre conoscenze sulla topografia di Palermo alto-medievale e delle contrade suburbane e sulle colture di vari territori dell’Isola.
I documenti, datati tra i secoli XII e XVI, di cui uno in lingua araba risalente al 1112, considerato disperso, 10 in lingua greca, 14 in latino, sono oggetto di un ampio progetto di valorizzazione della Direzione Generale per gli Archivi.
In occasione del ritrovamento delle pergamene della Chiesa di Santa Maria della Grotta di Palermo e di Marsala (XI-XVI sec.), l’Associazione di volontariato Sikelia Onlus ha organizzato una mostra presso la Biblioteca Liciniana di Termini Imerese (PA).
UN PO’ DI STORIA: I MONACI BASILIANI IN SICILIA
I monaci basiliani s’ispirano alla regola di San Basilio Magno (330-379), cenobita dell’ordine di san Pacomio d’Egitto, il cui intento era creare piccole comunità di monaci di dimensione familiare. A parte la frugale vita cenobitica, il Santo volle che i monaci restassero a contatto con la società civile e praticassero l’esercizio del ministero pastorale (sacerdozio). Per attuare questo disegno, San Basilio impiantò i propri monasteri in prossimità di città e villaggi, fiumi e corsi d’acqua, in modo che alla meditazione ascetica s’accompagnassero gli atti caritatevoli nei confronti dei poveri, dei malati e degli orfani. A partire dal 726, a seguito dell’editto dell’imperatore bizantino Leone III Isaurico, che ordinava la distruzione delle immagini sacre e delle icone in tutte le province dell’Impero, i Basiliani vennero perseguitati e uccisi. Questa lotta, detta iconoclasta, mise in fuga migliaia di monaci dall’Oriente verso la vicina Italia meridionale.
I Basiliani furono costretti a nascondersi in luoghi solitari come grotte, foreste, pendici di colline, catacombe paleocristiane, che divennero luoghi d’alloggio e di preghiera. A volte, quando non potevano adattare rifugi naturali, scavavano nella roccia più friabile, ricavandone degli anfratti abbastanza accoglienti, chiamati laure. All’ingresso delle laure veniva collocata un’immagine della Madonna, detta “Vergine Portinaia” destinata, secondo i monaci, a custodire il rifugio.
Nell’843 ebbe fine la persecuzione iconoclasta e i monaci abbandonarono i rifugi per dar vita a chiese e monasteri sotto la viva luce del sole.