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Arte

Andy Warhol, dalla pop alla techno art

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POP ART

Mentre l’esperienza di Piero Manzoni ci ha portato a concepire il primato dell’arte su tutto, per riportare al centro dell’attenzione l’uomo e la bellezza della natura (anche nella sua parte essenziale), l’arte di Andy Warhol ci porta al primato della tecnologia e del consumismo sull’arte.  

La Pop-Art è la contrazione di arte popolare, cioè fatta per il popolo: un barattolo di zuppa o una bottiglia di coca-cola uniscono tutti e sono alla portata di tutti, dall’operaio al dirigente d’azienda. Nata con l’intento di ostacolare il consumismo ostentando la vacuità del prodotto e della pubblicità, questa corrente artistica ha finito con l’esaltarlo. 

ANDY (ANDREW) WARHOL (1928-1987)

Nasce a Pittsburgh nel 1928, da due immigrati di origine slovacca (il cui vero cognome era Warhola). Trascinato dal mondo dell’arte, frequenta la Carnegie Institute of Technology, scuola d’arte pubblicitaria di Pittsburgh, per poi trasferirsi a New York.

Nel cuore della “grande mela”, si ritrova direttamente coinvolto nel quadro del benessere economico americano (condizione che aveva portato gli USA alla vittoria nella guerra mondiale). 

Warhol non fa grande fatica a capire che l’arte dei suoi tempi può esistere anche senza manualità e senza materia, così la tecnologia diventa il suo  strumento principale di creazione. La sua macchina fotografica gli permette di immortalare volti e paesaggi meglio di un pennello. La riproduzione seriale delle sue creazioni fotografiche riportate su tela è la sua provocazione contro l’unicità e l’esclusività dell’arte tradizionale. Di conseguenza, anche l’arte si fa commerciale.

Immagini serigrafie di Marilyn Monroe, stampate dall’artista dopo la morte della diva hollywoodiana, avvenuta nel 1962.

Le serigrafie del volto di Marilyn Monroe o della Scatola della zuppa Campbell ne sono una efficace dimostrazione.

La foto originale della diva Marilyn Monroe tratta dal film Niagara (1953).

Le Serigrafie di Andy Warhol dedicate a Marilyn Monroe dal 1962 al 1967 ritraggono l’attrice in splendida forma, all’apice della sua carriera cinematografica. Il suo sguardo languido e il suo sorriso sornione sono iconici al cinema e nei manifesti pubblicitari dell’epoca e lo diventano maggiormente con questa ripetizione quasi ossessiva del suo volto, arricchito di colorazioni che ne sottolineano l’identità dell’immagine e la serialità dell’opera:

  • Marilyn Diptych
  • Gold Marilyn Monroe
  • The Shot Marilyn Monroe
  • Marilyn Monroe 1967

Nel 1964 aprì uno studio al 231 East della 47th Street, che fu luogo d’incontro di artisti in erba come i cantanti Bob Dylan, Jim Morrison, David Bowie, lo scrittore Truman Capote, l’artista metropolitano Keith Haring.

Campbell’s Soup Cans è un’opera d’arte composta da 32 tele, delle dimensioni di 51 cm × 41 cm, celebrativa dei barattoli di zuppa Campbell. I barattoli appaiono come nella realtà ma i colori e i caratteri usati variano leggermente e costituiscono un’aggiunta stilistica dell’autore. Sono il risultato delle sovrimpressioni a inchiostro umido su carta. Rappresentano l’oppressione della cultura di massa e l’ossessione della civiltà consumistica che propone gli stessi prodotti con piccole varianti in maniera ripetitiva. Gli inserti di colore introdotti da Warhol nelle sue opere sembrano volere spezzare questa costante monotonia, quasi una rivincita contro l’appiattimento della società moderna.

Warhol regista

Le nuove tecniche di riproduzione delle immagini degli anni Sessanta lo affascinano e lo avvicinano al cinema underground, un mondo sperimentale e indipendente, con riprese amatoriali e a costi minimi. La macchina da presa gli permette di creare un’opera d’arte in movimento, legandola a una storia, un filo conduttore che la mette in contatto con un’infinità di mondi esterni. Come attori, Warhol recluta degli amici dalla vita scapestrata e alternativa e li incita a mostrarsi nella loro normale quotidianità (quindi anche nelle loro debolezze, tendenze, ossessioni), senza alterazioni sceniche. Nasceva con lui, all’interno di una comunità di giovani chiamata Factory, il cinema realista, simile ai reality dei nostri giorni, all’ombra del “grande fratello”. Alcuni suoi film durano ore e ore (Sleep, 1963: viene ripreso un poeta che dorme per 6 ore; Empire, 1964: viene ripreso l’Empire State Building per 8 ore) , stancano e annoiano, ma sono incontestabilmente la testimonianza di un’epoca.

Il suo genio creativo non si ferma di fronte a nulla e così diventa oltre che regista, scenografo, scultore e pittore. E’ stato testimonial di diversi oggetti di culto degli anni ’80: dai computer Amiga della Commodore, agli album discografici dei Velvet Underground (da lui prodotti) o di Loredana Bertè. Molte sue opere consistono in semplici oggetti quotidiani semplicemente riportanti la sua firma.

L’artista ha sempre curato particolarmente la sua immagine, diventando egli stesso un’icona vivente (a questo proposito, ricordiamo il suo caratteristico caschetto di capelli bianchi), assurgendo a divo dei suoi tempi. Nel 1968 subì un attentato da parte di una fan della Factory, due giorni prima dell’attentato a Bob Kennedy. Morì nel 1987 a New York, a soli cinquantanove anni, subito dopo un’operazione alla cistifellea.


 

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