Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 13 settembre 1506), padovano, è cognato di un altro grande pittore veneto, Giovanni Bellini. Studia alla scuola dello Squarcione (di cui era anche il figlio adottivo), s’impossessa delle tecniche pittoriche ed espressive che furono di Piero della Francesca, di Andrea del Castagno e del Donatello padovano e le elabora in maniera personalissima e multiforme.
Caratteristiche e stile
Esemplari sono le sue vedute dal “sottoinsù”, gli scorci, la perfetta resa geometrica dell’impianto, la ponderata scelta dei colori (la cui resa, morbida e lucente, ricorda il Beato Angelico), il rigore storico, l’interpretazione pittorica nuova, tra la tradizione (nella lettura storica) e il nuovo e l’imprevedibile.
Le sue figure sono di forte impatto emotivo e prediligono la resa scultorea, probabilmente ispirata ai ferraresi (Cosmè Tura, suo coetaneo), ai fiamminghi (Rogier van der Weyden) e ai tedeschi (Hermen Rode, Hans Hirtz).
La formazione
Nella prima fase della sua formazione, troviamo l’artista a Padova, presso lo Squarcione. Ad appena 17 anni è già impegnato presso la chiesa degli Eremitani per decorare la cappella Ovetari (braccio destro del transetto) tra il 1448 e il 1457. Oggetto di bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, gli affreschi vennero quasi completamente distrutti nel 1944.
La “Crocifissione”
Nella sua mirabile Crocifissione, l’elemento innovativo è la nuova visione prospettica dal basso che allunga le figure e le cose, offre un maggiore impatto emotivo. Le lunghe croci segnano il ritmo del racconto: nel riquadro di sinistra, l’enorme corteo accorso a compiangere Cristo, fatto di volti sofferenti, fitto, stretto intorno a sé; nel riquadro di destra, ci sono le guardie romane intente a giocare, indifferenti al dolore.
Un grande gioco di luci mette in moto la regia del pittore: a sinistra, in chiara evidenza, il corteo investito dalla luce solare; a destra, il gruppo dei soldati immersi nell’ombra. E’ la luce divina che ha la stessa forza di un documento storico, di una scoperta archeologica: quando c’è diventa passato, presente e futuro, quando manca è l’oblio.
“Compianto su Cristo morto”
Nel Compianto su Cristo morto riappare l’uso spropositato, rivoluzionario ma funzionale, della prospettiva: il corpo di Cristo, visto di scorcio, appare deforme, mutilato, a rafforzare il pathos della scena. Il colore cadaverico del corpo aggiunge una nota di realismo al tutto, così come il pianto spontaneo della Madonna, per la prima volta rappresentata con un volto vissuto, corrugato dal tempo e dal dolore.
“La Camera degli Sposi”
Nel 1460 Mantegna si trasferisce a Mantova con tutta la famiglia come pittore ufficiale della corte dei Gonzaga, consigliere artistico e curatore delle raccolte d’arte, con uno stipendio fisso, un alloggio e uno stemma araldico. Il Gonzaga, principe umanista e condottiero, educato presso la scuola di Vittorino da Feltre, con un programma ruotante intorno alla storia romana, la poesia, la matematica e l’astrologia, attraverso il Mantegna cerca di rivalutare il mondo classico.
Nel 1465 Mantegna comincia ad affrescare la Camera degli Sposi o “Camera Picta”, cioè “camera dipinta”, terminata nel 1474. L’ambiente, al primo piano della torre nord-orientale del Castello di San Giorgio, era destinato contemporaneamente a sala delle udienze e a camera da letto di rappresentanza. L’artista ingigantisce la stanza illusoriamente, sfondando le pareti e la volta, con finte architetture e un oculo da cui si sporgono fanciulle, putti, un pavone ed un vaso, a contrasto su un limpido cielo azzurro.
L’ambiente di corte gli garantisce stabilità economica ma lo limita fortemente della sua libertà personale e della sua vita privata. Il marchese lo ricompensa affidandogli anche un terreno sul quale l’artista costruisce la sua casa, tuttora esistente.
Mantegna trascorre il resto della sua vita a Mantova, dove muore nel 1506.