Andrea del Castagno
L’equivalente in pittura di Donatello è Andrea del Castagno. Anche il suo linguaggio è popolare, il suo pennello riproduce immagini reali, quasi palpabili. Nel Monumento equestre a Nicolò da Tolentino in Santa Maria del Fiore, Andrea del Castagno sfrutta abilmente la prospettiva per dare l’illusione della realtà e, rispetto a un analogo tema trattato da Paolo Uccello (1397-1475), trasmette un’idea di movimento: il cavallo e il cavaliere vivono grazie ai nervosi scatti delle mascelle, dei muscoli tesi, delle vesti e della coda svolazzanti. In più, c’è una costruzione moderna e futuristica del progetto grafico, in cui l’uniformità del colore (uso del monocromo per imitare la scultura in marmo), le forme tondeggianti e lo sguardo curioso e inquietante del cavallo rivolto allo spettatore (grazie al doppio effetto prospettico dal basso verso l’alto fino al piedistallo e poi dall’alto verso il basso, conferiscono al capolavoro di Andrea un’originalità senza precedenti, di un insolito e innovativo sapore metallico.
Andrea di Bartolo di Bargilla, detto Andrea del Castagno, poiché nato a Castagno di San Godenzo del Mugello (1421 circa – Firenze 1457), è uno dei maggiori pittori del Quattrocento fiorentino.
La sua impronta artistica e lo stile, seppur personalissimo, è riconducibile alle esperienze di Masaccio, Filippo Lippi, Donatello e Paolo Uccello, ed è pienamente ravvisabile nel ciclo (Ultima cena, Crocefissione, Deposizione, Resurrezione) raffigurato presso il Refettorio di S. Apollonia a Firenze.
Evento classico da refettorio monacale, Il Cenacolo di Sant’Apollonia (affresco, 453×975 cm, presso il Museo di Sant’Apollonia, Firenze), è una scena collocata in luogo ben definito architettonicamente, con ricche decorazioni (interessanti le sfingi alate alle estremità dell’affresco, richiamo colto e antico) e sfondi in finto marmo che richiamano scene giottesche, così come giotteschi sono i volti degli apostoli ben definiti, ognuno con la sua identità e caratterizzazione. Nella tradizione entrano il Giovanni assopito sul tavolo accanto a Gesù, e Giuda lontano e distinto dal resto dei compagni, in primo piano, come fosse sotto accusa o seduto in posizione da confessionale. Di grande effetto la lunga banda bianca della tovaglia dei commensali, lineare come la trabeazione di un tempio greco, accecante come la luce divina che impediva la vista a Dante, cesura simbolica tra l’elemento terreno e l’elemento celeste.
Figure solide accompagnano questo grande affresco situato presso l’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze. La figura del Cristo è scultorea e donatelliana, con un tocco di geometria in più che ne esalta le forme squadrate più vicine, nello stile, al futuro Andrea Mantegna (1431-1506). La Maddalena, ai piedi del Cristo, è assimilabile alla lezione di Masaccio, mentre la Madonna e il San Giovanni appaiono come vigorosi elementi di studio da cui a breve trarrà spunto la pittura veneta, Giovanni Bellini (1427-1516) in particolare.
A partire da Giotto, lo studio della profondità è uno dei grandi problemi affrontati da tutti gli artisti. Giotto lo risolve con la resa volumetrica degli ambienti che raffigura, Masolino da Panicale, Donatello e Masaccio fanno nascere scene diverse da un’unica prospettiva, Paolo Uccello usa diversi punti di fuga per rappresentare scene diverse appartenenti alla stessa composizione, Andrea del Castagno appiattisce lo sfondo per fare “schizzare” le figure dalle pareti.
Le due sante raffigurate nel dipinto Apparizione della Trinità sono Paola ed Eustochio (rispettivamente madre e figlia), che invogliarono e coadiuvarono Girolamo allo studio biblico, traducendo in latino i testi della Vulgata dall’ebraico e dal greco. Dunque, qui si assiste alla rappresentazione di un San Girolamo inedito, accanto alle due linguiste di straordinario valore per la cristianità e la diffusione del Cristianesimo. Su di loro veglia la Trinità, puntando su di loro con uno scorcio ardito, secondo uno stile che, oseremmo dire, anticipa Tiziano e reinterpreta, in chiave moderna e plastica, la Trinità di Masaccio, con un panneggio morbido e una colorazione nitida di sapiente stesura.
La prospettiva diventerà scienza nel corso del Rinascimento e avrà in Leonardo il suo grande teorico. Quel che ci importa adesso rilevare è che la prospettiva invitò gli artisti del Quattrocento a prendere in esame il “fattore tempo” ovvero a domandarsi se fosse possibile riportare, in un’opera d’arte visiva, la dinamica temporale di un evento.
Furono in molti a provarci, con risultati diversi: chi interpretava il tempo in termini di profondità, inserendo le scene più recenti in primo piano e quelle precedenti su piani prospettici in linea verticale, come Donatello; chi, come Masolino e Masaccio, consideravano il tempo in termini di spazialità, secondo una linea orizzontale; chi riassumeva entrambi i punti di vista, come Paolo Uccello.
Saranno i cubisti, in futuro, a dare un’originale interpretazione alla quarta dimensione.
Riporto questo dipinto su legno poiché anche uno dei pochi esempi di raffigurazione rinascimentale de Il David con la testa di Golia presente su uno scudo di legno. Probabilmente destinato all’esposizione cerimoniale, lo scudo riprendeva un tema trattato spesso nel cuore della piccola repubblica di Firenze, capace di ergersi come il piccolo David contro i nemici esterni (il Papa, Milano, Venezia e Napoli), ben più possenti di lei, come il gigante Golia.
Soffermiamoci sulle dinamiche raccontate dal quadro e sul fattore tempo appena considerato: vediamo David roteare la sua fionda già caricata, rossa come la sua giubba da futuro condottiero, mentre ai suoi piedi, nell’immediatezza, ci appare, fantasmagorica, la testa già mozzata del gigante Golia con un sasso conficcato nella fronte sanguinante. Una sequenza di scene descritte come in un lampo, su uno sfondo celeste con nuvole frastagliate agitate dallo stesso vento che scompiglia la capigliatura del giovane audace e impavido, in evidenza la sua mano sinistra pronta a ghermire l’avversario. Anche il particolare delle rocce e della vegetazione, rispettivamente brulle e tenebrose, forniscono all’insieme una connotazione spaziale senza tempo.
La capigliatura e il plasticismo di Andrea del Castagno saranno oggetto di studio e fonte di grande ispirazione per Caravaggio.