L’ultima interpretazione quattrocentesca dello spazio e del tempo ci viene data dal pittore umbro Piero della Francesca.
Piero di Benedetto de’ Franceschi (Borgo Sansepolcro, 12 settembre 1416/1417 circa – Borgo Sansepolcro, 12 ottobre 1492), è stato un pittore del primo rinascimento che ha saputo unire precisione tecnica ad alti contenuti filosofici.
Figlio di Benedetto, mercante di cuoiami e di lane, e di Romana di Perino, Piero nasce a Borgo San Sansepolcro, ricca cittadina commerciale posta tra Toscana, Marche ed Umbria. Dal governo signorile dei dei Malatesta, Sansepolcro passa allo Stato della Chiesa nel 1431, che la vende a Firenze nel 1441 (dopo la battaglia di Anghiari). Piero inizia il suo apprendistato pittorico presso Antonio d’Anghiari, per poi arrivare nella capitale della cultura dell’epoca.
Piero a Firenze
E’ attestata la sua presenza a Firenze dopo il 1439 presso il maestro Domenico Veneziano, dal quale apprende il colorismo limpido e luminoso. Evidente, soprattutto nelle sue prime opere, l’influsso della pittura moderna di Masaccio, carica di umanità. Di rigorosa mentalità matematica, diede un contributo sostanzioso ai teorici dell’arte divisi tra l’idea della rappresentazione del mito e della storia. Il concetto di Piero è fondato sull’universalità dell’arte in quanto riproduzione della natura. Una natura fatta di spazi geometrici, di luce, di serena rivelazione del fenomeno, uguale nel tempo. Basti notare come le immagini da egli raffigurate siano sempre statiche, immobili, iconiche, grandiose. Così la Madonna raffigurata nel Polittico della Misericordia, immensa, maestosa come una cattedrale che raccoglie tutti i fedeli sotto il suo manto. Fra gli oranti, scorgiamo anche dei notabili locali, un uomo incappucciato e, accanto, l’autoritratto di Piero.
Così Gesù Cristo nel Battesimo, bianco, puro, come la colomba che lo sovrasta o il fusto dell’albero che gli fa da contrappunto, tutto è luce, persino lo specchio d’acqua che riflette, ai piedi del Messia, il chiarore del cielo. Il quadro di Piero vive di colori, sono essi a dare forma e sostanza ai singoli elementi e volume all’insieme. La scena del battesimo si svolge a Borgo San Sepolcro, il paese natio di Piero, individuabile nel paesaggio e negli alberi di noci di cui si faceva ampio commercio. La presenza di Cristo è un tale miracolo che l’erba e gli alberi crescono sulla pavimentazione lastricata e non sul terreno, dove tre figure angeliche assistono all’evento, quali testimoni. Notevole anche il particolare delle nubi, provviste di una densità tipica di luoghi caldo-umidi o vulcanici (cosa che denota un’attenta osservazione dei fenomeni naturali).
Piero ad Arezzo, con le Storie della Vera Croce
Nel 1452 Piero è chiamato a sostituire Bicci di Lorenzo nella decorazione murale della Cappella Maggiore di San Francesco ad Arezzo, dove affresca le celebri Storie della Vera Croce (vedi anche qui).
Come spesso accadeva anticamente, quando un ricco signore moriva, lasciava un fondo per messe religiose da celebrare a sostegno della sua anima (solitamente intese come una redenzione dal peccato di usura), oppure per la realizzazione di opere d’arte che perpetuassero il ricordo del committente per il futuro. Baccio Bacci, ricco mercante aretino, nel 1417 lascia un ingente capitale per decorare il coro della basilica di San Francesco ad Arezzo. I lavori cominciano molto tardi, più di trenta anni dopo, e vengono affidati al pittore Bicci di Lorenzo. Il nipote di Baccio, giovane dalle vedute più ampie, alla morte di Bicci, chiama in causa il già noto Piero della Francesca.
Piero, nonostante la sua notevole abilità, viene dimenticato con l’arrivo dei nuovi campioni della scena rinascimentale come Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Tuttavia, viene riscoperto tardivamente, nella seconda metà del XIX secolo, grazie all’interessamento di alcuni studiosi inglesi che custodivano il Battesimo di Cristo alla National Gallery. Fra i critici d’arte italiani che si preoccuparono di recuperarne la memoria ricordiamo Adolfo Venturi (1911) e Roberto Longhi (1913) che si rende autore di un singolare accostamento a Cézanne, riguardo alla disposizione dei volumi delle Storie della Croce.
Ad Urbino, alla corte di Federico da Montefeltro
Dopo il 1469 è a Urbino, su richiesta del duca Federigo da Montefeltro.
Per il signore di Urbino, Piero realizza molte opere, fra le quali spicca un dittico che ritrae Federico da Montefeltro (1422-1482) e sua moglie Battista Sforza (1446-1472). Come nella più rigorosa tradizione quattrocentesca, legata alla numismatica antica, le due figure sono rappresentate di profilo, nella loro dimensione di impassibilità e fierezza aristocratica. Sullo sfondo appaiono i loro feudi e un cielo terso che consegnano luminosità ai volti dei due coniugi, qui rappresentati con colori diametralmente opposti: scuro lui (mostra il lato non mutilato, l’altro era stato offeso da un fendente che l’aveva costretto a farsi rompere il setto nasale per avere una visione oculare migliore), pallida lei (forse un allusione alla sua scomparsa prematura). Le tavole sono leggibili da entrambi i lati: sul retro si trovano i due portati in trionfo su carri e accompagnati dalla Virtù cristiane.
Attraverso questo dittico Piero mostra di aver appreso a pieno i segreti della pittura fiamminga, con l’estrema cura dei dettagli, l’equilibrio della luce, i riflessi dell’ambiente circostante sugli oggetti, la micropittura realizzabile solo con i colori ad olio.
A Urbino, Piero eseguirà anche gli affreschi del palazzo ducale e la Pala Montefeltro o di Brera (Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federigo da Montefeltro).
In quest’ultima opera emergono ancora la nuova tecnica coloristica, che sfrutta la scoperta fiamminga dei colori ad olio, la luminosità e la cura dei dettagli. Si tratta di una sacra conversazione tra la Madonna e i Santi Giovanni Battista, Girolamo, Francesco, Bernerdino, Pietro e Giovanni Evangelista, all’interno di un luogo dotato di una ricca architettura, testimonianza del genio umano e della possibile comprensione del divino da parte dell’uomo attraverso la contemplazione della bellezza e dell’ordine geometrico. La prima dimensione coloristica formata dai santi disposti in semicerchio si ripete nell’architettura sovrastante dove i colori sono fusi ma appartenenti alla stessa tavolozza: tutto, geometria e varia umanità, confluisce nella perfezione geometrico-simbolica dell’uovo appeso a un filo, reductio ad unum della gamma dei colori in presenza di massima luce: il bianco. In primo piano, il committente Federigo da Montefeltro, dentro la sua splendente armatura, inginocchiato in segno di riverenza davanti al gruppo, con le mani giunte (come la Madonna) in segno di rispetto verso il sonno del bambino Gesù (che ha appesa al collo una collana di corallo, il cui colore rosso, simbolo della passione, prefigge la sua drammatica fine).
Piero smette di dipingere per via di un grave abbassamento della vista e, anche per questo, si dedica agli studi sulla prospettiva, raccolti nel suo trattato De prospectiva pingendi e il libretto De quinque corporibus regularibus.
Piero muore a Sansepolcro il 12 ottobre 1492, proprio il giorno della (inconsapevole) scoperta dell’America, e viene sepolto nella Badia di Sansepolcro.
Piero e la scoperta dell’America
La scoperta dell’America è una vera e propria rivoluzione per l’Europa: la parte di mondo dove erano sorte le più grandi civiltà del Mediterraneo si accorge di essere “vecchia” e impreparata ai cambiamenti culturali (e alimentari) portati dalle civiltà precolombiane. Tuttavia, inevitabilmente, comincia quel lento processo di trasformazione che insinuerà il germe del dubbio nell’uomo europeo e che porterà all’affermazione del Protestantesimo (nel ‘500), all’autonomia delle scienze (nel ‘600) e all’Illuminismo (nel ‘700).
Sappiamo che gli artisti percepiscono i cambiamenti prima di tutti gli altri. Anche in questo caso possiamo affermare che, prima delle scoperte geografiche, la vera rivoluzione europea affonda le sue radici nell’ispirazione di questi pionieri del Rinascimento italiano: Piero della Francesca, attraverso le sue indagini sulla prospettiva e i suoi studi matematici, riesce a consegnare ai posteri una visione scientifica della realtà, misurabile, a dimensione umana, una chiave di lettura della natura utile alla comprensione del mondo, vissuta in una dimensione finalmente laica.
Insomma, Piero scoprì l’America prima ancora di Colombo, come senz’altro fecero anche Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Masaccio, Donatello e tutti gli umanisti che non videro gli effetti delle scoperte geografiche d’oltreoceano sul vecchio continente.
La lezione di Piero sarà così grande da influenzare buona parte della produzione artistica dell’Italia centro-settentrionale, come vedremo in questo corso di storia dell’arte.