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L’arrivo dei Normanni in Sicilia e il controllo del territorio

Riconquistata la Sicilia a scapito degli Arabi, presenti da due secoli e mezzo nell’Isola, i Normanni si trovarono di fronte a due grandi problematiche:

  1. l’integrazione nel territorio appena conquistato;
  2. la gestione delle diverse aree dell’Isola, orograficamente diverse e a loro sconosciute.

La prima operazione la assolsero come tutte le comunità straniere in territorio siciliano, attraverso il canale ecclesiastico-religioso, recuperando le diocesi e i metochi esistenti e fondandone di nuovi.

La seconda operazione fu attesa tramite gli stessi operatori greci e arabi presenti nell’Isola.  

In tale contesto si inserisce la fondazione della diocesi di Troina. La cittadina siciliana, oggi in provincia di Enna, conquistata dai Normanni nel 1062, fu eletta capitale comitale nel 1080 e divenne sede della prima Cattedrale normanna in Sicilia. 

Il Gran Conte Ruggero intitolò la cattedrale alla Vergine Maria e nominò egli stesso il vescovo nella persona del normanno Roberto. Per darle forza e autonomia economica, le assegnò in dote un vasto territorio che andava da Messina alla stessa Troina fino a Taormina, da un lato, e da Rametta (oggi Rometta) fino a Sclafani, dall’altro (compresi i territori di Milazzo, Sinagra, Naso, San Marco, Mistretta a Gagliano, Sperlinga, Tusa, Geraci, Petralia, Polizzi, Cefalù, Collesano, Caltavuturo, Sclafani).

Composizione del governo normanno in Sicilia

La particolarità del regno normanno in Sicilia emergeva con grande evidenza:

una corte nel Val di Mazara dove era forte la presenza musulmana e i monasteri erano di rito latino e un territorio orientale dove, al contrario, era forte la presenza bizantina e i monasteri di rito greco.

A coadiuvare Ruggero nella conduzione del regno c’erano gli Arconti, esponenti della nobiltà fondiaria e amministratori per conto del Granconte. Gli arconti riconoscevano in Ruggero il loro monarca sovrano (un’autorità che riuniva sotto di sé il potere temporale e il potere spirituale, sopra tutti). Proprio agli arconti si deve la ricostruzione dei monasteri, grazie alle loro donazioni.

Poi esistevano personaggi come Nicola o Nicolò di Calabria che, pur non avendo feudi o titoli militari o ecclesiastici particolari, godevano di una posizione di grande prestigio e privilegio. Il suo nome ricorre in tutte le donazioni di Ruggero dal 1083 al 1105.

Nicola era un monaco basiliano, anche se il termine basiliani per tutti i monaci di rito bizantino in Sicilia è improprio: sebbene molti s’ispirassero alla regola di Basilio Magno, altri seguivano le regole di Teodoro Studita. Il termine viene utilizzato dal Cinquecento in poi (papa Gregorio XIII) per distinguere i monaci greci da quelli benedettini.

La cosa singolare per la Sicilia è che questi monaci si rifacevano anche a una regola comunitaria (dettata dell’archimandritato) contrariamente all’autonomia ecclesiastica gestita in Oriente.

La nuova sede apostolica a Messina ai tempi dei Normanni

Quando la presenza normanna fu assicurata anche in altre parti della Sicilia e il legame con il territorio più sicuro, Ruggero volse la sua attenzione su Messina. Ne ristrutturò il porto e vi fece costruire un palazzo del governo (diploma del 1096). 

Nella sua opera di ricristianizzazione della Sicilia, il Gran Conte aveva agito in modo autonomo rispetto alla Sede Apostolica: in occasione della fondazione della cattedrale di Troina, il papa Gregorio VII non potè fare a meno di sottolinearlo, pur comprendendo e apprezzando l’operato del normanno quale liberatore dall’infedele. Nonostante ciò, Ruggero continuò a fondare e ripristinare diocesi e a eleggere vescovi, sotto la tolleranza anche del successore di Gregorio VII, Urbano II.  

Passato il periodo di emergenza istituzionale, Urbano II intervenne prepotentemente per limitare le prerogative acquisite da Ruggero in materia ecclesiastica. Ne nacque uno scontro aperto tra i due che sfocerà nella Legazia Apostolica.

La Legazia Apostolica

 Il 5 luglio 1098 il papa Urbano II delimitava il potere d’intervento del Gran Conte Ruggero negli affari della Chiesa, emanando la bolla Quia propter prudentiam tuam, meglio conosciuta col nome di Legazia Apostolica. 

La legazia consisteva in un privilegio pontificio in cui si stabiliva che l’autorità del pontefice di Roma riconosceva a Ruggero la facoltà di intervenire negli affari ecclesiastici “in caso di assenza del legato” o “al posto del legato”. In pratica, si subordinava la nomina dei legati apostolici in Sicilia al beneplacito del Gran Conte.

La Legazia, nel tempo, acquisì un carattere consuetudinario e fu estesa a tutto il regno a partire da Ruggero II in poi. 


 

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