LA RICOSTRUZIONE
Studi, proposte, rilevazioni
Il 5 marzo 1909 si era riunita a Parigi, per volontà dell’ing. Flament-Hennebique, la commissione della Società degli Ingegneri civili di Francia per mettere luce sulle migliori misure antisismiche da adottare per la costruzione d’abitati. Ne scaturì un saggio scientifico breve, ma denso di contenuti, che ebbe una buona diffusione fra gli ingegneri di tutta Europa e che fu il punto di riferimento principale per le proposte di ricostruzione di Messina. Esso concentrava tutta la sua attenzione sull’uso del calcestruzzo armato e si basava su tre principi costruttivi: la scelta dei materiali, la struttura e le fondazioni.
Dai rilevamenti effettuati, l’ing. Flament-Hennebique evidenziava che «i materiali antichi, quale il legno, la muratura, il metallo, non davano che cattivi risultati, tanto per la loro incapacità a resistere alle scosse sismiche, quanto per la loro facile distruzione per opera dell’incendio che segue sempre i terremoti».
L’incapacità a resistere era dovuta all’incoerenza dei materiali stessi, mentre il calcestruzzo armato si presentava come la soluzione ottimale, apprezzabilissimo per «le sue grandi capacità di resistenza, di continuità, di elasticità e di incombustibilità […] In una parola, tutti sono d’accordo per riconoscere che il Calcestruzzo armato, giudiziosamente studiato e applicato, sia il solo processo di costruzione, attualmente a disposizione degli ingegneri, suscettibile, se non di evitare del tutto i grandi cataclismi del globo, almeno di attenuarli nella più larga misura, e per conseguenza di risparmiare un gran numero di vite umane».
Particolare importanza era riservata anche ai muri a doppia parete affinché gli edifici potessero «respirare» e allargarsi sotto gli effetti delle diverse temperature stagionali. Nessuna limitazione invece all’altezza degli edifici, a patto che fossero rispettati i rapporti tra essa, la larghezza della superficie e la profondità delle fondazioni (dieci a uno).
Secondo la Società francese, per le nuove costruzioni ordinarie in Messina potevano apportarsi notevoli perfezionamenti: dall’abbattimento di tutti gli elementi costruttivi che mancavano di «stabilità propria» e delle cattive murature composte da elementi eterogenei, alla costruzione d’edifici in calcestruzzo.
Lo studio degli ingegneri francesi, condotto sugli effetti del terremoto di S. Francisco del 1906 e di Messina del 1908, metteva in evidenza la resistenza delle strutture in calcestruzzo armato: «che cosa rischia la scatola in calcestruzzo armato? Null’altro che l’inclinazione dell’insieme, spiacevole certo ma non irreparabile, nè seriamente pericolosa».
Proposte spontanee sulla ricostruzione post terremoto di Messina
A partire dalla primavera del 1909, le proposte spontanee sulla ricostruzione della città arrivarono a fiumi. In comune avevano l’idea di coniugare la bellezza architettonica precedente con le nuove misure antisismiche.
L’architetto messinese Giunta scriveva sul Giornale di Sicilia del 16-17 marzo 1909:
«Premetto che i fabbricati che resistettero maggiormente alla terribile scossa del 28 dicembre 1908 sono quelli ad un solo piano e quelli eseguiti immediatamente dopo la funesta impressione del terremoto del 1783 e che in seguito non subirono modifiche alcune, nè rialzamenti. Quest’ultimi fabbricati, non affidati alla speculazione privata, furono magistrevolmente costrutti con grossi muri perimetrali e mediani e con profondi basamenti, ed alcuni dei quali con sotterranei e quantunque non eseguiti con sistemi, di cui oggi dispone l’architettura moderna, pure diedero prova di grande resistenza. Tutti gli altri fabbricati a più piani, e quelli, specialmente affidati alla speculazione privata, si distrussero quasi totalmente seppellendo sotto le loro macerie migliaia e migliaia di vite umane. Ora se gli antichi edifici, con l’aumentare della popolazione, non avessero subito continue trasformazioni, sia con rialzamenti di nuovi piani, senza punto badare che le loro fondazioni, gli spessori dei muri, come pure le loro strutture murali, non potevano sopportare un sovraccarico di altri pesi, sia con l’indebolimento dei muri medesimi mercé aperture di porte, finestre, balconi, arcate, ecc. ecc. E se le nuove case fossero state razionalmente costruite di un sol piano, non si sarebbero contate tante vittime per quante se ne sono sventuratamente verificate in seguito al violentissimo movimento sismico del 28 dicembre 1908»
L’architetto Giunta faceva queste osservazioni in seguito alla visita alla città distrutta del celebre sismologo giapponese Omori, professore all’Università Imperiale di Tokyo. Insieme i due cercarono una risposta plausibile alla strage causata dal sisma: il numero dei morti, infatti, impressionò l’opinione pubblica mondiale. Si riteneva quasi impossibile che una città moderna potesse soccombere con un così elevato numero di vittime.
L’architetto Giunta avanzò anche dei progetti per il futuro della città. Dopo un’attenta analisi dei fabbricati rimasti in piedi dopo il terremoto, avanzò l’ipotesi che la futura Palazzata di Corso Vittorio Emanuele potesse rimanere sulla stessa linea della struttura precedente, ma solo se ridotta a un piano d’altezza e introducendo, al posto dei tetti, terrazze in cemento armato, concatenate nel perimetro esterno. Giunta sapeva di privare la Palazzata della sua magnificenza, ma ironicamente constatava: «d’altra parte si avrebbe il conforto di dormire sonni tranquilli con la sicurezza di ridestarsi incolumi».
Il piano Giunta per la ricostruzione
Il piano Giunta per la ricostruzione della città era fissato in tre punti:
- lo sgombero razionale delle macerie, ottenuto con la divisione della città in zone delimitate con corridoi fino alla Marina, affidato «ad imprese rispettabili e stabilendo premi a chi completerebbe la zona di sgombro prima del termine stabilito»;
- la ricostruzione del porto e degli edifici commerciali «per dare un pronto risveglio alla vita industriale di Messina»;
- la costruzione di edifici pubblici con principi architettonici e strutturali che fossero d’esempio per i privati, ottenuta grazie al completamento del nuovo piano regolatore del centro storico della città, «la quale, prima anche della catastrofe del 28 dicembre avrebbe meritato un razionale sventramento, come si è fatto nelle più evolute città d’Italia».
Poche basilari indicazioni per la costruzione delle nuove abitazioni: alte non più di nove metri, con piano seminterrato, pianterreno elevato di sessanta centimetri dal suolo e un primo piano. Mattoni ben concatenati, ottime malte idrauliche, fondamenta e muri perimetrali provvisti di sbarre d’acciaio a sezione circolare di quaranta millimetri di diametro disposti sia in linea verticale che orizzontale, immersi in una malta di cemento, tetti leggeri, concatenamenti con cinte di ferro. Poi il tocco futuristico: strade larghe con spaziose gallerie sotterranee dove far passare le condutture dell’acqua, dell’elettricità, del gas, delle fognature, allo scopo di disimpegnare totalmente la superficie lastricata e non danneggiarla con continui scavi che ostacolerebbero il transito pubblico. Giunta spera che la sua «umile proposta […] possa essa tenuta in una certa considerazione», anche in virtù del fatto che ottenne la sincera approvazione del grande sismologo giapponese Omori.
Ma dovette rimanere in concreto inascoltato se, a distanza di pochi mesi, rilanciò una convinta polemica contro il baraccamento della città. Il Genio Civile costruiva baracche «inabitabili e indecenti» come se fosse un’azione definitiva, mentre avrebbe potuto, a parità di spesa, costruire delle «case economiche a pianterreno con muratura di mattoni e malte idrauliche, o in cemento armato, oppure in lamiera stirata rivestita di malta di cemento con ossatura metallica o di legname». I superstiti avrebbero volentieri prolungato la loro attesa pur di ottenere abitazioni di qualità. Ebbene, segnalava Giunta, a volte le migliori iniziative non vengono dall’alto, dai governanti, ma dal popolo. A tal proposito, riportava la singolare iniziativa d’alcuni cittadini di Galati Inferiore, riunitisi in comitato per attendere alla costruzione del loro villaggio, distrutto nel 1906 a causa di forti mareggiate. Il progetto di ricostruzione prevedeva un nuovo villaggio con strade larghe, un buon sistema fognario, condutture d’acqua potabile e case a pianterreno o, al limite ad un solo piano d’elevazione. Ogni famiglia avrebbe avuto la propria casa con una sala riunione, tre camere da letto, una cucina con il forno, il bagno e la vasca per il bucato. La struttura muraria sarebbe stata realizzata in mattoni e malta semi-idraulica, mentre «per resistere alle forti scosse telluriche, si era sin d’allora, progettata una cinta di ferro sotto il coronamento del fabbricato per concatenamento dei muri perimetrali e mediani». Il costo sarebbe stato corrisposto da ogni capofamiglia al Comitato, in quote mensili.
Commentava Giunta: «L’idea sarebbe stata bella, geniale, di persone che amano realmente il paese e che mirano sempre al benessere e all’incremento di esso, senza guardare al proprio tornaconto e senza secondi fini. Ma pur troppo, si era cominciato bene, con tanto slancio di carità cittadina, ma finì, come finiscono sempre tutte le cose della disgraziata Messina».
INDICE
Cap.1: 28 dicembre 1908: storia di una tragedia annunciata
Cap. 2: Storia di un superstite del terremoto di Messina: Antonio Barreca
Cap. 3: Messina 1908: “quale spettacolo terrificante!”
Cap. 4: Storia del primo telegramma che rese noto il terremoto di Messina al resto del mondo.
Cap. 5: Da “via del Corso” a “Corso Cavour”, Messina com’era
Cap. 6: 1 aprile 1867: è tempo di cambiare
Cap. 7: Messina? Già cancellata prima del terremoto
Cap. 8: Le mani sulla città
Cap. 9: Un intellettuale dissidente a Messina: Riccardo Hopkins
Cap. 10: Il dramma delle alluvioni a Messina
Cap. 11: Le acque messinesi nelle mani dei privati
Cap. 12: Arriva il re!
Cap. 13: Le piaghe di Messina
Cap. 14: Messina alle soglie di un governo liberale
Cap. 15: Il potere dei palazzi
Cap. 16: Ottocento borghese: le mani su Messina
Cap. 17: Trasformismo “alla messinese”
Cap. 18: La Voce di Gaetano Salvemini a Messina
Cap. 19: L’acqua: da risorsa naturale a strumento di potere
Cap. 20: Il giorno dopo il terremoto: i soccorsi russi e inglesi
Cap. 21: Il Re e la Regina a Messina a due giorni dal terremoto
Cap. 22: Quando Messina era amata in tutto il mondo: la solidarietà internazionale post-terremoto.
Cap. 23: Cronache (distorte) dal terremoto di Messina
Cap. 24: Lo stato d’assedio durante il terremoto di Messina
Cap. 25: Cronache (distorte) dal terremoto di Messina
Cap. 26: Lo stato d’assedio durante il terremoto di Messina
Cap. 27: Storie del terremoto di Messina raccontate dai giornali dell’epoca
Cap. 28: Lo smistamento dei superstiti del terremoto di Messina
Cap. 29: Tutta la verità sulle 80.000 vittime del terremoto del 28 dicembre 1908
Cap. 30: Scale sismiche e sistemi di registrazione meccanografici dell’800
Cap. 31: Le tre scosse di quel mattino del 28 dicembre 1908
Cap. 32: Studiosi fra le rovine
Cap. 33: Come erano costruiti gli edifici a Messina prima del terremoto?
(1) Tratto dal libro “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, di Dario De Pasquale, Messina 2006.
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