Antonello non è solo l’artista che ha cambiato la storia dell’arte italiana e, per un certo aspetto, anche europea: è l’uomo che ha saputo dare una giusta collocazione ai valori cristiani, alla scienza, alla Chiesa, all’arte in un periodo come il Quattrocento, caratterizzato sì dal risveglio di alcuni animi ma anche da fortissime tensioni.
Ho presupposto che il nostro artista sia nato nel 1435 per via di una serie di informazioni contenute nelle sue opere (oggetti, stile) e nelle fonti (dirette e indirette) che abbiamo esaminato in questo percorso di ricerca. La notizia portata dal Vasari circa la morte a 49 anni non può più sorprenderci, vista l’approssimazione di scrittura (e di lettura) delle date nel corso del medioevo: è possibile che qualcuno abbia scritto da qualche parte gli anni di Antonello e che lo storico fiorentino abbia letto 49 invece di 44. È plausibile, inoltre, che Antonello abbia cominciato l’apprendistato a Napoli presso Colantonio verso la fine degli anni ’40, visto che sia l’apertura della sua prima bottega a Messina, sia la sua produzione hanno inizio a partire dal 1456-57.
Come gli spregiudicati e strategici arcivescovi di Messina Guidotto, Crispo, Crisafi, Gattola avevano trovato il compromesso per riposizionare la Chiesa nelle stanze del potere della città post-medievale nascente, Antonello è capace, con la sua integrità e correttezza morale, di intercettare e di dialogare con quei personaggi positivi che saranno la fortuna e il futuro di Messina: gli Spatafora, i Saccano, gli Alifia, gli Staiti, i Sollima, il Mallone, il Lascaris. Avrebbe dialogato anche con il Maurolico, se solo il destino glielo avesse permesso.
Comunque sia, Antonello ci ha lasciato un’impronta significativa di se stesso, del suo pensiero e della sua vita. Anche la sua sepoltura presso il convento dei frati minori è un’uscita di scena degna del suo personaggio e del suo buon nome. È la scelta degli spirituali, come quella di santa Eustochia e del miles Federico Spatafora.
Gli uomini e le donne che hanno preso coscienza del loro valore, della loro dimensione storica e geografica, della loro identità, del loro essere sociale, della loro spiritualità: questi sono i protagonisti del Rinascimento. Che si chiamino Brunelleschi, Donatello, Masaccio, Beato Angelico, Botticelli, Antonello, Piero della Francesca, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Vittoria Colonna… poco importa. Quello che riusciamo a scoprire tramite questi grandi del passato è che le loro coscienze sono le nostre coscienze di oggi e di quelle di tutti i visitatori che osservano le loro opere e in esse si compenetrano, si scompongono e si ricompongono, si riflettono e si confondono. È la magia di un mondo che non è solo frutto delle esperienze, come avrebbe voluto Leonardo, ma di tutti i saperi, di tutto ciò che è possibile apprendere tramite la nostra mente e i nostri sensi. C’è, dunque, molta spiritualità nel termine Rinascimento, una componente esplosiva di incorporeità, di leggerezza cosmica, che porta con sé, in linea diacronica e sincronica, innegabili valori e vibranti verità sempre in evoluzione.
Dall’Annunciazione di Siracusa al San Girolamo nello studio di Londra, Antonello passa dalla pittura apologetica alla pittura storica, che diventa evento e rende eterni volti, personaggi, cose.
La ricchezza dei contrasti, il volume dei capelli e le lumeggiature delle barbe dei suoi Ecce homo parlano di studi sugli spazi e sulle tonalità di luce.
Lo studio anatomico delle Crocifissioni mi sembra un argomento di singolare portata che precede le ardite prospettive tizianesche, così come i paesaggi anticipano il vedutismo.
La veste dell’Annunciata, che avvolge nel suo geometrico e rigido involucro una donna tenera, fragile e sensuale, è, più che il cielo della cristianità, il mare siciliano alle prime luci del mattino.
Le fastose vesti arabescate della Pala di San Cassiano sottolineano l’oggettività della parata, dell’epifania religiosa, dell’offerta.
Nella ripetizione dei gesti della quotidianità si manifesta il dramma del martirio del San Sebastiano di Dresda, retaggio storico di un passato romano glorioso, ora in decadenza, su un paesaggio forse inventato, fatto di case rinascimentali con richiami orientaleggianti.
Questa è la visione dell’autunno del medioevo che Antonello da Messina ci consegna attraverso il suo originale racconto pittorico: un mondo nuovo che unisce gli uomini di ogni spazio e di ogni tempo, messo a fuoco dalla luce divina che impreziosisce le dense pennellate dei suoi colori a olio. Frammenti di verità svelati all’umanità da un uomo tanto semplice quanto geniale. La visione positivistica di uno sguardo affascinato dalla bellezza del creato e di una mente appassionata della filosofia, delle scienze, dei saperi accumulati nel tempo.
L’anima, secondo Antonello, è il punto di unione tra materia e spirito, come nella Genesi, nelle Summae di San Tommaso d’Aquino e nella Pala di San Cassiano: tota in toto corpore. E come l’anima viene instillata da Dio alla nascita, tende a ritornare a Dio durante la vita, passando dal sapere all’essere, dalla conoscenza alla fede, da San Tommaso a San Francesco. Antonello parla alla mente, al cuore e allo stomaco dei suoi contemporanei, come farebbe un predicatore, prendendo a modello Cristo e considerando la vita virtuosa la via più breve verso Dio: «Qui voluerit animam suam salvam facere, perdet eam; qui autem perdiderit animam suam propter me, inveniet eam» (Mt. 16, 25)386.
Gesù è l’uomo che si sacrifica per tutti, l’esempio più puro di bontà e di generosità, il dominio dell’anima sul corpo, l’abbraccio incondizionato di un fratello, di un padre, di un maestro. Cristo, elevato nel cielo azzurro di Antonello, ci rivela il segreto della massima conoscenza raggiungibile per fede: Dio. Attorno al 1460, Antonello si confronta con il tema de La disputa di San Tommaso per la chiesa di San Domenico a Messina, poi distrutto da un incendio nel 1849 e di cui abbiamo una probabile derivazione presso Palazzo Bellomo a Siracusa e un piccolo schizzo a inchiostro custodito presso il British Museum di Londra. Ma è lo spirito santo, l’antico πνεῦμα dei Greci e il νοῦϚ di Aristotele, la vera scoperta iconografica di Antonello, che permette di superare il dualismo medievale anima/corpo. Il pittore messinese identifica nella natura (acqua: il calice della Sapienza divina, i fiumi, i torrenti, il mare; aria/soffio: il volo degli uccelli, la bocca semiaperta, le pagine sollevate dei libri; terra: alberi, pietre, esseri viventi) lo spirito divino che permea l’intero creato e guida il corpo verso le buone azioni (ancora il calice) e l’anima verso l’immortalità e l’ascesa al cielo, secondo una concezione antropologica cristiana apparentemente semplice ma in verità molto complessa, perché spiega la discendenza dell’anima dallo spirito santo, senza passare dalla materia.
È il miracolo del Rinascimento.
Tratto da: Dario De Pasquale, Antonello da Messina e il suo tempo, ABC SIKELIA Edizioni, 2021.