SETTIMANA EUROPEA DEI CIMITERI MONUMENTALI: “L’Eredità del Canova a Messina”

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SETTIMANA EUROPEA DEI CIMITERI MONUMENTALI

“L’Eredità del Canova a Messina”

I cimiteri non sono solo luoghi di sepoltura, sono luoghi straordinari dove il tempo sembra essersi fermato, dove si rimane divisi tra terra e cielo. Beni intangibili, dunque, quasi virtuali, ben collocabili in un’epoca digitale come la nostra. 

Le statue, le architetture, le decorazioni sono reali e si possono toccare con mano, ma la sensazione è quella di percepire, dietro quelle immagini simboliche, delle vite immaginarie, sconosciute, eppur vere. Inevitabilmente, ci si lascia rapire dalla loro essenza.

Per capire il perché di questa enorme produzione statuaria, che colloca il Gran Camposanto di Messina al secondo posto in tutta Europa per la monumentalità di grande spessore artistico distribuita in 22 ettari di terreno, bisogna ricollegarsi all’idea che gli antichi avevano dei cimiteri.

I cimiteri erano una presenza dominante nelle civiltà più antiche (testimonianza e strumento di conoscenza). Roma antica per prima separa i luoghi di sepoltura dalle città ma li riaccoglie in età cristiana, ingerendoli nel “grembo” della Chiesa, facendo perdere loro la connotazione di luogo collettivo. Nel medioevo, i cimiteri, concepiti come luoghi dell’orrido, si sublimano attraverso l’arte, confondono sacro e profano.

In questa dimensione arrivano fino al secolo dell’Illuminismo, quando, in seguito alle scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano (1738-48), riemergono le grandi strutture cimiteriali del passato, vere e proprie città dei morti, parte integrante dell’urbs, cioè del centro urbano organizzato.

Ragioni legate alla forza dell’esempio, portano gli illuministi a concepire un cimitero come quelli del passato. Milizia propone una possibile configurazione di cimitero: un “ampio recinto quadrato”, circondato da portici e arcate dove collocare i segni funebri o i “cenotafi delle famiglie benemerite”, con ossari e cappelle a forma di Pantheon o di piramide.

I cimiteri del ‘700 e della prima metà dell’800 sono contenitori di valori, grandiosi e drammatici allo stesso tempo. La collocazione periferica ne fa polo di espansione della città futura. I monumenti sono collocati “a muro”, le sepolture seguono il percorso delle chiese e vengono disposte lungo le pareti, con la conseguenza di costituire una splendida galleria monumentale. Ancor di più se questi sorgono lungo un pendio, dove il paesaggio si fa architettura e viceversa. Come a Poggioreale, Staglieno e Messina.

Dalla seconda metà del XIX secolo si passa al dominio tutto borghese dell’immagine monumentale: dell’architettura alla scultura, all’arredo, alle suppellettili, alle posate… tutto parla del loro mondo, di valori comuni. È quello che vediamo qui: il frutto dell’impegno della società borghese per la città.

Scultori come Saro Zagari, Gregorio Zappalà, Giovanni Scarfì, Carmelo Gatto, Gaetano Russo ricevono dal Senato messinese una borsa di studio per perfezionarsi a Roma, presso l’Accademia di San Luca. Qui il “principe” indiscusso è Antonio Canova (1757-1822), scultore neoclassico, seguito da Thorvaldsen, Tenerani, Tadolini, Monteverde, maestri diretti dei nostri artisti messinesi.

Nel cuore dell’Ottocento, Messina si ritrova in un momento storico felice per l’alto profilo professionale dei suoi intellettuali: artisti, pittori, scultori, architetti, ingegneri, letterati, poeti. Il tutto grazie anche al sostegno del governo borbonico e degli ottimati messinesi nei confronti delle belle arti. 

Messina poteva anche vantare ingegneri preparati nei calcoli di stabilità, come Leone Savoja, progettista del Gran Camposanto: a quei tempi, gli ingegneri italiani svolgevano per lo più compiti legali, amministrativi e calcoli estimativi; era molto improbabile che si occupassero anche di calcoli di stabilità e di componenti strutturali, parti che venivano solitamente riservate a ingegneri stranieri. Questo perché in Italia mancava ancora una corretta formazione in questo campo: bisogna arrivare all’istituzione dei Politecnici (dopo il 1860) per avere una figura completa di ingegnere. Ma la spinta maggiore viene proprio dai complessi cimiteriali, che, per la loro complessità, mettono a dura prova le capacità dei nostri tecnici.

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