Nel precedente articolo Messina? Già cancellata prima del terremoto abbiamo visto come Messina fosse stata oggetto di notevoli modifiche urbanistiche, non solo dovute all’introduzione di nuove opere pubbliche che cambiarono il volto della città in senso moderno, ma anche alla cancellazione delle tracce degli antichi regimi spagnolo e borbonico.
Dalla città ancien regime alla città capitalistica
Nell’Ottocento si assiste al passaggio dalla città «ancien regime» alla città capitalistica. Il centro urbano non è più l’isolata entità territoriale riservata alle élites, è un luogo aperto, di connessione tra centro, periferia e campagna. Il più grande contributo alla trasformazione è apportato dalla borghesia commerciale, che vive il centro nei palazzi e negli uffici pubblici, la campagna nelle ville residenziali o nelle case padronali a stretto contatto con l’attività agricola e la periferia nelle fornaci, nelle concerie, nelle fabbriche tessili o di trasformazione agrumaria. Ma è proprio al centro che la borghesia coordina tutta la propria attività economica, sedendo ai tavoli del potere, nei consigli comunali, provinciali, nei tribunali, nella camera di commercio. Queste caratteristiche, comuni, come ci conferma Carlo Cattaneo, a tante città italiane, sia settentrionali che meridionali, sono il fattore unificante del tessuto culturale italiano, insieme a quella classe d’intellettuali ex rivoluzionari che avevano lanciato un entusiasmante ponte di collegamento culturale e politico fra le maggiori città d’Italia e le grandi capitali europee.
Messina negli anni ’60 è una grande città, una delle poche d’Italia con più di 100.000 abitanti. Dopo vent’anni continua ad esserlo e la sua popolazione ascende a 126.000 abitanti circa. A tale sviluppo demografico non corrispose un adeguato sviluppo urbano: mentre le altre città del Mezzogiorno, come Napoli e Palermo, operavano sventramenti, Messina si estendeva sulla pianta della vecchia città, senza compiere una vera e propria opera di razionalizzazione del territorio urbano.
Il perchè è ravvisabile nelle ferventi polemiche, sorte all’interno del consiglio comunale, per la stesura di un piano regolatore adeguato alle direttive del governo unitario. Nell’attesa di un piano definitivo, si mettevano in pratica «piani d’arte» ad hoc che riproponevano i contenuti dell’elastico piano regolatore borbonico del 13 aprile 1859 . Da qui anche un’irregolare crescita architettonica della città, dove tutti potevano costruire tutto, in barba alla legge nazionale.
Autorevoli contestatori dello scempio urbanistico furono alcuni architetti messinesi della seconda metà del XIX secolo, fra i quali spiccò la figura di Riccardo Hopkins.
Fra abusi e brochures
Il mezzo di denuncia frequentemente usato, in questo scorcio di secolo, da una sempre più folta classe d’intellettuali è la brochure che, insieme alle gazzette, alle lettere, alle memorie e ai diari, costituisce un’interessante testimonianza dei rapporti fra istituzioni e gruppi di potere.
Il borghese d’ogni tempo ha fatto frequentemente ricorso alla pubblicità: già nel Trecento, si lasciava rappresentare nell’iconografia pittorica dell’Adorazione dei Re Magi allo scopo di dare una legittimità religiosa e storica alla propria famiglia, costruirsi una storia dal nulla, dal momento che non possedeva blasoni, titoli e, tanto più, sangue blu.
Nell’Ottocento continua a farsi riprodurre in mezzobusti, quadri di famiglia, tele testimonianti incontri, veri o puro frutto d’invenzione, con le sovranità europee. Anche i testi letterari ottocenteschi insistono sulle biografie di nuovi personaggi emersi dall’oscurità dell’anonimato. Si tratta di ex rivoluzionari, di medici, ingegneri, avvocati, imprenditori. Sono tutte modalità di diffusione del pensiero liberale e strumenti utili all’instaurazione di legami politico-sociali riscontrabili anche nelle altre città europee.
Infine, c’erano le opere di contestazione che, ripercorrendo una moda già iniziata nel settecento illuminista, mettevano alla berlina le istituzioni e i personaggi politici. A Messina non mancarono neanche le cosiddette «rivendicazioni letterarie», come quelle del professor Gioacchino Chinigò, che testimoniavano il persistere del sentimento risorgimentale a distanza di quasi quarant’anni dall’unità d’Italia. Legato alle figure rivoluzionarie di Foscolo e Mazzini, nel 1887 Chinigò si battè per erigere due monumenti in Messina ai due campioni del Risorgimento italiano, sulle orme della più liberale Inghilterra.
L’interessante brochure che esamineremo insieme non è il solito libretto di pochi fogli a carattere divulgativo, è una vera e propria invettiva di ben settanta pagine. Si compone di un proemio e di dieci capitoli. Ad animare il suo autore, l’ingegner Hopkins, è l’idea, dal carattere oltremodo rivoluzionario, di «combattere un individuo qual è il Comm. Cianciafara». Per dare fondamento all’accusa, l’ingegnere svolse numerose ricerche tra i libri del bilancio del Comune, riportò brani tratti da quotidiani «anticianciafariani» come L’Aquila Latina e Imparziale, addusse dati e testimonianze incontrovertibili.
La vera piaga di Messina è, già nel titolo, la palese denuncia di una voce autorevole. Anzi, sembra che l’ing. Hopkins sia il depositario dell’unica verità e che nel suo animo ci sia quella fiducia incrollabile che tutti gli intellettuali dell’Ottocento riponevano nelle leggi e nel documento scritto. La piaga sta alla borghesia ottocentesca come il peccato sta al mondo cattolico. È un filtro critico della società, così come lo è oggi, cambiano solo le problematiche e i canali di diffusione del dissenso. E siccome di «piaghe» potrebbero essercene tante, Hopkins intende limitarsi a quella più importante, quella che sta a capo di tutte, la fonte unica delle piaghe del mondo: il malgoverno.
Il tono del proemio è baldanzoso e ironico, vi emerge il senso civico della denuncia, vista come «dovere». Qui è contenuta la motivazione di fondo che ha spinto l’autore a pubblicare la brochure: a seguito di una lettera-verità indirizzata all’ing. Gaetano Benigni e pubblicata sul giornale messinese Imparziale del 21 maggio 1882, Hopkins aveva ricevuto frequenti visite di amici che lo pregavano di non pubblicare e di amici del sindaco di Messina Giuseppe Cianciafara che lo minacciavano apertamente della contropubblicazione di una sua lettera compromettente. La lettera, che avrebbe dovuto rovinare la reputazione dell’ingegnere di fronte all’intera comunità, fu pubblicata da Hopkins nella sua stessa brochure.
Articoli precedenti sul Terremoto di Messina:
- Messina 1908-2018: i 110 anni del terremoto che unì gli italiani più dell’Unità
- 28 DICEMBRE 1908: storia di una tragedia annunciata
- Storia di un superstite del terremoto di Messina: Antonio Barreca
- Messina 1908: “quale spettacolo terrificante!”
- Storia del primo telegramma che annunciò il terremoto di Messina al mondo
- Da «Via del Corso» a «Corso Cavour»
- Messina? Già cancellata prima del terremoto
(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “LE MANI SU MESSINA prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Giochi di potere, politica, malaffare, potentati locali, rapporti con il governo italiano e resoconto a 100 anni di distanza.”, [2006].
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