La formazione della comunità
L’uomo è un animale sociale. Sin dalla preistoria ha cercato di unirsi ai suoi simili, principalmente per motivi di sopravvivenza. Per nutrirsi, infatti, aveva bisogno di cacciare e gli animali selvatici si facevano catturare difficilmente da un uomo solo. Occorreva astuzia, abilità, coraggio ma anche la partecipazione di altri cacciatori. Tutti alla fine si sarebbero spartiti la cacciagione. Lo stare insieme, inoltre, diminuiva lo stato di tensione precedente la caccia e aiutava a fuggire la paura, adesso condivisa da tutti. Lo stare insieme, però, condizione che chiameremo d’ora in poi comunità, comportava anche l’instaurazione di alcune norme naturali, che chiameremo consuetudini, utili alla pacifica convivenza.
Tutta la comunità aveva diritto alla spartizione del cibo e al riparo all’interno di una grotta o solo alcuni dei suoi componenti? Il più forte e il più robusto avrebbe fatto prevalere la sua prestanza fisica e goduto di una posizione privilegiata nel gruppo, come effettivamente avvenne, tant’è che si verificarono dure lotte tra gli uomini per l’aggiudicazione del ruolo di capo tribù.
Ma chi avrebbe difeso la catena più debole della comunità: i bambini, gli anziani e le donne?
Da qui l’importanza del gruppo organizzato che si coalizza per far fronte alle prepotenze dei più forti. Fu così che il gruppo dei più deboli si riunì per accordarsi sulle modalità di una buona e pacifica convivenza, per non soccombere. L’accordo era costituito da alcune norme non scritte, che si tramandavano da generazione in generazione, custodite dai vecchi saggi della comunità. Non sappiamo quando tutto questo avvenne effettivamente, ma il rinvenimento di alcuni graffiti appartenenti al periodo protostorico ci fanno pensare che esistessero già nell’antichità, prima della formazione delle civiltà del Mediterraneo, delle forme di organizzazione sociale in cui ognuno aveva un suo ruolo (cacciatore, coltivatore, raccoglitore, addetto al pellame), a seconda delle sue attitudini fisiche e intellettuali.