Dal sacrificio al perdono, il mistero della croce

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La Trinità, raffinato gruppo marmoreo attribuito ad Antonello Gagini (Palermo 1504 – 1536) e rifinito da Aurelio Basilicata (1539), Chiesa madre di Santa Maria Assunta, Galati Mamertino (ME)

Nel periodo pasquale prende nuova luce e si ravviva il tema del sacrificio di Cristo per l’umanità, un gesto d’amore incondizionato, un dono senza animo di ripetizione. La religione cristiana, nata dall’amore per l’amore, dal conforto dello spirito che prevale sulla materia, dalla spinta caritatevole nei confronti dei bisognosi, rimane la più affascinante filosofia di vita e il più assolutizzante credo religioso di tutti i tempi.

Il mistero della croce

La croce è il potente simbolo del sacrificio cristiano, è l’albero della conoscenza che indica il cammino della fede: il braccio verticale che punta verso il cielo infinito pur restando ancorato alla materialità, l’altro sospeso tra il cielo e la terra, limite e sfida alla fede dell’uomo. Il credo diffuso da Gesù e i suoi discepoli aveva racchiuse in sè delle caratteristiche rivoluzionarie: il pacifismo (”porgi l’altra guancia”), l’amore filiale, muliebre e verso il prossimo (rispetto dei ruoli familiari, carità), il perdono. In epoca di guerre contro il nemico invasore, di lotte intestine, di scarsezza di risorse, queste caratteristiche non passarono inosservate e contribuirono alla facile diffusione di questa dottrina. La pace, un matrimonio felice, la procreazione, il rispetto del prossimo fornirono le condizioni ideali al diffondersi della tranquillità sociale e, conseguentemente, della prosperità economica. Fu così che il Cristianesimo mitigò la figura del pater familias e le differenze di classe, inneggiando alla vanità dei beni materiali, invitando i benestanti a liberarsene per arricchirsi di valori ben più importanti, di natura spirituale. E’ in questo ambito che si inserisce la storia di S. Francesco d’Assisi, un giovane appartenente a una famiglia benestante di Assisi che, in preda al fervore religioso, decide di seguire le orme di Gesù Cristo, di ricostruire la società dalle fondamenta, di rifondare la Chiesa su basi evangeliche. La Basilica inferiore di Assisi riporta le vicende vissute da quest’uomo divenuto santo, lo strumento della narrazione è l’affresco e l’artista in questione si chiama Giotto.

Qual’è il valore del perdono cristiano?

Insieme ai temi del sacrificio e della fede, la religone cristiana e l’argomento della Resurrezione ci permettono di affrontare il tema controverso del perdono, dotato di una forte componente civile e ugualitaristica. Qual’è il valore del perdono cristiano? E’ solo Dio o anche l’uomo a poter perdonare? Sappiamo che sia davanti a Dio sia davanti all’uomo il perdono è subordinato al pentimento del peccatore. Si legge nel Vangelo di Luca (17:3-4): Badate a voi: se il tuo fratello ha peccato, riprendilo, e se si pente, perdonagli. E se peccasse contro di te sette volte al giorno e sette volte al giorno tornasse a te dicendo: mi pento – perdonagli. Allo stesso modo Gesù chiese a Dio di perdonare i suoi carnefici e tutti coloro che si sarebbero pentiti di fronte al loro peccati. Ma, potreste dire, che valore ha il perdono se comminato a tutti indistintamente? Se tutti gli uomini avessero il diritto morale di perdonare tutto il male fatto ad altri, Dio e il suo perdono non sarebbero più necessari, in quanto noi ci saremmo sostituiti a Dio.

In realtà, il perdono degli uomini è sempre necessario come chiave della serenità civile e spirituale, nella dinamica e intelligente praticità del buon esempio, tuttavia le azioni degli uomini dovranno sostenere il giudizio ben più importante di un’entità spiritualmente superiore, come dire: l’ultima parola spetta sempre a Dio.

Nell’arte il perdono cristiano viene iconograficamente identificato nella Trinità, con la croce di Cristo retta da Dio, dove la triade si completa nel gesto dell’accettazione e della condivisione del sacrificio, nello Spirito Santo come perdono. A tal proposito straordinariamente esplicita è l’opera cinquecentesca ritratta nella foto sopra e raffigurante la Trinità della Chiesa madre di Santa Maria Assunta di Galati Mamertino (attribuita ad Antonello Gagini), che mettiamo a confronto (non notate una somiglianza?) con il più noto antecedente di Masaccio custodito presso la Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze:

La Trinità di Tommaso Guidi detto Masaccio (1426), Firenze, Santa Maria Novella.
La Trinità di Masaccio con il particolare dell’affresco dello scheletro giacente.

Sopra l’immagine dello scheletro Masaccio scrisse: “IO FU GIÀ QUEL CHE VOI SETE E QUEL CHI SON VOI ANCOR SARETE”. Sono le parole di Cristo a Dio, il segno di devozione che sottrae gli uomini dal peccato originale della non sottomissione. Nel Vangelo di San Giovanni è scritto: “Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” (17:10-11).

Conoscete parole d’amore più belle?

Antonello da Messina, Cristo morto sostenuto da un angelo, 1476 circa, olio su tavola; Madrid, Museo del Prado. Antonello ci invita a riflettere sul sacrificio di Cristo come atto dolorosissimo ma dovuto…
Mantegna, Cristo morto, 1480. Milano, Brera. L’artista insiste sul tema del dolore e ne accentua la drammaticità servendosi di colori pallidi, sottolineando le piaghe del corpo, le lacrime della Vergine attempata, la dimensione prospettica appiattita…
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