Freud, il padre della psicoanalisi, lo avrebbe voluto come paziente. Munch è il prototipo dell’artista lacerato da un destino avverso, carico di ossessioni, angosciato dalla vita eppure capace di “urlare” la sua condizione in maniera tanto drammatica quanto originale.
Edvard Munch nasce in un quartiere a sud di Oslo il 12 dicembre del 1863. Vive un’infanzia sfortunata: la madre Laura muore a 30 anni di tubercolosi e qualche anno anno scompare anche la sorella quindicenne per la stessa malattia. Il senso di angoscia e di incombenza della morte pervaderanno la sua esistenza da ora in poi.
Munch è ossessionato dal senso tragico della vita, ricorrente nei suoi dipinti (“Odore di morte”, “Il letto di morte”, “La madre morta”, “Angoscia di vivere” , “Morte”). Non va d’accordo con il padre, di cui non sopporta l’ossessione religiosa e da cui pensa di aver ereditato «i semi della follia»; allo stesso modo, il padre non apprezza le sue opere e si dice che fosse arrivato a distruggerne almeno una (un nudo di donna), rifiutando di sostenerlo economicamente. Comunque, alla morte del padre, Edvard tenta anche il suicidio.
Contemporaneamente si chiude al mondo e rifiuta anche la presenza di una compagna di vita perché teme che il matrimonio possa mettere a rischio la sua libertà di artista e di uomo, nonostante affermi che un artista non può fare a meno di «una donna che gli stia dietro in ogni momento, indicandogli la strada» (nella foto, “Madonna”, 1894).
Munch mostra qualche remora sull’acquisizione di una maggiore indipendenza da parte della donna nella società norvegese (la Norvegia concede il diritto di voto alle donne nel 1913), per la sua natura tipicamente instabile. Tuttavia Munch riconosce la sua importanza nella vita sociale e privata, citando il ricordo della madre (pittrice) e della zia Karen (sua prima mecenate, che lo incoraggia a studiare presso le accademie dell’arte).
Iscritto all’Accademia di Belle arti di Oslo (l’allora Christiania), mostra di saper padroneggiare la tecnica pittorica con grande abilità e competenza. Nel frattempo frequenta un movimento artistico di giovani pittori norvegesi. Al termine degli studi (1885), decide di installarsi nella capitale europea dell’arte, Parigi, dove incontra Gauguin, Van Gogh, Toulouse-Lautrec e Degas.
Fa uso di colori forti e contrastanti (rosso e nero, soprattutto), si esprime attraverso temi introspettivi, precorrendo sia l’espressionismo sia alcuni caratteri della psicologia. Munch attribuisce i suoi problemi di salute e il malessere esistenziale al brutto clima norvegese, «le nuvole, la pioggia, il freddo, l’orizzonte che si fa grigio, la solitudine. Per me cala l’angoscia».
Il periodo berlinese
Nel 1892 è a Berlino, dove espone cinquanta suoi dipinti. Ma l’atteggiamento della critica è pesante e ingiusto nei suoi confronti: i suoi quadri vengono ritenuti degni di un malato mentale, ermetici, oscuri, esteticamente brutti. Di fronte a tali giudizi, la mostra viene sospesa così in fretta che un gruppo di artisti e letterati riunitosi a difesa del nostro pittore, crea un movimento culturale che prenderà il nome di Secessione (separazione dall’ufficialità del pensiero accademico). A questo proposito, Munch scrive in una lettera: «Non mi sono mai divertito tanto: è incredibile che una cosa innocente come un dipinto possa aver provocato un’agitazione simile». A Berlino trova committenti ricchi e un clima culturale favorevole ravvivato dalle interessanti e futuribili scoperte di Sigmund Freud.
Da qui nasce la sua fortuna: a Berlino resterà fino al 1908, ma nonostante tanto successo, l’artista vive isolato e, a volte, sotto ricovero, per un forte esaurimento nervoso.
Per ironia della sorte, ma anche a dimostrazione della nuova apertura dei corsi di studi artistici, diviene membro dell’Accademia tedesca delle arti e socio onorario dell’Accademia bavarese di arti figurative di Monaco di Baviera (nella foto, “Autoritratto” dell’artista).
Il nazismo lo condanna come artista “degenerato” e ne limita la diffusione delle opere.
Munch muore il 23 gennaio del 1944 a causa di una polmonite. La sua eredità, formata da oltre 1100 dipinti, 3000 disegni e 18000 litografie, va al comune di Oslo, che, nel 1963, gli dedica un museo, il Munch Museet, appunto.
L’opera più famosa di Munch è “L’Urlo” (1893). Il dipinto riprende un episodio realmente accaduto al pittore durante una passeggiata sul ponte con due amici: il soggetto “urlante” è lo stesso Munch. L’artista ebbe una visione, che anni dopo raccontò in un poema, trascrivendolo sulla cornice di una delle quattro versioni del dipinto: «Passeggiavo lungo la strada con due amici / il sole stava tramontando / d’improvviso il cielo si tinse di rosso sangue / mi fermai, stanco morto, e mi appoggiai al parapetto / c’erano sangue e lingue di fuoco sul fiordo nero-azzurro e sulla città / i miei amici continuarono a camminare, e io rimasi lì tremando di angoscia / e sentii un urlo infinito attraversare la natura». Alcuni ricercatori, nel 2004, hanno ipotizzato che il cielo visto da Munch fosse così rosso a causa di un fenomeno naturale: le polveri generate dalla violenta eruzione del vulcano indonesiano Krakatoa, nel 1883, rimasero sospese per diverso tempo nell’atmosfera, producendo crepuscoli spettacolari in tutto il mondo.
«Non dipingo quello che vedo, ma quello che ho visto», dice il pittore, rivendicando la superiorità del ricordo alla rappresentazione della realtà. Spesso ritraeva più volte lo stesso soggetto con alcune varianti, così da «scandagliarlo sempre di più». Su L’Urlo così si esprime: «Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io. […] L’intera scena sembra irreale, ma vorrei farvi capire come ho vissuto quei momenti. […] Attraverso l’arte cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile aiutare anche chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro».