Raffaello da Urbino

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Raffaello nasce a Urbino nel 1483, primo e unico figlio di Giovanni Santi e di Maria di Battista di Nicola Ciarla. Il cognome “Sanzio” probabilmente risale al cognome del padre “Santi” (dal latino “Sancti”).


Raffaello Sanzio, Autoritratto (1506), Galleria degli Uffizi, Firenze.

Raffaello trascorre un’infanzia intensa, funestata tuttavia dalla morte della madre, avvenuta durante i suoi 8 anni e del padre, a 11. Urbino è una delle grandi città culle del Rinascimento e anche Giovanni, il padre, è un attivo pittore alla corte dei Montefeltro.

Nelle stanze del Palazzo Ducale, Raffaello osserva le opere di Piero della Francesca, Luciano Laurana, Pedro Berruguete, Giusto di Gand, Antonio del Pollaiolo, Melozzo da Forlì. La sua prima formazione artistica è legata all’attività del padre, ma, dopo la sua dipartita, Raffaello approda alla bottega del Perugino. A 16 anni deve essere già un artista di rilievo se una confraternita di Città di Castello (dove il padre gestiva una bottega) gli ordina uno stendardo dedicato alla Santissima Trinità e le monache del monastero di Sant’Agostino gli commissionano una Pala dedicata al beato Nicola da Tolentino. Non ha ancora 20 anni quando dipinge uno dei suoi massimi capolavori: lo Sposalizio della Vergine, in competizione con lo stesso Perugino. 

Raffaello Sanzio, Sposalizio della Vergine (1504), Pinacoteca di Brera, Milano. Da notare il grande equilibrio fra architettura e scena in primo piano, la morbidezza dei colori e la grazia delle forme. Il simbolo religioso della fede si sposa con le fantasiose geometrie del battistero.

A Siena conosce l’anziano pittore Pinturicchio, tra i due nasce una buona amicizia che li porta al lavoro collettivo per la Libreria Piccolomini. Il lavoro viene abbandonato probabilmente allorquando gli sopraggiunge la notizia delle magnifiche opere compiute a Firenze da Leonardo e Michelangelo, specialmente presso il Palazzo dei Cinquecento. Raffaello è un pittore umile ma lungimirante: apprende come una spugna da tutti i maestri in vita: da Leonardo il senso della spazialità e da Michelangelo la ricchezza cromatica e il dinamismo.

Anche a Firenze non mancano le commissioni da parte delle più importanti famiglie: la Madonna del Cardellino, la Madonna del Belvedere e di figure femminili quali Maddalena Strozzi e la Dama col liocorno. 

 

 

 

Il culmine è raggiunto con la Pala Baglioni (1507), commissionata da Atalanta Baglioni in commemorazione della morte del figlio Grifonetto e destinata all’altare della chiesa di San Francesco al Prato a Perugia.

Raffaello, Pala Baglioni, 1507, Galleria Borghese, Roma.

Il senso tragico della morte emerge in quest’opera in cui la tensione dell’evento è smorzata dalla composta teatralità dei personaggi, consapevoli partecipanti di un progetto già predefinito. L’intreccio di gambe e di braccia, i volumi e i colori richiamano lo stile michelangiolesco, ma la plasticità e l’intensità degli sguardi è tutta raffaelliana.

La svolta dell’artista urbinate avviene a Roma, allorquando papa Giulio II, preso dal suo grandioso progetto di rilancio urbanistico, invita Raffaello (forse per suggerimento di Bramante o dei Della Rovere) a completare le 4 stanze vaticane (insieme a un altro gruppo di valenti pittori come il Sodoma, Bramantino, Baldassarre Peruzzi, Lorenzo Lotto e altri). 

Raffaello, Scuola di Atene, 1509-11, Stanza della Segnatura, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma.

I suoi lavori piacciono così tanto al papa che si danno disposizioni per far ridipingere da Raffaello le pareti di altri pittori precedenti (persino gli affreschi di Piero della Francesca). Durante la decorazioni della Stanza della Segnatura (una delle quattro “Stanze Vaticane”, poste all’interno dei Palazzi Apostolici), il papa è coinvolto in un evento bellico contro i francesi che gli costerà la perdita di Bologna, enormi capitali e la sventura della presenza straniera nei suoi territori. Il clima politico è così teso che anche le decorazioni delle nuove stanze (sala delle udienze) contengono scene di rinnovata serenità grazie all’intervento divino, chiaro riferimento alla fine della guerra. 

La Scuola di Atene costituisce la parte più importante di un progetto artistico che tende ad esaltare la nascita delle arti umanistiche, grazie al papa Giulio II. L’affresco illustra il tema centrale della filosofia, presentando un’ipotetica scuola di Atene dove confluiscono tutti i più grandi filosofi dell’epoca greca classica, con un particolare: i volti sono quelli degli artisti più conosciuti del Rinascimento. Così al centro scopriamo un Leonardo-Platone, affiancato da un Bastiano da Sangallo-Aristotele, il primo indica il cielo con l’indice, alla ricerca del bene (l’idea che scaturisce dalla ragione), mentre il secondo tende una mano a mezz’aria a testimoniare la necessità dell’esecuzione dell’idea; sulla sinistra si erge un maestoso Socrate, in verde, di fronte a un battagliero Alessandro Magno; un Michelangelo-Eraclito appare al centro, pensieroso e malinconico; sempre in primo piano, si distinguono le figure di importanti matematici, a sinistra Pitagora regge un grande libro, alle sue spalle Averroè sbircia dai suoi appunti; a pochi passi da loro, in piedi, c’è un probabile Parmenide che regge un libro; sdraiato sugli scalini abbiamo Diogene, mentre a destra, chinato su una tavoletta è Bramante-Archimede, Tolomeo regge un globo, come il frontistante Baldassarre Castiglione-Zoroastro; all’estrema destra appare anche lo stesso Raffaello (Apelle), semi-nascosto. La combinazione di personaggi dell’epoca con i grandi studiosi dell’antichità esalta il valore del Rinascimento e forma un maestoso ponte con il passato, a dimostrazione che il Medioevo (e gli umanisti in particolare) è riuscito a conservare il meglio dello scibile umano.

 

Raffaello, Cacciata di Eliodoro dal tempio, 1511-12, Stanza di Eliodoro, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma.

La Cacciata di Eliodoro dal Tempio evidenzia il cambiamento verso la maturità stilistica, i toni si fanno più drammatici, le azioni assumono rapidità. La scena è tratta dal Libro dei Maccabei (Libro II, 3, 21-28) e simboleggia la protezione offerta da Dio alla Chiesa  contro i suoi nemici. Eliodoro di Antiochia è un ministro di Seleuco IV, re di Siria, incaricato di profanare il tempio di Gerusalemme. Dietro la preghiera del sacerdote Onia (al centro della composizione), arriva il messaggero di Dio a cavallo, che spinge il profanatore verso l’angolo più basso. Forse allude alla vittoria del papa sui cardinali a favore dello scisma: di fronte alla scena, il papa assiste impassibile allo scontro. Da  evidenziare, ancora una volta, come già nella Scuola di Atene, la precisione del pittore nel ricostruire le architetture sullo sfondo, con una serie di archi che creano profondità, danno volume al tutto, mettono in contatto il terreno con il celeste.

Raffaello, Liberazione di San Pietro, 1511-12, Stanza di Eliodoro, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma.

Grazie a questi lavori l’artista è già salito sugli allori e non basta la morte del papa Giulio II a fermarli, dacché anche il papa successivo, Leone X, conferma a Raffaello tutti gli incarichi.

Non mancano neanche le committenze private, soprattutto da parte di un ricco banchiere senese impiantato a Roma, Agostino Chigi, proprietario di una grande villa urbana costruita da Baldassarre Peruzzi, detta villa Farnesina. Per lui Raffaello realizza gli affresco con il Trionfo di Galatea (1511, nella foto), la Loggia di Psiche (1518-1519) e la camera con le Storie di Alessandro.

Fra i più bei ritratti per i papi, vanno ricordati proprio quelli di Raffaello per Giulio II (1512) con l’innovazione tecnica del superamento del distacco fisico del soggetto con lo spettatore, e per Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi (1518-19, Uffizi), in cui il papa è raffigurato in perfetta armonia con i due cardinali cugini, grazie a un gioco finissimo di sguardi e gesti, lo spessore materico della mozzetta, la cesellatura della campanella cesellata, il riflesso della stanza nel pomello della sedia.

Raffaello, Papa Giulio II, 1511, National Gallery, Londra.
Raffaello Sanzio, Papa Leone X e i nipoti, 1518, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Il nostro pittore si avvia già verso i 32 anni ma ha ancora dalla sua parte i lineamenti dei suoi vent’anni, la sua ormai proverbiale bellezza che lo porta giornalmente fra le braccia di un numero considerevole di donne. Fra queste, bisogna citare la Fornarina, una delle sue modelle più belle e sensuali. I due sono legati da una passione sconsiderata, che li porta a frequentarsi così spesso da rinchiudersi per giorni interi nello studio romano dell’artista senza dare notizie e senza mai apparire in pubblico. La loro intensa storia d’amore è documentata dalle opere di Raffaello e dagli scritti del Vasari.

Raffaello, La Fornarina, 1518-19, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma.

La stessa modella presta il volto alla Madonna Sistina (1513-1514), che appare dopo la scoperta di un verde sipario in tutta la sua semplicità di donna e di madre, senza aureola e scalza. La sua leggerezza e i suoi passi sulle nuvole ne suggeriscono la natura divina, mentre i due santi sono il suo contatto con il mondo terreno e con gli spettatori. Il dinamismo della veste rende la scena credibile e commovente, così come i due angioletti pensosi creano una tenera compensazione tra dipinto e realtà. 

Raffaello, Madonna Sistina, 1513-14, Gemäldegalerie, Dresda.

Ad altri incarichi del papa Leone X sono da ricondurre i lavori per Villa Madama, alle pendici del Monte Mario. La villa è la rivisitazione delle architetture romane in chiave rinascimentale, con il prospetto in armonia con il paesaggio naturale circostante, gli ambienti termali, i giochi d’acqua, le stalle per duecento cavalli e il relativo ippodromo, il teatro secondo l’ispirazione della Domus Aurea di Nerone, scoperta proprio in quel tempo grazie all’intervento dello stesso Raffaello nelle ricerche.

Raffaello, Trasfigurazione di Cristo, 1518-20, Pinacoteca vaticana, Città del Vaticano. Opera drammatica e teatrale, anticipa i temi del Seicento: in basso a destra un bimbo invasato strabuzza gli occhi, il genitore lo trattiene impaurito; a sinistra i discepoli indicano la giusta via per l’espiazione: Cristo, il cui splendore stupisce e addormenta i suoi apostoli più vicini Pietro, Giovanni e Giacomo, si trasfigura dopo il suo ultimo miracolo in terra, attorniato dai profeti Mosè ed Elia.

Da non dimenticare la grande pala d’altare realizzata per il cardinale Giulio de’ Medici nel 1516, in competizione con Sebastiano del Piombo (allievo di Michelangelo), denominata Trasfigurazione di Cristo e le Logge della facciata del palazzo niccolino in Vaticano, con le storie dell’Antico e Nuovo Testamento, dette anche la “Bibbia di Raffaello“.

L’artista urbinate muore il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Febbre acuta da “eccessi amorosi” chiama il Vasari la malattia contratta da Raffaello, probabilmente una forma di sifilide malcurata dai dottori dell’epoca.


 

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