Girolamo Alibrandi (Messina, 1470-1524) fu un pittore del tardo Rinascimento siciliano e un manierista. Riportava lo studioso Stefano Bottari su di lui:
“Il poco che positivamente si conosce dell’A. si riferisce pertanto al momento del suo incontro con Cesare da Sesto: nulla sappiamo, ad esempio, della sua attività giovanile. Le opere rimaste appaiono prive di autonomia, e acquistano rilievo solo nella vasta risonanza che, come ormai è stato ampiamente dimostrato, ebbe, non soltanto a Messina ma anche in tutta la Sicilia, l’opera di Cesare da Sesto: il capitolo modesto, ma pur sempre significativo, della diffusione della cultura leonardiana e raffaellesca in Sicilia.”
Oggi il pittore messinese è stato rivalutato e una sua opera, una Madonna con Bambin Gesù e San Giovannino, è stata messa all’asta nel 2022 in Francia. Lo studioso Ranieri Melardi ne ha seguito pedissequamente il percorso in un suo saggio (L’Officina di Efesto, Rivista di storia dell’arte, Centro Studi sulla civiltà artistica dell’Italia meridionale “Giovanni Previtali”, Anno 2021, pp. 249-265) e ha raccolto i pareri di altri storici dell’arte locali circa l’attribuzione della paternità dell’opera all’Alibrandi e quasi tutti hanno espresso parere positivo. Com’è risaputo, il quadro in questione, inizialmente attribuito a un seguace di Cesare da Sesto (la scheda dell’asta precedente, risalente al 1983, riportava: «Cette oeuvre se situe dans l’entourage milanais de Léonard de Vinci./Il sera joint un certificat di Madame Mina GREGORI, Professeur de l’Université de Florence»), è stato rimesso all’asta con la nuova attribuzione al pittore messinese e venduto a un imprenditore della città dello Stretto per 140.000 euro circa.
Ho avuto modo di osservarlo durante la sua prima esposizione al pubblico messinese e volevo coinvolgere i miei lettori in qualche sincera riflessione.
Nel paesaggio retrostante trovo più che evidente l’influsso della scuola rinascimentale tedesca (Lucas Cranach il vecchio, Albrecht Dürer, Hans Baldung), i cui artisti sono conosciuti anche per aver appoggiato la riforma protestante, mentre le fogge dei personaggi raffigurati risentono della lezione della scuola raffaellesca. Concordo sul fatto che Alibrandi stesse raccontando una storia unitaria sullo sfondo del suo notevole dipinto. Mi ricorda la presa di Costantinopoli, che già Mantegna dipinse come sfondo della sua Orazione nell’orto a due anni dalla caduta della città baluardo dell’Impero Romano d’Oriente, ma credo non racconti la stessa storia.
I cavalieri in basso a sinistra, invece, mi sembrano assimilabili alla predella della Pala di Pesaro del Bellini (particolare della Chiamata di San Paolo).
Sullo sfondo: la rivolta contadina degli anni Venti del Cinquecento?
Avrei qualche teoria riguardo la storia contenuta sullo sfondo di questa tavola del Cinquecento: lo scontro tra i principi tedeschi e i contadini in rivolta fomentati dai protestanti ma contestata da Lutero (che coinvolse anche Norimberga a partire dal 1519), in cui intervennero anche i Lanzichenecchi (assoldati sia dalla nobiltà sia dalle schiere contadine). L’idea è avvalorata dalla presenza di un contadino che spinge innanzi un bue, seguito da un soldato vestito come un lanzichenecco ma con un cappello di feltro tipico di una guardia imperiale, armato di picca e spada, che cerca di andare incontro ad altri cavalieri (credo anch’essi Lanzichenecchi: quelli stampati da Daniel Hopfer, i primi due da destra, riportano copricapi simili a quelli del dipinto che si ritiene di Alibrandi).
La torre diroccata a destra potrebbe rappresentare la fortezza romana citata nella Vita di Antonio, con i rifornimenti che arrivano in soccorso dei monaci estenuati dalle privazioni nel deserto e dai malati sofferenti nel corpo e nello spirito: l’uomo barbuto, infatti, risulterebbe essere Sant’Antonio Abate, il fondatore del monachesimo cristiano (come già indicato dalla storica dell’arte A. Migliorato).
Inizialmente ho pensato a Isidoro di Kiev o al profeta Elia… poi mi son venute in mente un’incisione di Dürer e la Tebaide di Buonamico di Buffalmacco, presso il Camposanto di Pisa (ovvero le vite dei Santi Padri nel deserto presso Tebe, tratte dalla Historia religiosa seu ascetica vivendi ratio di Teodoreto), qui rappresentato insieme al suo allievo Atanasio di Alessandria.
Alcuni cronisti medioevali si lasciavano andare a terrificanti descrizioni del cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”. Con questa definizione si annoveravano diverse malattie della pelle e forse anche il carbonchio degli animali. Il riferimento forse di deve al fuoco sacro citato da Virgilio nel 3° libro delle Georgiche (la peste del Norico, c. 3, vv. 565: ardentes papulae atque immundus olentia sudor / membra sequebatur, nec longo deinde moranti / tempore contactos artus sacer ignis edebat). In buona sostanza, è facile pensare al fuoco come elemento di purificazione e di sterilizzazione (si bruciavano o si lavavano gli abiti infetti, si bolliva l’acqua). Anche i panni stesi al sole lasciano pensare a un’asciugatura, a un’operazione igienica. Che siano anche una segnalazione si deduce dall’accorrere dei personaggi verso la torre diruta, ovvero il luogo dove rifornirsi e dove poter guarire dalle ferite e dalle malattie.
Insomma, il tema tanto caro agli intellettuali e agli artisti di quel periodo, il superamento dello scontro tra civiltà (Chiesa e Stato, Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica, Chiesa protestante e Chiesa romana, Islamismo e Cristianesimo, Impero Asburgico di Carlo V e e Francia di Francesco I), concepito anche come una punizione per la decadenza dei costumi del mondo occidentale, potrebbe essere stato riproposto dall’Alibrandi (o chi per lui, dopo Mantegna, Antonello, Bellini, Piero della Francesca, Giorgione ecc) in chiave moderna, con l’accettazione di una Chiesa riformata, che sappia tornare ai valori evangelici.
La figura della Madonna, ancora una volta, è il soggetto intermediario tra l’uomo e Dio, con alla sua destra il Bambin Gesù che sorregge un piattino di piccole pere, simbolo di santità e resurrezione, e il San Giovannino che offre una rosa, simbolo della verginità, additando con l’altra mano l’agnello di Dio (Ecce Agnus Dei), simbolo di pace e fedeltà. I due bambini, dunque, sembrano volersi scambiare dei doni: è l’invito corale alla mensa di Cristo, al sacrificio che libererà l’umanità dal peccato universale. A proposito di pere, Omero, nella sua Odissea, così descrive Il giardino di Alcinoo nell’isola dei Feaci (Odissea, VII, 115-120):
Per lo stesso motivo, è probabile che la struttura in muratura alle spalle della Madonna non sia propriamente un trono, ma una fontana, dalla quale trae nutrimento il rigoglioso albero che costituisce un perfetto sfondo alle rosae albae, simbolo di purezza e di rinascita, collocato tra un fiume e un laghetto (come ben sapete, mi piace osare). Questo sfondo, come già altri studiosi hanno espresso, sembrerebbe assimilabile alla Madonna dell’albero di Cesare da Sesto, ma potrebbe essere benissimo una casualità.
Aggiungerei che il quadro in questione abbia un piccolo debito nei confronti della famosa Pala di Castelfranco di Giorgione (particolare del trono).
Collocazione geografica e influssi luterani
Per quanto riguarda la probabile collocazione geografica del paesaggio dipinto dall’Alibrandi, azzarderei: monte Pispir, nei pressi del Mar Rosso a destra, ma è chiaramente un’ambientazione simbolica. Case e torri, invece, sono fedeli all’architettura urbana di una Norimberga medievale (di cui allego un’illustrazione tratta dalle Cronache di Norimberga del 1493).
Norimberga era conosciuta come la città dei mercanti, la più grande tra le città imperiali di Germania, patria del rinascimento tedesco, divenuta protestante a partire dal 1525.
Ci sarebbe, dunque, in questo quadro, il peso della riforma luterana, ufficializzata a Wittenberg nel 1517: i Lanzichenecchi luterani diventano i persecutori dei cattolici, come San Paolo lo era stato dei Nazareni, difendendo il primato della fede e della grazia divina rispetto alle opere esteriori (teoria della giustificazione per fede che sarà un punto fermo del pensiero di Lutero); Sant’Antonio Abate, grazie alla sua ferrea fede, allontana i demoni (gli stessi Lanzichenecchi?) e cura i mali. Secondo la teoria cristocentrica di Lutero, Maria era considerata una donna da onorare in quanto madre di Cristo. Fra i perché della scelta di un contesto urbano simile a Norimberga o ad altra città nordica, ipotizzerei anche un omaggio a Dürer, già difensore di una nuova ecclesia militans in cui si identificava la comunità civica di Norimberga, oppure… la descrizione suggestiva e simbolica di un fatto di cronaca eclatante (il che potrebbe escludere quanto espresso finora).
A questo punto, tenendo conto di questi riferimenti nordici, sia ambientali sia stilistici, dovremmo avvalorare l’idea di un Alibrandi a contatto con artisti di respiro internazionale, preferibilmente delle aree danubiana e veneta, nei confronti dei quali diventava consapevolmente debitore di apparati iconografici che, nel periodo tardo-rinascimentale, facevano la differenza. Oppure, in un caso limite, dovremmo spostare l’attenzione su un altro autore di questa interessante opera.
Quale potrebbe essere, infine, l’argomento trattato?
- Se il pittore avesse voluto raccontare la difesa del mondo cattolico, non avrebbe certamente rappresentato uno sfondo con case di area germanica; piuttosto, l’avrà fatto perché quello era il suo ambiente, fisico o spirituale.
- Potrebbe essere il lavoro di un pittore che ha abbracciato lo spirito della Riforma protestante.
- Se questo racconto del “sacco” coincidesse con le intenzioni dell’artista di questo quadro, come potrebbe essere l’Alibrandi, la cui scomparsa viene collocata nel 1524?
- Per lo stesso motivo, non potrebbe essere neanche Cesare da Sesto, morto nel 1523.
- Potrebbe allora essere frutto di una committenza romana, per ricordare il tragico evento dalla quale la Chiesa cattolica è risorta? Il tema fu affrontato anche dallo stesso Papa Clemente VII, quando commissionò a Michelangelo il Giudizio universale (realizzato poi fra il 1536 e il 1541) della Cappella Sistina proprio a ricordo della tragedia subita dalla città e dalla Chiesa di Roma. Ricordiamo che nel 1545 si riunirà il Concilio tridentino, punto di partenza della Controriforma.
- Oppure potrebbe scaturire da una committenza straniera, di ambiente asburgico, di quella parte dei luterani contraria all’intervento dei Lanzichenecchi e che si avvalse della diaspora degli artisti conseguente al sacco di Roma del 1527, evento che decretò la fine del Rinascimento italiano e, di rimbalzo, l’espansione europea del manierismo? Basterà ricordare Giovanni Battista di Jacopo, soprannominato Rosso Fiorentino, che giunse in Francia dopo il sacco del 1527, nominato pittore di corte dal re Francesco I, decorò la reggia di Fontainebleau, la cui Galleria diverrà un esempio rilevante del manierismo internazionale. O Polidoro da Caravaggio, che, dopo il terribile sacco vissuto anch’egli in prima persona, si stabilirà prima a Napoli e poi a Messina, lasciando eredità artistiche importanti e durature.
E se l’autore non fosse Girolamo Alibrandi?
Noterete la somiglianza delle sembianze del volto della Vergine e del Bambin Gesù, nonché le pieghe del mantello della Madonna quasi coincidenti, come se fosse un marchio di fabbrica (in precedenza, artisti rinascimentali, come Piero del Pollaiolo, l’adottarono), e anche lo sfondo con case e torri nordiche. Quindi, o entrambi le opere sono dell’Alibrandi o nessuna delle due lo è. Oppure, c’è solo un forte debito nei confronti dell’opera di Cesare da Sesto, ritenuto anche uno dei maestri dell’Alibrandi.
Piero del Pollaiolo creò una serie di virtù per il Tribunale della Mercanzia di Firenze, qui a sinistra è riportata la Prudenza (oggi agli Uffizi). Piero ebbe tra le sue più strette amicizie Raffaello e Giorgio Vasari. Rilevante il suo panneggio, ben congegnato, voluminoso, morbido, diverso dalla versione più essenziale, meno densa e vibrante rispetto al quadro considerato, fino ad oggi attribuito all’Alibrandi.
Qui vi invito al confronto tra quattro opere, per ravvisarne eventuali coincidenze, prima di andare a vederle dal vero.
Riassumendo, il pittore della Madonna delle Rose:
- potrebbe non essere Girolamo Alibrandi, sia per motivi storici (vengono descritti fatti verificatisi dopo la morte del pittore), sia per motivi stilistici;
- proviene quasi sicuramente dalla scuola di Raffaello;
- è un manierista;
- ha probabilmente vissuto la rivolta del contado in area germanica o il Sacco di Roma;
- potrebbe aver dipinto il quadro in un periodo compreso tra il 1524 e il 1530.
Per ora sono solo congetture, ma gli approfondimenti potrebbero essere utili per chi studia l’arte e chi, essendone semplicemente appassionato, ha voglia di sapere e di arricchire la propria collezione d’arte in maniera più consapevole.