Come spesso capita ai geni e ai personaggi importanti, Masaccio nasce in un anno fervido di eventi e rivoluzioni in campo artistico, qualche giorno prima del natale del 1401.
Il famoso concorso fiorentino del 1401, al quale partecipano figure emblematiche e altissime nel campo della scultura, come Ghiberti, Brunelleschi e Della Robbia, segna una vera e propria cesura fra le raffigurazioni ispirate al gotico internazionale e quelle prettamente rinascimentali. La rinascita delle arti, infatti, non è riconferma dei valori classici dell’età greca e romana antica, ma è rivisitazione, adeguamento, approfondimento.
Tutto si allinea ai nuovi tempi, dinamici, complessi, decisivi per l’uscita da quel medioevo che ancora si alimenta nella sudditanza del pensiero. Così, il giovane Masaccio, lavorando al fianco del suo maestro Masolino da Panicale per l’opera Sant’Anna Metterza, pensa di raffigurare una nuova Madonna dal volto umano e gentile. Sant’Anna, ricoperta da un enorme manto porporeggiante, giganteggia su un improbabile trono frastagliato, fatto di stoffa ricamata e retto da angeli, è quasi un’icona di se stessa. In primo piano la Vergine sorridente e umana, avvolta in un manto scuro, con la veste interna che riprende il colore del manto di Sant’Anna, così come quella della santa riprende il colore scuro del manto della Madonna: il gioco dei colori esalta la compenetrazione mistica fra le due donne-madri: la santa diventa madonna e la madonna santa, a sancire un connubio indissolubile, di grande profondità cristiana. In primissimo piano spicca la figura di un Gesù Bambino muscolato, già adulto nelle forme, imponente perché già consapevole del proprio futuro.
Imponente come la Crocefissione, anticamente appartenente al polittico della Chiesa del Carmine di Pisa. Qui tutte le figure che si stagliano sul fondo dorato sono perfettamente distinte e ognuna con la sua prorompente sofferenza. Su tutte spicca la Maddalena, con le braccia teatralmente tese verso l’alto, ma in maniera scomposta, come il corpo insolitamente raggomitolato ai piedi del Cristo compianto. Anche Gesù Cristo è una figura del tutto nuova, finalmente uomo con quelle gambe arcuate, i fianchi larghi, lo stomaco rilassato, la testa incassata fra le spalle. Figura diversa, meno iconica di quella che Masaccio raffigurerà nella Trinità dove, l’architettura, la geometria, l’analisi delle forme sono la chiave di lettura del grande affresco.
In Masaccio, così come in Giotto e Brunelleschi, l’architettura è storia, non solo simbolo, un condensato delle esperienze e della creatività umane. Nel Tributo della moneta anche lo spazio diventa storia e i tre momenti diversi che vedono impegnato San Pietro si riassumono in un’unica rappresentazione scenica dove la cronologia non viene rispettata. Va di scena il miracolo ma il miracolo non è visibile. Al centro della scena c’è Gesù circondato da una folla che impartisce un ordine, poco lontano c’è Pietro che ripete il suo stesso gesto con il braccio, cosicché la nostra attenzione si sposta sulla sinistra dove lo stesso Pietro, stavolta piccolissimo, raccoglie la moneta nella bocca del pesce. Di colpo il nostro sguardo si muove verso destra, dove Pietro consegna la moneta al gabelliere. Rappresentare tutto questo in un’unica scena significa creare azione, dare immediatezza alle immagini.
È l’immediatezza della fede, l’unico vero miracolo del Tributo: nessuna delle due scene che fanno da cornice a quella centrale sarebbe mai stata possibile senza la fede di Pietro. A garantire l’unità tra le scene è lo sfondo, vero anche se simbolicamente cronologico. A sinistra, montagne basse ed alberi rinsecchiti stanno ad indicare l’aridità della vita umana senza fede, al centro, montagne alte ed alberi dal verde fogliame, a destra, un edificio, prodotto della mente umana, capace di cose grandiose ma effimere e perciò teatro della riscossione del tributo.