LEONARDO DA VINCI: vita e opere
Leonardo nasce a Vinci, in provincia di Firenze nel 1452 dal padre Piero, notaio venticinquenne, e la sua serva Caterina. I due genitori non sono sposati e, per non destare scandalo, si sposano in quell’anno con partner appartenenti alla loro stessa classe sociale. Tuttavia, il padre di Piero ha una particolare predilezione per quel nipote illegittimo tanto sveglio e intelligente, proprio mentre il matrimonio del figlio non dava vita ad alcuna prole. Solo nei successivi matrimoni (in tutto quattro), Piero riuscirà ad avere ben 12 figli da due diverse mogli. I fratellastri di Leonardo arrivano ad avere anche 46 anni meno di lui.
A bottega dal Verrocchio
È il padre Piero a promuovere la carriera artistica del piccolo Leonardo, prendendosene cura personalmente e accompagnandolo presso la bottega più famosa e più ricca di commissioni allora a Firenze: quella di Andrea del Verrocchio.
Il Verrocchio è stato il maestro dei più famosi artisti fiorentini come Botticelli e Ghirlandaio, presso la sua bottega si praticava il disegno come l’insegnamento e la pratica dell’architettura, della pittura e della scultura. Una delle prime opere del maestro in cui è presente la mano di Leonardo è citata dallo storico Giorgio Vasari come Il Battesimo di Cristo agli Uffizi: gli angeli di sinistra mostrano una soavità di colori e forme nonché una prospettiva non attribuibili al seppur valido Verrocchio.
Opere religiose
Le prime opere autonome di Leonardo sono alcune madonne del 1469, in cui il suo tratto è riconoscibile ma ancora confuso con lo stile del suo maestro. L’Annunciazione in particolare si presenta come una rivoluzione in campo artistico: la Madonna appare come una ragazza disinvolta, con i capelli lunghi e sciolti, non avvolti da alcun mantello. Davanti a sé ha un leggio dalla posizione un po’ improbabile ma che basta a denotare il suo amore per la lettura, riscoprendo l’immagine di una donna colta e parte attiva della società. Oltre il leggio, l’arcangelo Gabriele dalle ali multicolori, come estremamente colorato è il paesaggio sullo sfondo, ricco di vegetazione dai vari significati simbolici. Da notare lo sfondo azzurrino, un particolare tecnico che permetteva al nostro artista di dare profondità e realismo all’intera opera.
Leonardo riceve delle commissioni importanti ma quasi tutte vengono iniziate e mai finite, quella più famosa resta l’Adorazione dei Magi, di cui resta il solo disegno, una innovativa epifania in cui è l’evento della nascita del Messia a sconvolgere il pubblico degli astanti osannanti.
Leonardo ingegnere militare
Dopo quest’opera, Leonardo parte per Milano, stanco del clima neoplatonico fiorentino, troppo votato al pensiero e alle digressioni verbali più che alla sperimentazione e all’osservazione della natura, che gradiva maggiormente. Già nel 1485 si attesta la sua presenza a Milano presso la corte del duca Ludovico il Moro. Inizialmente, Leonardo deve la sua trasferta alla diplomazia di casa Medici, desiderosi di trovare sempre nuovi partner in affari e l’artista fiorentino non solo parte da volontario ma si offre anche come inventore di strumenti musicali. Si confronta con altri musicisti nell’esecuzione di alcuni brani musicali con una lira da lui stesso fabbricata e con una resa melodica particolarmente accattivante. Entrato nelle grazie del duca di Milano, Leonardo mostra tutte le sue doti di ingegnere militare, proponendo progetti di mura fortificate, ponti militari, armi di lunga gittata che una città belligerante come Milano avrebbe prontamente adottato. Contestualmente, non mancano le commissioni per opere decorative e celebrative come il dipinto della Dama con l’ermellino, ovvero il ritratto di Cecilia Gallerani, e le decorazioni del castello sforzesco in occasione delle nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza con Isabella d’Aragona.
Un altro progetto per gli Sforza è un grandioso cavallo (di 7 metri d’altezza) dedicato alle imprese del capostipite Francesco, che Leonardo non poté portare a termine non solo per le dimensioni colossali del soggetto ma anche per il prepotente arrivo di Carlo VIII di Francia sul territorio italico (i militari scaricarono contro il modello in argilla del cavallo leonardesco le loro balestre).
Per il convento di Santa Maria delle Grazie Leonardo realizza uno dei suoi capolavori: L’ultima cena. E’ il 1494. L’opera presenta delle caratteristiche tecniche e compositive decisamente alternative rispetto alla tradizione: tutta la scena si svolge dietro un lunghissimo tavolo coperto da una vistosa tovaglia bianca, i discepoli di Gesù sono disposti a gruppi di tre e Giuda è mescolato fra i tanti, colto di sorpresa all’esclamazione della fatidica frase: “- il traditore è tra di voi”.
Stupore, meraviglia, sconcerto emergono dai volti degli astanti, e la frase pronunciata da Gesù è come un’onda che scorre da sinistra a destra e da destra a sinistra, un mare in tempesta che fa da contrappunto alla serena imperturbabilità di Gesù. Un nugolo di mani è in cerca del colpevole e tra i corpi del gruppo di sinistra emerge una mano che tiene stretto un pugnale. Lo sfondo, così come i colori, consegnano luminosità all’insieme e le finestre sostituiscono le ormai abusate aureole. L’uso di tuorlo d’uovo nell’impasto, accelerò il processo di sfaldamento dei colori distribuiti a tempera, unitamente alla forte umidità del luogo.
Agli inizi del ‘500, Leonardo è chiamato, per esigenze difensive, dal temibile Cesare Borgia, il figlio del papa Alessandro VI, conosciuto a Milano qualche anno prima. Borgia meditava già da tempo l’occupazione di Urbino e Leonardo assiste ai complotti e alla presa della città. In quell’occasione, fa conoscenza di Niccolò Machiavelli, l’autore de Il Principe.
Il ritorno a Firenze
Intanto, Firenze è diventata una repubblica e Leonardo non trova più tutte le vecchie conoscenze dopo venti anni di assenza, tuttavia gli viene affidato l’incarico di dipingere La battaglia di Anghiari su una grande parete del Palazzo dei Cinquecento, un lavoro che, per l’applicazione della tecnica ad encausto, si dissolve nel nulla. L’idea era quella di cospargere di cera d’api il dipinto, per poi fissarlo “a caldo” sulla parete, grazie a grossi bracieri accesi sollevati da lunghe funi. I colori sarebbero stati assorbiti dalla cera che avrebbe consegnato all’opera una straordinaria lucentezza e un effetto tridimensionale. Purtroppo, l’eccessivo calore dei carboni ardenti fece sciogliere interamente la cera, portandosi via l’intero dipinto.
A quegli anni appartiene la stesura della Gioconda, identificata con Lisa Gherardini, moglie di Francesco Tolomeo del Giocondo, da cui il nome “Gioconda”. L’iconografia del quadro è interessante per le evidenti collocazioni geografiche che costituiscono lo sfondo paesaggistico (l’unione ideale delle città di Firenze e Urbino), a parte la caratteristica morbidezza dei volumi ottenuta grazie alla tecnica dello sfumato. Monna Lisa, in classica posa da ritratto, con un braccio appoggiato su un bracciolo e la mano destra sulla sinistra, si presenta con vesti ricercate, da nobildama, di seta ricamata, i lunghi capelli, opportunamente acconciati le incorniciano il viso tondeggiante, sul quale spiccano un sorriso ammiccante e lo sguardo rilassato di chi sa leggere negli occhi del suo interlocutore. L’enigma di questo capolavoro probabilmente sta nella totale mancanza di rughe di espressione della donna, che la configurano come un ideale di eterna giovinezza e di bellezza sempre viva.
Nel confronto con l’omonimo quadro di Madrid, meglio conservato e con una resa coloristica migliore, notiamo la rappresentazione di una Monna Lisa più giovane, con un magnifico incarnato rosa, mentre identici ci appaiono la posa, l’abbigliamento, lo sfondo con le classiche tonalità leonardesche di azzurro (con qualche piccola variante). È molto probabile che i due quadri siano stati dipinti in contemporanea, di fronte allo stesso soggetto e nello stesso ambiente, da due mani diverse, ma sapienti. In particolare, la Gioconda del Prado, nonostante l’eccellenza tecnica, è priva delle caratteristiche dello sfumato di Leonardo e la figura, nel complesso, ci appare meno morbida e più bidimensionale.
Di nuovo a Milano e poi in Francia
Dopo Firenze, Leonardo si lascia vincere dalle lusinghe della famiglia Sforza e torna a Milano, ma è solo un trampolino di lancio verso la Francia. Qui, infatti, il re Francesco I, sovrano colto, amante dell’arte e dalle larghe vedute, lo corteggia da molto tempo. Leonardo lo raggiunge nel 1517 e viene subito insignito del titolo di primo pittore, architetto e ingegnere del re. Adesso è ben pagato e proprietario di un castello ad Amboise. Colpito da alcuni acciacchi e avanti con gli anni, Leonardo muore proprio ad Amboise, lasciando le sue ultime opere e i suoi manoscritti ai suoi fedeli aiutanti (Francesco Melzi in particolare) e le proprietà di Firenze ai fratellastri.
Eredità di Leonardo
Nel 1494, l’esercito francese di Carlo VIII occupa l’Italia, generando ben otto conflitti che coinvolgono le grandi potenze europee e che cambiano per sempre la geografia politica dell’Italia (la fine avverrà solo nel 1559, con la Pace di Cateau-Cambrésis).
Nel 1527 i Lanzichenecchi, al servizio del re di Spagna Carlo V, entrano a Roma allo scopo di punire papa Clemente VII che si era opposto alle aspirazioni egemoniche dell’imperatore. Il saccheggio e la peste da loro portata gettano la città nello sconforto. Gli artisti della corte pontificia scappano verso altre mete (fra le quali anche Messina).
Proprio in quel periodo, in Germania, Lutero predicava la sua dottrina protestante, ponendo le basi per grandi cambiamenti sociali e religiosi.
I concetti positivi di innovazione, di libertà, di armonia tra uomo e natura già propri del ‘400, portati avanti con vero sacrificio da parte del poliedrico Leonardo, trovano conferma e pieno splendore nel corso del XVI secolo. Le teorie dello spazio e della prospettiva acquistano nuovi e più pieni significati: dalla conquista dello spazio ideale di Donatello, dello spazio-tempo di Raffaello e di Giorgione, della dimensione mistico-cristiana dell’uomo con Michelangelo, dell’osservazione delle cose naturali di Leonardo, si arriva all’autonomia delle scienze, con fatica rivendicata nel corso dei secoli XVI-XVII da Niccolò Copernico con Le rivoluzioni degli astri celesti (rivoluzione copernicana) del 1543, Galileo Galilei con il Sidereus Nuncius (1610), Isaac Newton con I principi matematici della filosofia naturale (1687), in un crescendo di scoperte che mettono in discussione le tradizionali tesi contenute nelle Sacre Scritture.