L’anima, secondo Antonello: la Pala di San Cassiano

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Antonello non è solo l’artista che ha cambiato la storia dell’arte italiana e, per un certo aspetto, anche europea: è l’uomo che ha saputo dare una giusta collocazione ai valori cristiani, alla scienza, alla Chiesa, all’arte in un periodo come il Quattrocento, caratterizzato sì dal risveglio di alcuni animi ma anche da fortissime tensioni.


La Pala di San Cassiano

Ad attestarci la rinnovata presenza di Antonello presso la città lagunare sono due documenti tratti dall’Archivio di Stato di Milano e risalenti a marzo 1476. Si tratta di una lettera inviata da Galeazzo Maria Sforza al cavaliere e ambasciatore Leonardo Botta di Venezia, perché convinca Antonello a sostituire il pittore Zanetto Bugatto, da poco deceduto. Il vero mediatore fra il duca e il pittore però non è il Botta bensì Aloysio Cagnola, mercante milanese che conosceva molto bene Antonello. Una settimana dopo, al duca di Milano risponde con un’altra lettera l’architetto Pietro Bon, proprio il committente della Pala di San Cassiano. Dice che Antonello è impegnato nella realizzazione della pala sin da agosto, che sta facendo un ottimo lavoro e che gli serviranno altri venti giorni per finirla.

Il giovane Galeazzo è molto attento alla qualità della pittura e vorrebbe che il suo pittore Bugatto migliorasse la sua tecnica: qualche anno prima, aveva invitato Zanetto a Mantova affinché vedesse gli affreschi del Mantegna. Inoltre, in un’altra occasione, aveva fatto bruciare i disegni dello stesso Mantegna, che lo ritraevano, perché non li riteneva somiglianti.

Nel frattempo, Milano è colpita da una virulenta epidemia e i tempi stretti di Antonello non gli permetteranno di raggiungerla.

Antonello, Madonna con Bambino in trono tra san Nicola di Bari, la Sapienza, sant’Orsola e san Domenico o Pala di San Cassiano, 1475-76, scomparto centrale cm 115 x 65//scomparto laterale sinistro cm 55.9 x 35//scomparto laterale destro cm 56.8 x 35.6, olio su tavola, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

La Pala di San Cassiano è il risultato di una lunga fase di sperimentazioni: prospettiche, coloristiche, stilistiche, volumetriche. Le ampie superfici dovevano ben concordarsi con l’ambiente di destinazione: l’altare laterale della chiesa di San Cassiano, a Venezia. A ricordarlo è l’umanista Matteo Colacio nella sua Laus perspectivae, già circolante a Venezia dopo il 1486, in cui l’autore parla delle tarsie dell’area veneta e dell’opera di Antonello che sovrastava la tomba del committente, l’architetto Pietro Bon. L’opera viene rimossa nei primi anni del Seicento e, probabilmente, sin da allora, smembrata e travasata dalla collezione di Bartolomeo Della Nave (1605) a quella di Lord Hamilton (1640), divisa in cinque elementi: Madonna con Bambino, Santi Nicola e Lucia, Santi Domenico e Orsola, San Giorgio e Santa Cecilia, San Sebastiano. Da allora, con l’attribuzione a Giovanni Bellini, i pezzi passano all’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo, a Bruxelles, da dove verranno trasferiti a Vienna, l’ultima collocazione. Solo nei primi anni del XX secolo, i pezzi verranno riuniti per l’esposizione. Proprio in quel tempo, il primo a riattribuirlo ad Antonello è Borenius (1913), riportando anche Berenson sulla buona strada (1917). La ricostruzione verrà effettuata da Johannes Wilde nel 1929, affidandosi alle incisioni di David Teniers.

Triste storia questa dello smembramento dei polittici di Antonello, eventi che non ci permettono oggi di poterne godere la pienezza della composizione. Nel caso della Pala di San Cassiano, notiamo, nella parte rimanente, l’impostazione del trono già riscontrata per il Polittico Firenze-Milano e il Polittico di San Gregorio di Messina, con il fondo in stoffa verde. La Madonna è in posizione frontale, come in quegli anni Antonello aveva raffigurato il Cristo benedicente, per conferire maggiore solennità e contatto con i fedeli. La testa è leggermente reclinata, in perfetta sintonia con quella del Bambin Gesù che, ruotando dalla parte opposta, apre il campo visivo (lo stesso effetto della mano benedicente del Salvator mundi di Londra).

Il bimbo è una figura che abbiamo già visto nella Madonna Benson, con il volto sferico, i riccioli dorati, gli occhi chiarissimi, l’incarnato roseo del tutto simili a quelli della madre. L’elemento del corallo è sostituito dalla fascia rossa intorno alla vita, mentre la veste smanicata sottolinea il messaggio pauperistico. Sul suo ginocchio sinistro, insolitamente, tiene appoggiato un piccolo libro aperto, mentre con la mano destra impartisce una benedizione. Ben studiato anche l’appoggio del piede sinistro, che si adatta perfettamente alla gonna rigida della madre. All’altezza del libro, dalla parte opposta, si libra nell’aria la mano destra della Madonna, che regge un pugno di ciliegie, simbolo della passione (come la Madonna del Polittico di San Gregorio). Il broccato del vestito è del tutto simile, nel disegno, a quello della Madonna Benson, dell’Annunciazione di Siracusa, della Madonna Salting e della Vergine Leggente di Baltimora.

Sempre perfetta la definizione delle mani, come posizione, prospettiva, dimensioni, sfericità, luce, brillantezza delle unghie.

A corollario della figura della Vergine con Bambino, Antonello introduce figure di santi: a sinistra, San Nicola di Bari (individuabile per le tre sfere appoggiate su un libro), il bellissimo manto decorato, con fibbia centrale tempestata di perle e un ovale di ambra (o rubino?), sguardo stanco ma profondo, muso interrogativo immerso nella barba bianca, fronte corrucciata da pensatore.

Alle sue spalle, una figura piuttosto controversa: chi ci ha visto Santa Lucia che regge l’olio della lampada (Berenson 1932; Lucco 2006), chi Maria Maddalena con il vaso degli unguenti (Puppi 1983; Sricchia Santoro 1986).

Procediamo con ordine: abbiamo già visto con Jacomart e il Maestro del Libro di casa con quale nuovo vigore gli artisti del Quattrocento seguono i nuovi fermenti religiosi e si affidano a una lettura più intimistica del Vangelo, come quella di Giovanni. Proprio Giovanni, parlando di Gesù sulla croce, racconta che «uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). La ragazza immortalata nella tavola di Antonello porta in offerta un bicchiere d’acqua, mentre la Madonna espone il corpo di Cristo. L’acqua rappresenterebbe l’unione dei fedeli con Cristo, è lo Spirito Santo.

C’è un altro passo che ci viene in aiuto per la decodificazione dell’identità della figura femminile dietro San Nicola e viene dalla Bibbia: «La terra era inanimata e vuota e le tenebre erano sulla faccia dell’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Genesi 1.1-2). Lo «Spirito di Dio» in ebraico è un nome di genere femminile: ruah (= vento, soffio). Il soffio che sembra uscire dalla bocca semiaperta della figura ritratta da Antonello, quale simbolo dell’amore di Dio nel mondo, generativo e fecondo, come la donna. La tradizione cristiana, affondando parte delle sue radici nella cultura greca, ha identificato il respiro (pneuma) con l’anima, mentre gli Ebrei hanno esteso il respiro divino (ruah) alla sapienza dei loro profeti. Per gli gnostici cristiani, lo Spirito Santo della Trinità coincide con Sophia, la componente femminile di Dio, sorella e compagna di Cristo (nel Vangelo apocrifo di Filippo, Sophia viene identificata come la Maria Maddalena, compagna di Gesù).

Nel caso della Pala di San Cassiano (e nella quasi totalità delle opere di Antonello), non solo nei libri è raccolta, nel tempo e nello spazio, la sapienza umana ma anche nella contemplazione e nella fede: la sapienza non è solo la conoscenza delle cose di Dio ma è anche e soprattutto il processo che porta alla conoscenza di Dio stesso. Lo Spirito Santo raffigurato in quel bicchiere e in quel respiro, quale soffio vitale e origine dell’anima, altro non è che la Sapienza Divina. Quella che l’uomo può riuscire a lambire bevendo dal calice della conoscenza.


Ho presupposto che il nostro artista sia nato nel 1435 per via di una serie di informazioni contenute nelle sue opere (oggetti, stile) e nelle fonti (dirette e indirette) che abbiamo esaminato in questo percorso di ricerca. La notizia portata dal Vasari circa la morte a 49 anni non può più sorprenderci, vista l’approssimazione di scrittura (e di lettura) delle date nel corso del medioevo: è possibile che qualcuno abbia scritto da qualche parte gli anni di Antonello e che lo storico fiorentino abbia letto 49 invece di 44. È plausibile, inoltre, che Antonello abbia cominciato l’apprendistato a Napoli presso Colantonio verso la fine degli anni ’40, visto che sia l’apertura della sua prima bottega a Messina, sia la sua produzione hanno inizio a partire dal 1456-57.

Come gli spregiudicati e strategici arcivescovi di Messina Guidotto, Crispo, Crisafi, Gattola avevano trovato il compromesso per riposizionare la Chiesa nelle stanze del potere della città post-medievale nascente, Antonello è capace, con la sua integrità e correttezza morale, di intercettare e di dialogare con quei personaggi positivi che saranno la fortuna e il futuro di Messina: gli Spatafora, i Saccano, gli Alifia, gli Staiti, i Sollima, il Mallone, il Lascaris. Avrebbe dialogato anche con il Maurolico, se solo il destino glielo avesse permesso.

Comunque sia, Antonello ci ha lasciato un’impronta significativa di se stesso, del suo pensiero e della sua vita. Anche la sua sepoltura presso il convento dei frati minori è un’uscita di scena degna del suo personaggio e del suo buon nome. È la scelta degli spirituali, come quella di santa Eustochia e del miles Federico Spatafora.

Gli uomini e le donne che hanno preso coscienza del loro valore, della loro dimensione storica e geografica, della loro identità, del loro essere sociale, della loro spiritualità: questi sono i protagonisti del Rinascimento. Che si chiamino Brunelleschi, Donatello, Masaccio, Beato Angelico, Botticelli, Antonello, Piero della Francesca, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Vittoria Colonna… poco importa. Quello che riusciamo a scoprire tramite questi grandi del passato è che le loro coscienze sono le nostre coscienze di oggi e di quelle di tutti i visitatori che osservano le loro opere e in esse si compenetrano, si scompongono e si ricompongono, si riflettono e si confondono. È la magia di un mondo che non è solo frutto delle esperienze, come avrebbe voluto Leonardo, ma di tutti i saperi, di tutto ciò che è possibile apprendere tramite la nostra mente e i nostri sensi. C’è, dunque, molta spiritualità nel termine Rinascimento, una componente esplosiva di incorporeità, di leggerezza cosmica, che porta con sé, in linea diacronica e sincronica, innegabili valori e vibranti verità sempre in evoluzione.

Dall’Annunciazione di Siracusa al San Girolamo nello studio di Londra, Antonello passa dalla pittura apologetica alla pittura storica, che diventa evento e rende eterni volti, personaggi, cose.

La ricchezza dei contrasti, il volume dei capelli e le lumeggiature delle barbe dei suoi Ecce homo parlano di studi sugli spazi e sulle tonalità di luce.

Lo studio anatomico delle Crocifissioni mi sembra un argomento di singolare portata che precede le ardite prospettive tizianesche, così come i paesaggi anticipano il vedutismo.

La veste dell’Annunciata, che avvolge nel suo geometrico e rigido involucro una donna tenera, fragile e sensuale, è, più che il cielo della cristianità, il mare siciliano alle prime luci del mattino.

Le fastose vesti arabescate della Pala di San Cassiano sottolineano l’oggettività della parata, dell’epifania religiosa, dell’offerta.

Nella ripetizione dei gesti della quotidianità si manifesta il dramma del martirio del San Sebastiano di Dresda, retaggio storico di un passato romano glorioso, ora in decadenza, su un paesaggio forse inventato, fatto di case rinascimentali con richiami orientaleggianti.

Questa è la visione dell’autunno del medioevo che Antonello da Messina ci consegna attraverso il suo originale racconto pittorico: un mondo nuovo che unisce gli uomini di ogni spazio e di ogni tempo, messo a fuoco dalla luce divina che impreziosisce le dense pennellate dei suoi colori a olio. Frammenti di verità svelati all’umanità da un uomo tanto semplice quanto geniale. La visione positivistica di uno sguardo affascinato dalla bellezza del creato e di una mente appassionata della filosofia, delle scienze, dei saperi accumulati nel tempo.

L’anima, secondo Antonello, è il punto di unione tra materia e spirito, come nella Genesi, nelle Summae di San Tommaso d’Aquino e nella Pala di San Cassiano: tota in toto corpore. E come l’anima viene instillata da Dio alla nascita, tende a ritornare a Dio durante la vita, passando dal sapere all’essere, dalla conoscenza alla fede, da San Tommaso a San Francesco. Antonello parla alla mente, al cuore e allo stomaco dei suoi contemporanei, come farebbe un predicatore, prendendo a modello Cristo e considerando la vita virtuosa la via più breve verso Dio: «Qui voluerit animam suam salvam facere, perdet eam; qui autem perdiderit animam suam propter me, inveniet eam» (Mt. 16, 25)386.

Gesù è l’uomo che si sacrifica per tutti, l’esempio più puro di bontà e di generosità, il dominio dell’anima sul corpo, l’abbraccio incondizionato di un fratello, di un padre, di un maestro. Cristo, elevato nel cielo azzurro di Antonello, ci rivela il segreto della massima conoscenza raggiungibile per fede: Dio. Attorno al 1460, Antonello si confronta con il tema de La disputa di San Tommaso per la chiesa di San Domenico a Messina, poi distrutto da un incendio nel 1849 e di cui abbiamo una probabile derivazione presso Palazzo Bellomo a Siracusa e un piccolo schizzo a inchiostro custodito presso il British Museum di Londra. Ma è lo spirito santo, l’antico πνεῦμα dei Greci e il νοῦϚ di Aristotele, la vera scoperta iconografica di Antonello, che permette di superare il dualismo medievale anima/corpo. Il pittore messinese identifica nella natura (acqua: il calice della Sapienza divina, i fiumi, i torrenti, il mare; aria/soffio: il volo degli uccelli, la bocca semiaperta, le pagine sollevate dei libri; terra: alberi, pietre, esseri viventi) lo spirito divino che permea l’intero creato e guida il corpo verso le buone azioni (ancora il calice) e l’anima verso l’immortalità e l’ascesa al cielo, secondo una concezione antropologica cristiana apparentemente semplice ma in verità molto complessa, perché spiega la discendenza dell’anima dallo spirito santo, senza passare dalla materia.

È il miracolo del Rinascimento.


Antonello da Messina e il suo tempo, di Dario De Pasquale

Tratto da: Dario De Pasquale, Antonello da Messina e il suo tempo, ABC SIKELIA Edizioni, 2022.

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