ARTE ROMANA DELLA PRIMA ETÀ IMPERIALE
È dagli Etruschi che i Romani apprendono le prime tecniche costruttive basate sull’utilizzo di archi, volte e cupole. Grazie a questi strumenti potranno permettersi delle strutture architettoniche grandiose e robuste, capaci di sopportare enormi carichi. I Romani saranno i primi, infatti, a costruire abitazioni su più piani. L’ambiente urbano romano era perciò notevolmente differente da quello greco: il primo utilizzava un materiale povero come il mattone, facilmente malleabile e adatto a creare strutture curvilinee; il secondo era estremamente lineare, squadrato, difficilmente modellabile perchè utilizzava una materia nobile ma durissima, il marmo. Con l’arco, i Romani costruirono utili acquedotti, solidi ponti di attraversamento fluviale e le abitazioni, dalle più umili alle più monumentali.
In età repubblicana, nessuna forma d’arte si manifesta a Roma se non attraverso opere d’importazione, derivate dalla spoliazione delle città dei popoli vinti in battaglie per la conquista del territorio. È in età imperiale che si avverte l’esigenza di lasciare ai posteri l’immagine della grandezza militare e culturale dell’imperatore.
Prendiamo ad esempio l’imponente statua raffigurante l’imperatore Augusto detta di Prima Porta: il complesso è elegante ed incisivo, con quell’incedere naturale del divino condottiero, la gamba sinistra leggermente arretrata e il braccio destro in avanti con l’indice puntato in alto quasi da ammonizione contro chiunque oserà usurpare il suo potere o anche in tono di declamazione, perchè Augusto non è un imperatore qualunque, è un guerriero abile maneggiatore di lancia, un combattente con un’armatura finemente decorata, memore delle sue battaglie passate, un uomo colto, di legge, come dimostra la toga da magistrato che indossa. Dunque egli è tutto, l’onnipotente, il messaggero degli dèi che tutti i romani aspettavano, come rivela il piccolo putto-Mercurio ai suoi piedi.
L’idea di magnificenza del popolo romano non si rivelava solo nella statuaria, ma anche e soprattutto in architettura, laddove i romani potevano contare sulla notevole abilità dei loro tecnici.
Con l’età imperiale, i Romani trovano la loro identità non solo sovranazionale ma anche artistica, passando dalla riproduzione di opere greche a opere del tutto originali e caratterizzanti il loro impero e la loro epoca.
Il confronto con l’arte greca
Contrariamente all’arte greca, l’arte romana si discosta dal valore puramente estetico e ne abbraccia uno più funzionale, pratico, volto a caratterizzare un pensiero politico o sociale. Anche l’artigianato era rivolto alla celebrazione del potere economico e sociale raggiunto dal committente. Le sculture degli imperatori, dei senatori, degli ufficiali romani esaltavano le gesta e la personalità dei personaggi stessi, inquadrandoli non solo visivamente ma anche nella loro caratterialità, con una approfondita introspezione psicologica. Purtuttavia, l’arte romana possiede anche caratteristiche proporzionali ispirate al canone di bellezza greco, pertanto anche il lato estetico ne risulta particolarmente curato.
La decadenza dell’arte ellenistica aveva portato a uno svuotamento dei valori astratti e mitologici dell’arte greca classica, portando le opere a divenire veicolo delle espressioni di vita quotidiana, belle o brutte che fossero. Di contro, questa rinnovata libertà di espressione, porta i modelli greci ad acquistare un significato nuovo e concreto, ponendo le basi per la nascita dell’arte cristiana che di quei modelli si avvarrà per sempre (le figure alate diventate poi angeli, il filosofo calvo o barbuto diventato poi apostolo, il pastore diventato poi Gesù ragazzo ecc).
Dopo la conquista del potere da parte di Augusto, Roma si rinnova nell’impianto urbanistico e architettonico. I modelli sono quelli di partenza: gli archi, le terme, gli anfiteatri, i circhi. Ma il teatro di Marcello (11 a.C.), l’anfiteatro di Pola, l’Arena di Verona, il Pantheon e il Colosseo (inaugurato da Tito nell’80 e poi completato da Domiziano) rappresentano quanto di più grandioso ed esteticamente bello l’arte romana dell’età imperiale poteva realizzare. Questi edifici, infatti, sono il simbolo della potenza imperiale e della grandezza di Roma al di sopra di tutte le grandi città allora esistenti.
IL COLOSSEO
I Flavi, ovvero gli imperatori della dinastia flavia danno vita a importanti opere pubbliche, fra le quali rilevante è l’Anfiteatro Flavio, chiamato volgarmente “Colosseo” per via di una statua colossale di Nerone che si trovava accanto.
Con questo tipologia di architettura si ha il superamento degli schemi della scuola neoattica: le figure sono aggettate in spazi giustapposti, gli elementi architettonici di tutti gli ordini sono equilibrati e ben disposti.
Il tutto è distribuito in una struttura di circa 188 metri di lunghezza e 50 metri di altezza, il che fa del Colosseo il più grande anfiteatro del mondo, capace di contenere un numero di spettatori stimato tra 50.000 e 75.000 unità. Il progetto viene portato avanti da Vespasiano nel 72 d.C., mentre l’imperatore Tito lo inaugura nell’80. Il risultato finale vede un complesso architettonico su pianta ellittica, con grandi pareti curve, archi e volte in sequenza con un ritmo serratissimo. Il primo ordine (in basso) vede una serie di archi alternati a colonne di tipo tuscanico, il secondo archi alternati a colonne di tipo ionico, il terzo archi alternati a colonne di tipo corinzio. Dal basso verso l’alto, dunque, abbiamo un crescendo di stili, dal più antico al più moderno. Gli spalti erano divisi da passaggi scalinati che immettevano nei cosiddetti “vomitoria”, gallerie multiple utili per lo sfollamento di migliaia di persone. All’interno si trovavano anche fontane per dissetare il pubblico, banchi per distribuire cibarie e bagni.
Gli spettacoli che si celebravano andavano dai combattimenti tra gladiatori alle naumachie (battaglie navali, per le quali il fondo dell’anfiteatro veniva riempito d’acqua grazie a un sistema di condutture molto elaborato). Dal momento in cui il pubblico trascorreva molte ore al giorno dentro questo edificio, era prevista anche una copertura con grandi tende tenute in orizzontale da lunghi bastoni convergenti verso il centro del Colosseo.
Dismesso già dopo il IV secolo dopo Cristo, è diventato nei secoli (fino all’Ottocento) una cava di materiale costruttivo utile per l’edificazione di chiese e palazzi romani.
IL PANTHEON
Sempre in epoca imperiale, fra il 118 e il 128 d.C. viene creata una struttura davvero imponente per dimensioni e preziosità delle decorazioni: il Pantheon. Quello originale, in legno, fatto costruire da Agrippa un centinaio di anni prima, fu distrutto da un incendio. Al suo posto Adriano ne fece costruire uno in muratura. È un tempio dedicato a tutti gli dei (dal greco pan, tutto, e theòs, divinità), preceduto da un grande pronao composto da 24 colonne disposte in tre file di otto colonne corinzie monolitiche lisce in granito egizio (grigio per le frontali e rosse per le retrostanti), che assicurano una gradualità estetico-spaziale nella fase di accesso all’edificio. L’interno è uno spettacolo inimmaginabile per chiunque sia alla prima visita: la parte più bassa ed estrema dell’edificio, a pianta circolare, è immersa nella semioscurità. Non è provvisto di finestre, ma l’unica apertura è assicurata da un oculo posto al centro della cupola, del diametro di 9 metri, denominato impluvium, ovvero “dove non piove mai”, che illumina come un enorme riflettore la parte centrale del tempio. E’ il pavimento, prevalentemente ricoperto di marmo bianco, che riflette la luce sulle pareti, dando al visitatore che osserva un senso di limitatezza.
La cupola è particolarissima poiché formata da un blocco di calcestruzzo (alleggerito dalla pomice al vertice) del diametro di 44 metri circa per 44 metri di altezza. Al contempo si ha la percezione di appartenere a un progetto superiore, sicuramente divino, grazie a quel digradare dei cassettoni quadrangolari inscritti nei cinque anelli concentrici della cupola. Il carattere simbolico di questa soluzione architettonica è sottolineato dal numero dei lacunari presenti per ogni anello: 28. Secondo i matematici, infatti, il 28 è un numero perfetto perchè è dato dalla somma di tutti i suoi divisori. Così come la sfera che rappresenta la volta celeste.
All’esterno la cupola è opportunamente scanalata per offrire un peso minore alla struttura sottostante. Quando si entra, si ha come l’impressione di trovarsi dentro una sfera. La pianta è circolare e l’interno presenta una sola sala. Il corpo cilindrico (detto tamburo) ha uno spessore di circa 6 metri ed è profondamente scavato all’interno da nicchie alternativamente quadrangolari o semicircolari intervallate da edicole. Al di sopra di esse corre una trabeazione anulare che sporge in corrispondenza delle colonne che affiancano l’abside.
L’edificio è stato consacrato alla Vergine nel 609, per questo il motivo si è conservato integro fino a noi. Mancano le tegole di bronzo dorato e le decorazioni a rosette dei cassettoni, fatte asportare dal papa Barberini per farne delle campane di bronzo, ma il pavimento in marmi policromi è ancora quello originale.
Il tempio ha anche un significato simbolico legato ai numeri e alle forme geometriche: la sfera quale elemento geometrico perfetto, simbolo della volta celeste; l’oculo è lo strumento di raccordo tra interno ed esterno, fonte di luce e via di fuga di vapori, incensi e preghiere; i giri degli anelli dei cassettoni sono divisibili per 7, il numero preferito dai Romani, considerato perfetto e fortunatissimo.