Gli affreschi della Basilica di San Francesco in Assisi: quale Francesco rappresentano?

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Francesco Bernardone muore nel 1226 e due anni dopo viene proclamato santo. Le sue spoglie vengono traslate nella Basilica Inferiore di Assisi nel 1230.

Per più di cinquanta anni le pareti di quella Basilica restarono praticamente bianche, anche a chiesa già ultimata. Come rendere infatti omaggio al santo? Quale idea potevano sviluppare i frati francescani in merito al loro padre fondatore? La riflessione, a quanto pare, fu lunghissima. 

Giotto, La rinuncia agli averi, Basilica superiore di Assisi.

Facciamo noi una riflessione: i seguaci di Francesco era uomini umili, non frati o sacerdoti, semplici laici in cerca di una vita migliore. Camminavano a piedi nudi e frequentavano gente bisognosa. Non chiedevano elemosine e praticavano la vita evangelica, secondo gli insegnamenti di Gesù, vivevano fuori dai grandi centri di potere, dalle città e dalle piazze di affari. 

Francesco, come diceva egli stesso, aveva sposato la povertà. Termine ricordato anche da Dante nel canto XI del Paradiso nel senso che nessuno fino a lui fu capace di unirsi ad essa (la povertà “fino a costui si stette sanza invito”). Per quella povertà aveva rinunciato ai beni di famiglia e litigato con il padre.

Per quella povertà non aveva voluto aumentare il numero di adepti del suo movimento. Eppure il cambiamento divenne inevitabile: i frati comuni si fecero sacerdoti, frequentarono i conventi e le città, si cibarono di tutte le sue mondanità, non andarono più in giro scalzi, accettarono le offerte dei fedeli, divennero studiosi alla pari dei domenicani, vestirono in maniera più ricercata e pochi di loro eseguirono lavori manuali.

I secondi francescani, dunque, non furono propriamente seguaci di San Francesco. 

Poco prima della morte di Francesco, papa Gregorio IX aveva ordinato a padre Elia (un grande suo seguace) la costruzione della doppia Basilica di Assisi. Per realizzarla si utilizzarono i proventi delle offerte e i finanziamenti del Comune. Papa Gregorio aveva previsto anche delle ricompense: indulgenza di 40 giorni per ogni donazione, rinnovabile per le successive donazioni. Sulla chiesa vigeva l’autorità papale e accanto vi sorgeva già un convento. La traslazione delle spoglie del santo, avvenute il 25 maggio 1230, vigilia di Pentecoste, costò ai frati l’ira del papa e la candidatura di Elia a ministro dell’ordine. Giovanni Parenti, fondatore del primo ordine monastico a Saragozza e dottore alla facoltà di Diritto dell’università di Bologna, finì per dare le dimissioni, dopo gli scontri con i confrati. Il Capitolo generale di Rieti, due anni dopo (1232) rielesse frate Elia.

Restava il problema delle pareti bianche all’interno della Basilica di San Francesco in Assisi: come risolverlo? Significava appianare la diatriba insorta tra spirituali e conventuali, cosa che provò a fare San Bonaventura (rettore dell’Ordine per 17 anni). Egli si rifece alle biografie di Tommaso da Celano e alle testimonianze dei seguaci del Poverello. Per la parte dottrinale si appoggiò a Gioacchino da Fiore e alle storie  delle “Tre Età della Storia terrena”. In tal modo, ammise la spiritualità e il pauperismo di San Francesco, considerandoli però come una sorta di trampolino di lancio verso il raggiungimento della vera conoscenza tramite la contemplazione di Dio. Tutto questo doveva passare attraverso gli studi conventuali. 

Per questo, negli affreschi della Basilica Superiore troviamo Francesco a piedi nudi e con la barba lunga, come dei confrati perfettamente rasati e con il saio integro, pulito e senza rattoppi. Giotto li rappresenta secondo i dettami di San Bonaventura.

Per un approfondimento sul tema, vedere il saggio di Chiara Frugoni, “Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica superiore ad Assisi”.


 

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