9 marzo 1473: Giaimo Rizzo, quale procuratore del Monastero di Santa Maria extramoenia di Messina, s’impegna a consegnare al pittore Antonello sei salme di vino, provenienti dalla vigna di fronte allo stesso monastero, per aver realizzato un’icona.
Si tratta del Polittico di San Gregorio, che oggi fa bella mostra di sé al Museo Regionale di Messina, proveniente appunto dal Monastero di Santa Maria extra moenia, commissionato da suor Fabria Cirino, in onore della quale Antonello inserisce lo stemma nobiliare di famiglia (in basso a sinistra, sul bordo dello scalone).
La nuova soluzione dell’inserimento dei soggetti in un contesto più architettonico, su un alto basamento, dona all’insieme un senso di profondità e di maggior realismo. Incentivano il senso prospettico anche le tonalità dei colori, la postura dei personaggi e la disposizione delle vesti: i santi sono collocati nella posizione di tre quarti, fornendo la giusta convergenza ottica verso il centro dell’opera, dove prima la sottoveste, poi l’ampio mantello della Madonna ci introducono verso la dimensione più intima del quadro: il bambino in grembo sorretto delicatamente dalla mano vigile della madre, dolci figure, lei di ragazza semplice, dal volto eterno e con i capelli rossi e sciolti, lui piccola miniatura del volto della madre, con una mela nella mano destra (il peccato originale) e delle ciliegie in quella sinistra (simbolo della passione e del martirio futuro), che s’incontra con la mano della Vergine, punto focale delle linee prospettiche. Al collo, Gesù porta una collanina di corallo rosso, altro simbolo della passione e della rinascita. Ritornano alcuni motivi del polittico precedente: la corona di rose portata da due angeli «ponentini», il trono con spalliera verde, del tutto simile al quello del Polittico di Firenze, ma a riquadri più grandi.
PUNTI DI VISTA DEL POLITTICO DI SAN GREGORIO
Ecco un San Benedetto riprodotto dal vero, probabilmente un giovane modello, invecchiato dall’aggiunta della barba bianca e delle rughe sulla fronte e intorno agli occhi. Le mani sottili, ricordano molto quelle delle figure del Polittico di Firenze-Milano, con un tocco di maggiore dinamismo a favore del Polittico di San Gregorio.
Come Antonello ci ha abituati, una figura guarda sempre verso l’interno del quadro, mentre l’altra guarda lo spettatore. Nel caso del Polittico di Firenze-Milano è San Benedetto a guardare negli occhi lo spettatore, mentre il San Giovanni guarda verso l’interno.
Viceversa accade nel Polittico di San Gregorio, laddove è San Benedetto a distogliere lo sguardo e San Gregorio a puntarlo su chi guarda.
Lo schema asimmetrico permette allo spettatore di godere di piani di lettura diversi: uno più impersonale e discreto, per chi guarda senza sentirsi a sua volta osservato, l’altro più diretto e intimistico, per chi vuol essere più coinvolto e partecipe con i valori trasmessi dalla cristianità e dalla figura del santo.
RESTAURI E INTERVENTI SUL POLITTICO DI SAN GREGORIO
Il Polittico di San Gregorio è stato estratto dalle macerie del Museo Civico Peloritano dopo il terremoto del 28 dicembre 1908, si presentava molto deteriorato e gli effetti di questa azione dannosa operata da polvere e pioggia, nonostante i restauri e come si può vedere nei dettagli di queste pagine, ha comportato la perdita di parte della pigmentazione, delle velature superficiali e della compattezza del supporto.
Restauri e interventi sull’opera:
– il primo è del 1842 a opera del pittore Letterio Subba, molto criticato perché dannoso;
– il secondo a opera di Luigi Cavenaghi del 1912-14;
– il terzo dell’Istituto Centrale del Restauro del 1940-42;
– un quarto di Ernesto Geraci nel 1981 per il solo Angelo;
– il quinto, delle parti mancanti, a cura dello stesso Geraci, in occasione della mostra del 2006.
KOMBOSKINI, IL ROSARIO GRECO
Singolari le invenzioni del palco sporgente, in linea con la finzione del cartiglio sezionato e accartocciato, in basso, e l’introduzione del komboloi o, meglio, un komboskini, un conta-preghiere greco con perle in vetro nero di numero variabile e personalizzabile (qui 38, per me, l’età del pittore, giusto accanto alla firma), che, secondo il principio ecumenico di Antonello (che sarà anche del Maurolico), si usava per pregare Gesù: Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore (pp. 200-206).
Con il nome komboskini è chiamato il rosario ortodosso voluto da San Pacomio nel IV secolo d.C. per abituare alla preghiera se stesso e i suoi seguaci, seguendo un conteggio numerico. Usato anche e soprattutto per le penitenze, veniva associato generalmente alla “preghiera del cuore” rivolta a Gesù. Il rosario era composto da un filo di lana vergine, simbolo di purezza, e da grani di legno o di pietra. Il numero dei grani era variabile, ma solitamente corrispondeva a 33, gli anni terreni di Cristo.
Vasari ci informa che Antonello soffriva di «mal di punta», ovvero di «mal di petto» o polmonite. I suoi Ecce homo sono la misura di questa sua sofferenza e, probabilmente, la sua scelta di seguire le orme di San Francesco è dettata da un bisogno di conforto interiore e dall’esigenza di ritrovare la buona salute. Ciò potrebbe spiegare anche la sua scarsa mobilità in alcuni periodi della sua vita e i frequenti rientri a Messina, alla ricerca di condizioni climatiche più temperate e favorevoli al suo fisico debilitato rispetto alle umide aree veneziane (p. 183).
In relazione alle particolari problematiche di salute di Antonello da Messina e in associazione con il simbolo cristiano, il komboskini di Antonello contava 38 grani: con ogni probabilità la sua età nel 1473, l’anno del Polittico di san Gregorio.
SAN BENEDETTO DA NORCIA E SAN GREGORIO MAGNO
San Benedetto è considerato il fondatore del monachesimo occidentale. La sua storia emerge proprio dai Dialoghi di san Gregorio Magno, scritti a cinquanta anni dalla sua morte. Emerge il profilo di un personaggio strettamente legato al cambiamento: l’Impero Romano era sconvolto da una profonda crisi politica, sociale e religiosa. San Benedetto da Norcia riuscì a dare all’Impero di allora una nuova unità spirituale e culturale nel nome della cristianità.
La sua Regola, composta sul monte di Montecassino nel 540, prendeva spunto da quelle di san Giovanni Cassiano, di san Basilio, san Pacomio e san Cesario.
Le due culture religiose di San Benedetto e San Gregorio, compenetrate l’una nell’altra, affondavano le loro radici nel mondo orientale, bizantino, in tempi in cui la diffusione del Cristianesimo coincideva geograficamente con l’Oriente in contrapposizione a un Occidente ancora in parte pagano.
Gregorio Magno conobbe di persona il mondo bizantino e da papa tenne relazioni notevoli con i Patriarchi di Antiochia, di Alessandria e Costantinopoli. Nonostante il suo potere, restò sempre servus servorum Dei, sempre umile e legato alla figura esemplare di San Benedetto.
IL VOLTO DELLA MADONNA DEL POLITTICO DI SAN GREGORIO: È DI GIOVANNA, MOGLIE DI ANTONELLO?
Inoltre, il volto della Madonna del polittico messinese è compatibile con il volto dell’Annunciata di Palermo (1476) e, anche qui con ogni probabilità, la figura ispiratrice è la moglie Giovanna Cuminella. Proprio nel 1476-77, lo scultore lombardo Pietro di Bonitate stava per ultimare l’altorilievo del Cristo che incorona la Vergine fra angeli musicanti (1468-1477) presso il portale della Cattedrale di Messina (pp- 290-292). Proprio nel 1476 Antonello torna a Messina dopo il soggiorno veneziano: perché avrebbe dovuto dipingere suor Eustochia e non la moglie?
Circa la somiglianza, suggerita da Francesco Perroni Grande (1923), con la santa Eustochia, sembra di difficile accettazione, considerando che all’epoca la Calafato aveva poco più di quaranta anni. Ritengo molto più probabile che il personaggio raffigurato fosse la moglie di Antonello, Giovanna Cuminella, più giovane di lui di almeno sette-otto anni e con ogni certezza molto bella e ambita, qui raffigurata in maniera assolutamente innovativa ed esemplare: un omaggio alla sua amata, al suo rientro a Messina (p. 288).
IL CONCETTO DI SALVEZZA TARDOMEDIEVALE, SECONDO ANTONELLO, UOMO DEL MEDITERRANEO
Il rosario greco, risalente a San Pacomio, al centro dei due patriarchi della Chiesa cristiana nel suo passaggio da Oriente a Occidente, collocato ai piedi della Madonna rappresenterebbe il punto d’incontro simbolico, insieme alle figure della stessa Vergine e di Gesù, tra le due culture orientale e occidentale. Un ulteriore motivo di salvezza, a parte quella personale, più volte ricercata in quel percorso non solo artistico, ma mistico e spirituale, da Antonello da Messina.
Pensiamo anche alle sue vedute del porto di Messina, anch’esso cerniera di un Mediterraneo che tendeva sempre più alla divisione tra due emisferi politici, culturali e religiosi.
L’OSSERVANZA FRANCESCANA NEL PRIMO RINASCIMENTO
Il circuito dell’Osservanza francescana voleva essere un’ulteriore fattore di coesione: non si tratta solo di un peso commerciale o artistico, qui assistiamo a un saldo patto tra riformisti, che si rinnoverà nel Cinquecento, come abbiamo visto, con il Maurolico, il Montorsoli, il vescovo Verdura e la stessa famiglia Spatafora. Lo stesso vento di riforma spirituale, intellettuale e sociale.
Non è più solo l’Umanesimo che batte alle porte, è quella rivoluzione culturale in atto di cui Antonello si fa uno dei maggiori interpreti: il Rinascimento.
Il cambiamento viene vissuto anche in campo esistenziale: l’uomo del medioevo vive nella continua paura di cadere nel peccato e di subire la punizione divina, l’uomo del Quattrocento si sente parte integrante di un progetto divino, iniziato proprio in epoca romana con l’arrivo del Messia.
Nel segno del Cristianesimo, dunque, si può dare continuità alla storia di Roma. Da qui, paradossalmente, nasce quel germe che porterà alla Riforma religiosa del Cinquecento.
Antonello, artista del Quattrocento, crea opere nuove che contengono i valori dell’antichità, ma che tuttavia rifiutano la tradizione stilistica e la tecnica acquisita, alla luce della visione di un mondo nuovo, in cui natura, scienza e religione trovano un giusto equilibrio. Anche Antonello, si inserisce nella lunga fase rinascimentale di sperimentazioni tecniche, come farà Leonardo da Vinci, e anche in quella di una tormentata spiritualità, come sarà per Michelangelo Buonarroti. Per questo, il suo stile, che abbraccia civiltà e culture diverse del Mediterraneo e anticipa i temi del Rinascimento maturo, diventa unico e inconfondibile (pp. 238-240).
Tratto da Dario De Pasquale, Antonello da Messina e il suo tempo, ABC SIKELIA Ed., Messina 2022 (II edizione).