Il Museo Mandralisca è una lungimirante creazione del mecenate ottocentesco Enrico Pirajno di Mandralisca (1809-1864), barone dalla cultura eclettica e dai molti interessi, studioso di malacologia, ornitologia, paleobotanica e botanica, archeologia e numismatica.
Quando non impegnato politicamente al Parlamento siciliano prima e nazionale poi, o trattenuto da gravi problemi di salute, viveva a stretto contatti con le aree di scavo eoliane (a Lipari possedeva estensioni di terreno in località Diana da dove estraeva numerosi reperti archeologici). Non mancò di acquistare, come testimonia il suo epistolario, anche dei reperti provenienti dagli scavi di Tindari (Me), che gli stessi monaci vendevano ai visitatori.
Il risultato di questa sua raccolta è un museo storico, naturalistico, archeologico, supportato da una biblioteca di circa settemila volumi, che ancora oggi porta il suo nome. Alla storia del Museo Mandralisca è legata una fondazione, nata per volontà dello stesso barone Pirajno, dietro testamento, allo scopo di lasciare alla città di Cefalù un patrimonio da curare e coltivare, che fosse espressione del suo impegno ma anche esempio per le generazioni future, perché tutti potessero godere dei mezzi per istruirsi e progredire nella società.
Il barone di Mandralisca aveva sposato la liparese Maria Francesca Parisi e, oltre che a Cefalù, preferiva trascorrere nell’isola eoliana il suo tempo libero per le ricerche e l’aria salubre del mare. Durante la sua campagna di scavi liparesi, trova il cratere a campana del Venditore di Tonno, datato 380-370 a.C. da A. Tullio, un pezzo “forte” della collezione Mandralisca. Sempre nel suo epistolario, custodito presso la Biblioteca Estense di Modena, descrive il vaso la cui figura principale è un pescivendolo intento a tagliare con un enorme coltello un grande tonno poggiato su un banco, a destra del quale c’è un potenziale acquirente pronto a pagare il trancio di pesce con una moneta, visibile nel palmo della sua mano.
“La cosa più pregevole è un vaso a campana (Kratér), alto 28 centimetri, e largo nella bocca altrettanto; intierissimo, con figure gialle su fondo verniciato nero. Nella parte principale rappresenta un’uomo ignudo dalla testa fin sotto l’umbellico, coperto nel resto da un panno. Egli è calvo con pochi capelli e rada barba ridipinti in bianco: è in atto di tagliare il resto di un pesce Tonno su di un Ceppo a tre piedi, con un grande coltello ad un taglio (makaira), che alza colla dr., mentre la sin. tien fermo il resto del pesce, la cui testa vedesi recisa a pie’ del ceppo. Dinnanzi quell’uomo, a terra, sta un’altro Tonno intiero, da nascondergli le gambe e i piedi – Altra figura senile con barba e cappellatura folta, nera, mezzo calva, rachitide, seminuda, avvolta solo di un Sajo che lo copre dalle spalle alle cosce tiene colla sin., ch’è coperta dal mantello, un fetta di Tonno ed un bastone tortuoso, nodoso, a guida di una Ferula, mentre colla dr. offre una moneta che si vede nella palma della mano ridipinta in bianco, in iscambio della comperata fetta di Tonno.
Dall’altra parte del vaso sono due figure ammantate, una delle quali con bastone, simile a quasi tutti i rovesci dei vasi nei quali scorgonsi i soliti iniziati a’ giochi ginnastici.”
Da una Lettera del 5 marzo 1864 (Bem, It. 1291 = alfa U.1.7, n. 203) scritta dal Barone Pirajno di Mandralisca di suo pugno.
Il barone raccoglierà anche una serie quasi completa di monete liparote, oggi presenti nel numero di 250 presso il museo omonimo. Grazie a questa sua opera di raccolta, catalogazione e conservazione, il patrimonio archeologico mondiale, italiano, siciliano e liparese è stato mantenuto e protetto fino ad oggi.
Oggi si parla di chiusura del museo e di campagne di reperimento fondi per il suo mantenimento. Incredibile per una struttura che detiene, fra le sue opere più importanti, oltre a quelle citate, il preziosissimo Ignoto marinaio di Antonello da Messina. Da solo, con i suoi 20.000 visitatori l’anno, potrebbe mantenere l’invidiabile luogo della cultura siciliano.
Purtroppo, non si può pensare più a un ritorno del mecenatismo ottocentesco, del tutto anacronistico: oggi i mecenati siamo tutti noi, tutti coloro i quali usufruiscono direttamente o indirettamente della conoscenza del passato.