Nasce a Bologna nel 1575 da Daniele, di professione musicista, e Ginevra Pozzi. A 9 anni viene condotto a bottega dal pittore olandese Calvaert, grazie al quale apprende il colorismo fiammingo e lo studio dei classici attraverso le opere dei protagonisti del Rinascimento italiano. Finito l’apprendistato, durato per ben dieci anni, Guido si trova in un momento di grandi prospettive per il proprio futuro, ma in un presente momentaneamente funestato dalla morte del padre. Decide allora di frequentare l’Accademia dei Desiderosi (che dal 1590 prenderà il nome di Accademia degli Incamminati).
I contatti con i Carracci
I Carracci sono abilissimi pittori ma anche pratici manager dell’arte: trovano facilmente committenti grazie alla versatilità dei loro laboratori e alla capacità di gestione degli incarichi. Guido diviene subito un pittore di punta dell’Accademia e al primo concorso in gara con lo stesso Ludovico Carracci risulta vincitore. Nel 1601 è a Roma presso la Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, dove sarà autore dell’affresco dedicato alla santa e una copia del dipinto di Raffaello Santa Cecilia e i quattro santi oggi a San Luigi dei Francesi a fare compagnia ai quadri di Caravaggio. L’anno successivo torna a Bologna in occasione dei funerali di Annibale Carracci, a testimonianza dell’amicizia e della devozione nei confronti di uno dei suoi maestri e datori di lavoro.
Ma è a Roma la sua nuova stella: nel 1608 il papa Paolo V lo invita ad affrescare due stanze dei Palazzi Vaticani (delle Nozze Aldobrandine e delle Dame) e la cappella dell’Annunziata al Palazzo Quirinale. Nel 1612 il cardinale Scipione Borghese gli commissiona un affresco per una sua casa nel parco, oggi Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, dove campeggia una serena Aurora.
Nei vent’anni successivi è in costante movimento tra Roma, Bologna e Napoli, nell’intenzione non solo di raccogliere quanti più incarichi possibili ma anche per sottrarsi alle invidie e agli odi di pittori rivali (come il suo ex allievo, Gessi).
Nel 1635 esegue per il fratello del papa Urbano VIII un San Michele Arcangelo (Chiesa di Santa Maria della Concezione, Roma) di notevole bellezza e spessore tecnico. Basti osservare la mescolanza dei colori impregnati di carminio, la potenza espressiva dell’arcangelo, fluttuante nell’aria ma con i piedi ben piantati sul terreno e su un belzebù. Il cielo si ammanta dei suoi stessi colori perché Michele è il grande soggetto che domina la scena. Un’opera di grande equilibrio scenico, raffaellesca per la compostezza ma estremamente moderna per l’invenzione coloristica e compositiva.
Muore a Bologna nel 1642.
La sua opera più conosciuta è La Strage degli innocenti (destinata alla Cappella Berò o Ghisilieri nella chiesa di San Domenico e oggi alla Pinacoteca nazionale di Bologna), tratta dal Vangelo di San Matteo, del 1611. Qui i riferimenti classici sono più che evidenti: emergono persino volti di statue greche viste a Roma, i colori e il linguaggio compositivo di Raffaello. Il coltello in mano a un soldato divide in due la scena convulsa in cui le donne scappano con in braccio i loro bambini nel tentativo disperato di sottrarli alla violenza degli uomini armati. Alla base le donne già raggiunte che piangono sui figli uccisi, singolare quella di destra, agghindata come una Madonna e che, rassegnata, volge gli occhi al cielo in cerca di risposte a quel martirio. La brutalità della scena si contrappone alla compostezza della composizione.
Un’altra rappresentazione che ha caratterizzato il suo percorso d’artista è il San Giuseppe col Bambin Gesù, più volte riprodotto in varie versioni. Qui ne mostriamo una di particolare intensità sentimentale e impegno tecnico: basti guardare i pochi saggi tocchi che evidenziano l’argento nei capelli di Giuseppe, le rughe in contiguità con la barba, i tocchi di colore scuro per evidenziare il candore e la morbidezza delle carni del Bambino Gesù, la luminosità del mantello. L’opera degli ultimi anni di vita dell’artista (1640, Museo delle Arti di Houston) è un capolavoro assoluto della pittura di tutti i tempi.