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Arte

Giotto di Bondone: la vertigine del Medioevo

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Giotto di Bondone, nasce a Vespignano nel 1267 circa. Il suo nome forse è un diminutivo di Ambrogio o di Angiolo, mentre Bondone era il nome del padre. E’ stato pittore e architetto. 

Ciclo di San Francesco di Assisi: Giotto o Pietro Cavallini?

Si è discusso molto sulla paternità del ciclo pittorico contenuto nella Basilica Superiore di Assisi e solo la grandezza contenutistica e stilistica degli affreschi ha permesso di attribuirli propriamente a Giotto. Altri, di fattura similare, sono stati attribuiti al romano Pietro Cavallini. Siamo d’accordo con lo storico dell’Arte Vittorio Sgarbi nell’affermare che entrambe le scuole, quella fiorentina e quella romana, fossero presenti nei cantieri di Assisi, cittadina posta esattamente a metà strada tra Roma e Firenze.

Dunque, è molto probabile che la fascia inferiore della navata della Basilica di Assisi sia stata interamente dipinta da Giotto. La fascia comprende 28 storie di San Francesco ispirate alla Legenda di San Bonaventura, il testo ufficiale di riferimento della biografia francescana (le scene stesse sono titolate come i capitoli dell’opera teologico-letteraria). Questi affreschi testimoniano il primo tentativo di allontanamento dalla tradizione pittorica bizantina a favore della nuova pittura italiana, libera da un rigido apparato iconografico, dai volti inespressivi dei personaggi rappresentati, dagli sfondi monocromatici o piatti, dal peso delle direttive imperiali.

Giotto, La predica agli uccelli, Basilica di San Francesco in Assisi.

Qui, finalmente, è evidente la mano “libera” del pittore, il suo pensiero personalissimo, la sua nuova interpretazione della religione e dell’umanità, basata sulla potenza del messaggio francescano. Nessuno prima di Giotto si era cimentato nella raffigurazione pittorica di un linguaggio cristiano moderno, dove vengono messe da parte le diseguaglianze sociali per abbracciare un concetto schietto di fratellanza e condivisione, dove per la prima volta viene rappresentato un santo con le stigmate. Il tutto secondo modalità espressive libere da eccessivi simbolismi ed allegorie, a favore di una semplicità di intendimenti e di comunicazione all’insegna dell’universalità. Anche per questo, i personaggi rappresentati vestono abiti moderni, più vicini a chi li osserva.

Giotto non è un pittore qualunque, è un uomo colto, amico di Dante, crede in Dio e in una Chiesa evangelica, nuova o meglio rinnovata, basata esclusivamente sui valori cristiani. Tecnicamente è molto raffinato, ha viaggiato molto e conosce a fondo l’arte bizantina, è affascinato da quella gotica.

A primo impatto, le sue opere ci stupiscono per quella particolare simbiosi fra natura ed architettura: è il primo dichiarato tentativo (quello inconsapevole ed ingenuo è opera di Wiligelmo nelle sue Storie della Genesi) di fondere creatività divina e genialità umana, di intendere la geometria (e non solo la bellezza della natura) come strumento di lettura del divino.

Giotto, La rinunzia ai beni paterni, Basilica di San Francesco in Assisi.

E’ una nuova modalità d’espressione che mette in rilievo la grandezza umana sia come artefice di bianche, maestose e verticalizzanti architetture gotiche come ne La rinunzia ai beni paterni, Apparizione al capitolo di Arles, Il presepe di Greccio presso la basilica superiore di S. Francesco ad Assisi o La cacciata di Gioacchino dal tempio e la Pentecoste presso la Cappella degli Scrovegni a Padova, sia come parte integrante della natura: Il dono del mantello al povero cavaliere, La predica agli uccelli, Il miracolo della fonte sempre presso la basilica superiore di S. Francesco ad Assisi. 

Giotto, Il dono del mantello al povero cavaliere, Basilica di San Francesco in Assisi.

C’è una forte volontà in questo pittore del Trecento a rivelare e mettere a fuoco tutti gli aspetti della realtà. Osserviamo l’affresco che raffigura San Francesco che dona il mantello al povere cavaliere: sullo sfondo, le montagne inestricabili e rocciose, sovrastate da torri, mura, case civili sulla sinistra e qualche sparuto alberello di innaturali proporzioni perchè la natura di Giotto è come la natura di San Francesco, è immaginata e sentita prima ancora che veduta; sulla destra un’edificio isolato, la casa del ricco cavaliere probabilmente, talmente avido da arroccarsi sul monte opposto al centro abitato. Il cielo di un azzurro tenue è uguale per tutti e stringe in un unico abbraccio le due montagnuole, segno che tutti indistintamente siamo figli di Dio. A portare questo grande messaggio sulla terra è stato scelto San Francesco che, nella raffigurazione, indossa un manto dello stesso turchino del cielo e si trova proprio al centro delle diagonali che corrono lungo i pendii. Nei suoi confronti c’è rispetto ed ammirazione non solo da parte del cavaliere che gli offre il mantello, ma parimenti del cavallo che abbassa la testa in segno di sottomissione, da notare che il collo del cavallo ha la stessa curva della schiena del cavaliere… Decisamente, un capolavoro geometrico che ha pochi precedenti.

Giotto, Apparizione al capitolo di Arles, Basilica di San Francesco in Assisi

Allo stesso modo nell’Apparizione al capitolo di Arles, San Francesco è integrato nell’architettura dell’edificio e  fa da contraltare agli archi a sesto acuto con l’apertura delle sue braccia, mentre, nel Presepe di Greccio, la prospettiva visiva di Giotto crea l’idea della profondità e dello spazio. Le scene diventano due: una al di sotto dell’iconostàsi, dove avviene il fatto miracoloso degno di ogni ammirazione dei presenti, l’altra al di là e al di sopra dell’iconostàsi dove il cielo torna ad essere il vero protagonista, un cielo invaso dall’altissimo ciborio, degno di farvi parte perchè frutto del genio umano e da una grande croce di legno inclinata e sostenuta da un’impalcatura (segno polemico nei confronti di una Chiesa corrotta, bisognosa di essere sostenuta come quella di Bonifacio VIII che pochi anni prima aveva chiamato il nostro pittore per un affresco del Giubileo? Questione di non poco conto visto che il tema della corruzione della Chiesa romana fu ampiamente trattato in quegli anni da molti contemporanei e, in particolare, da Dante Alighieri ne  La Divina Commedia.)

Giotto, Il presepe di Greccio, Basilica di San Francesco in Assisi

Il Crocifisso di Santa Maria Novella

Uno dei primi lavori fiorentini di Giotto è il Crocifisso di Santa Maria Novella (1290 circa), lontana dall’iconografia classica a “S” del Christus patiens: il Cristo di Giotto è una figura umana, con un peso corporeo definito, il corpo cascante, il colore verdastro del cadavere in putrefazione, i piedi uniti e per la prima volta sovrapposti grazie al lavoro prospettico del maestro fiorentino.

Giotto, Crocifisso, Santa Maria Novella, Firenze.

La Cappella degli Scrovegni

La conferma della grandezza di Giotto è leggibile attraverso le opere realizzate all’interno della Cappella degli Scrovegni, a Padova, su commissione di Enrico Scrovegni, il figlio di un usuraio. Enrico, diventato un ricchissimo banchiere, acquista il terreno dell’antica arena romana di Padova il 6 febbraio 1300 e già nel 1301 si fa costruire una magnifica villa, accompagnata da una cappella-oratorio di famiglia, inaugurata il 25 marzo 1303. La cappella acquista una tale importanza che nel 1304 papa Benedetto XI concede un’indulgenza a tutti coloro che vi si fossero recati in visita. 

Giotto, Enrico Scrovegni consegna la cappella alla Chiesa, Cappella degli Scrovegni, Padova

Qui la maturità artistica del nostro pittore è al culmine e si avvale, rispetto ad Assisi, di una padronanza cromatica assoluta. I volumi, le sfumature, l’intensità dei colori sono unici e rendono le figure rappresentate estremamente realistiche, quasi palpabili, in un periodo in cui la pittura costituiva l’unico mezzo di raffigurazione visiva. Il ciclo è diviso in 40 scene incentrate sul tema della Salvezza. 

Giotto, Giudizio Universale, Cappella degli Scrovegni, Padova.

Per l’uso dei colori e per la sua fantasia creativa Giotto è da considerare un vero e proprio rivoluzionario per i suoi tempi, basta notare un particolare del Giudizio Universale nella Cappella degli Scrovegni: una lingua di fuoco che avvolge le anime dannate mentre alcuni diavoli le spingono giù nei gironi danteschi, dove un enorme Belzebù è pronto a fagocitarle. E’ un’immagine ancora medievale, di paura e di repressione, riconducibile al mosaico del Giudizio Universale di Coppo di Marcovaldo (Battistero di Firenze), ma allietata dalla presenza rassicurante del Cristo Redentore e degli Apostoli, dalla processione dei santi, dall’offerta di una miniatura della Cappella degli Scrovegni alla Vergine. 

Giotto, Compianto su Cristo morto, Cappella degli Scrovegni, Padova.

Il gioco dei toni di colore è ancora più evidente nel Compianto su Cristo morto: stavolta le figure sono completamente staccate dal fondo, perfettamente contornate ed evidenti, costituiscono la vera architettura dell’insieme. Ognuna con la sua sofferenza, in un crescendo di dolore che parte dal corpo irrigidito del Cristo fino al grido disperato di San Giovanni che apre le braccia fino all’inverosimile, abbracciando cielo e terra, fino alla muta rassegnazione della misteriosa figura di spalle, raggomitolata capo e piedi in una veste. Essa crea il movimento tonale in senso verticale, è una scena dove tutto precipita: dal gesto teatrale di San Giovanni, al gesto compassionevole e  racchiuso della donna che regge le braccia di Cristo, alla figura completamente raccolta in primo piano. Il tutto accentuato dal digradare della roccia da destra verso sinistra. Sul piano orizzontale si passa dalle tonalità scure e tenebrose di sinistra a quelle più chiare e vitali di destra, dove è predominante il colore rosso.

Con Giotto e la sua arte si migliora il processo di conoscenza del mondo creato da Dio, iniziato con l’arte paleocristiana ed evolutosi con artisti del calibro di Wiligelmo e Antèlami. Nei primi anni del Trecento, però, grazie all’intuizione del più famoso allievo di Cimabue, il linguaggio dell’arte è comprensibile da tutti, è diventato universale.  

Giotto, Bacio di Gioacchino e Anna alla porta aurea, Cappella degli Scrovegni, Padova.

Così dalle storie di Gioacchino ed Anna si passa alle storie di Maria, poi alle storie di Gesù, che si chiudono con la Pentecoste (Discesa dello Spirito Santo sugli apostoli). Qui sentimenti, passioni ed emozioni s’incrociano in rapida successione, mostrando quel carattere di grande umanità che nel corso dei secoli, dalla fine dell’impero romano, era andata persa.

Giotto, La Prudenza, Cappella degli Scrovegni, Padova.

Nella cintura in basso appaiono quattordici allegorie monocrome, in pannelli di finto marmo, simboleggianti i Vizi (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia, Infidelitas, Invidia, Desperatio) e le Virtù cardinali (Prudencia, Fortitudo, Temperantia, Iusticia) e teologali (Fides, Karitas, Spes). Vizi e virtù si fronteggiano a coppia e sono ordinati per il raggiungimento del Paradiso, superando con la cura delle virtù corrispondenti gli ostacoli posti dai vizi.

Giotto, Caritas, Cappella degli Scrovegni, Padova.

Dopo gli affreschi di Padova, Giotto torna ad Assisi a completare il ciclo delle Storie di Cristo, le allegorie francescane e la Cappella della Maddalena presso la Basilica inferiore. Muore a Firenze nel 1337.


 

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