Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione

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Un pittore dalla vita misteriosa che condensa, nella sua persona e nelle sue opere, una cultura, tutta veneziana, che tiene uniti due mondi: quello occidentale dei regni, delle signorie, dei bundeslander e dei principati e quello orientale degli emirati arabi e dell’impero ottomano. Con questa chiave di lettura ci avviamo alla comprensione del pittore di Castelfranco.

GIORGIONE – Notizie imprecise e scarse fonti non permettono di chiarire la formazione artistica di Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione per la sua imponente statura. Nato con ogni probabilità a Castelfranco Veneto fra il 1477 e il 1478, approda alla scuola di Giovanni Bellini, pittore famoso e al culmine della sua carriera. Il frutto di questo incontro è il sapiente uso del colore e l’elegante rappresentazione del paesaggio. Pochi quadri sono giunti a noi di questo pittore e fra questi nessuno è datato o firmato, con conseguente difficoltà sia d’attribuzione sia di collocazione temporale.

Pala di Castelfranco

Pala di Castelfranco, 1502 circa.

Uno dei suoi dipinti più famosi è la Pala di Castelfranco, destinato al duomo della cittadina veneta e commissionato da un nobile comandante militare di origini messinesi, Tuzio Costanzo, in ricordo del giovane figlio Matteo scomparso in battaglia. L’impostazione piramidale dell’insieme è abbastanza tradizionale, così come anche il sepolcro sul quale è riportato lo stemma nobiliare della famiglia Costanzo, difeso da due santi: San Nicasio, patrono dei Cavalieri di Malta, ordine cui apparteneva Matteo (qualcuno lo interpreta come San Giorgio, visto che la cappella nella quale la pala è contenuta è dedicato al santo guerriero) e San Francesco.

Rivoluzionaria, invece, è l’idea di collocare la Madonna in trono con bambino in uno spazio quasi innaturale, sopra un muro, al limite con il giardino esterno che lascia intravedere un panorama sereno spezzato dalla drammatica scena dell’uccisione di Matteo (sulla destra) e dal castello in rovina sulla sinistra.

I simboli in Giorgione sono la parte più importante e anche la più inestricabile per dare un senso dell’opera. L’ambiente in primo piano, piastrellato, sobriamente decorato, riporta lo spettatore nell’ambito dell’abitazione della famiglia Costanzo, ne fa assaporare la dimensione nobiliare, lo status aristocratico, il benessere raggiunto. Oltre un muro ricoperto di porpora, troviamo un paesaggio naturale, anche questo immobile, ma nella cui immobilità si è consumato un assassinio. Cerniera tra i due ambienti è la Madonna in trono, che rende sacro ed eterno il momento del dolore e, allo stesso tempo, quello del conforto e della rinascita. La prospettiva tonale, ovvero formata da diverse scale di colore, trascina lo sguardo della spettatore dal pavimento fino al grembo della Madonna, vestita con i colori delle virtù teologali: il verde della Speranza, il rosso della Carità e il bianco della Fede.


La tempesta, 1502/1503 circa.

Un altro dipinto misterioso per i suoi contenuti simbolici e per questo anche più famoso sin dai tempi di Giorgione, è La tempesta. L’opera s’inserisce nel contesto riflessivo e speculativo di corte. Era, infatti, abitudine dei cortigiani, indagare sui significati dei contenuti dei libri o di opere d’arte. La cronaca del tempo riporta la sua appartenenza a Gabriele Vendramin, collezionista e mecenate di una potente nobile famiglia veneziana.

Il fulmine, l’acqua, il ponte, i ruderi, i personaggi

Il piccolo quadro annuncia l’arrivo di una tempesta che sembra squarciare il cielo, proprio mentre di fronte ai nostri occhi si apre un orizzonte fatto di case (Padova? Castelfranco?), di un ponticello su un corso d’acqua, ruderi, due figure misteriose.

Proprio queste ultime danno l’avvio all’opera, introducendoci in questo spaccato di storia: potrebbero essere dei novelli Adamo ed Eva (che abbraccia un piccolo Caino), Marte e Venere, Giuseppe e Maria con il piccolo Gesù. La critica si è spesa moltissimo nel cercare un significato più attendibile possibile, consultando fonti coeve (epistolari, libri, testi sacri ecc). Il giovane sulla sinistra che imbraccia una lunga asta, è vestito secondo la moda veneziana borghese di quel tempo, la sua attenzione è interamente rivolta alla donna, in atteggiamento apparentemente protettivo.

Alle sue spalle, i ruderi di un’età ormai scomparsa, quella classico-rinascimentale, i cui valori artistici, simbolici, morali e culturali sono andati perduti. Qui il pittore sembra animare un’aspra polemica nei confronti dei suoi contemporanei, incapaci di recuperare quel mondo lontano. Di conseguenza, quel giovane con fare protettivo potrebbe persino essere lo stesso Giorgione che si eleva a difensore di un glorioso passato (il primato di Roma perso con la caduta di Costantinopoli nel 1453?).

La donna che sembra aver appena partorito il bimbo, allatta, seminuda e seduta su un lenzuolo, con un mantello bianco che le copre appena le spalle. La sua capigliatura è curata e sembra avere un atteggiamento di imbarazzo, come di chi scopre di essere vista da qualcuno in un momento inopportuno. Con le sue braccia protegge il piccolo ignaro di tutto.

Una diversa interpretazione: Venezia e il suo mondo orientale

Al di là delle possibili interpretazioni già date da altri storici dell’arte, questa donna potrebbe rappresentare se stessa come elemento procreatore, come la madre terra che, in qualsiasi condizione si trovi, deve fare il suo corso, garantire un futuro ai propri figli. Cosicché questa figura di donna traghetta la vecchia società protetta dal vigile artista autore del quadro verso un mondo nuovo, fra la speranza, suggerita dalla ricca vegetazione in cui si trovano immersi e dal ponte che unisce il vecchio (i ruderi a sinistra) con il nuovo (la città a destra).

Sullo sfondo, case e torri, di un biancore irreale, quasi fantasmi in una città disabitata, infine un edificio sormontato da una cupola, forse un’allusione all’Oriente islamico, a un mondo ancora non abbastanza esplorato eppure ben conosciuto dai veneziani per motivi commerciali. Il riferimento colto, forse, indica il punto d’inizio e il punto finale delle antiche civiltà del Mediterraneo e, come conseguenza, il suggerimento che tutto possa risorgere da Oriente, laddove tutto un tempo è cominciato e poi finito.

In alto, il cielo è squarciato da un grosso fulmine che tutto rischiara, indicando la strada ai nostri due pellegrini, ma, al contempo, minacciandoli di una violenta tempesta per la quale dovranno cercare al più presto un riparo. Quel fulmine potrebbe rappresentare l’ira divina? O si tratta di un semplice avvertimento? Potrebbe rappresentare la natura che cerca di riparare le intemperanze dell’uomo? O, più semplicemente, le difficoltà della vita?

Giorgione muore a Venezia nell’autunno del 1510, contagiato dalla peste sparsasi nella città lagunare per via dell’arrivo di navi dalle stive infette. Secondo studi recenti, il suo corpo viene depositato presso l’isola del Lazzaretto Nuovo, adibito per l’occasione a luogo di quarantena.


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