Finalmente liberi: il surrealismo di René Magritte e Salvador Dalì

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SURREALISMO

Il Surrealismo è un movimento culturale che, come i precedenti novecenteschi che abbiamo già citato, nasce da una viva e attiva protesta nei confronti di una società degenerata e priva di valori, capace di portare le nazioni mondiali in uno scontro armato senza ritorno.

L’obiettivo dei surrealisti è staccarsi da quella realtà, dare nuovo spazio alla libera espressione, nella convinzione che l’arte porterà a un sicuro cambiamento della condizione umana.


Anche i surrealisti, come i futuristi, hanno un manifesto e lo producono nel 1924. L’anno successivo è dedicato alla loro prima mostra di pittura presso la Galleria Pierre di Parigi.

Il teorico del gruppo è lo scrittore André Breton: il suo punto di partenza è Sigmund Freud e la sua teoria contenuta nel testo Interpretazione dei sogni. Fino alla pubblicazione di questo saggio, infatti, quasi nessuno aveva rivolto le sue attenzioni al mondo dei sogni e al sonno dell’uomo. Eppure tutti gli uomini hanno sempre dormito durante il corso della loro vita. 

Secondo Breton con i sogni siamo capaci di raggiungere una realtà superiore (la surrealtà), fuori dal controllo della ragione, fuori da ogni preoccupazione estetica o morale: il pensiero puro. 

Il Surrealismo è dunque un automatismo psichico capace di liberare la mente dai freni inibitori, razionali, morali, lasciando il pensiero libero di vagare secondo libere associazioni di immagini e di idee. E’ qui che si formano nuovi mondi, più puri e più interessanti, legati al sogno, alla fantasia, all’inconscio. Fra i maggiori esponenti del movimento artistico citiamo Max Ernst, Juan Mirò, René Magritte e Salvador Dalì, Alberto Savinio (pseudonimo del fratello di Giorgio De Chirico, Andrea).

Il linguaggio di questi giovani artisti diventa significativamente simbolico, apparentemente privo di un ordine logico, ma capace di scatenare una lettura-scrittura automatica, di portare fuori dai meandri della propria anima i pensieri migliori di noi stessi, così come Freud curava i suoi pazienti portando in superficie il loro “io” interiore attraverso la libera associazione di pensieri.

Non tutti sono in grado di capire la portata di questo nuovo pensiero culturale e i più si fermano all’apparenza, mentre si rende necessaria una funzione interpretativa molto raffinata per capire i messaggi provenienti dall’inconscio: paure, desideri, pulsioni, disagi che siano. «L’interpretazione dei sogni», l’epocale saggio di Freud risalente al 1900, parla proprio del sonno come strumento di conoscenza dell’animo umano, perché abbassando le inibizioni e il controllo della coscienza sui pensieri dell’uomo, porta all’emersione della nostra parte nascosta, travestita da immagini simboliche.

La componente essenziale del sogno è l’immagine, un codice analogico che la logica difficilmente riesce a comprendere. Il Surrealismo si propone, dunque, proprio questo compito di decodifica delle immagini oniriche o apparentemente irreali.

Il Surrealismo, infatti, non nega la realtà, la supera. Ha un approccio naturalistico e figurativo ma solo in apparenza. Il simbolo, infatti, rappresenta e, molto spesso, non è quello che si vede.

Anzi, l’artista surrealista tende sempre a spostare il senso della realtà, o attraverso degli accostamenti insoliti o attraverso le metamorfosi.

Gli accostamenti insoliti consistono nelle associazioni di oggetti, personaggi o paesaggi in realtà inconciliabili fra di loro e che, come tali, ci sorprendono o minano le nostre certezze.

Le metamorfosi, invece, consistono nella trasformazione di un oggetto in un altro, che si arricchisce di nuove funzionalità. 

René Magritte (1898-1967)

Pittore belga, nasce a Lessines nel 1898 da Leopold e Régina Bertinchamps. Il padre è un sarto apprezzato che, per migliorare le proprie condizioni economiche, si trasferisce più volte nelle città in cui il suo lavoro è più richiesto. In una di queste occasioni, esattamente a Châtelet, la madre morirà suicida nel 1910.

La tragedia invita la famiglia a trasferirsi nuovamente, fino a quando René, compiuti i diciotto anni, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles. Conclusi gli studi, nel 1922 si unisce in matrimonio con Georgette Berger, un’amica di lungo corso. L’anno successivo lavora presso una ditta come designer di carta da parati.

La frequentazione dell’accademia non gli vieta d’immergersi nelle avanguardie novecentesche come il cubismo, il futurismo, la metafisica. Dopo l’incontro con Breton a Parigi (1926), ha inizio la sua carriera artistica di pittore surrealista. I suoi quadri sono semplici, al limite della rappresentazione didattica e mirano a spostare l’attenzione dello spettatore verso l’apparenza della realtà.

Così accade con il quadro “Condizione umana”, del 1933, in cui l’artista stacca sulla tela un pezzo di paesaggio, portando il lettore a una divagazione sul tema della realtà e dell’apparenza.

René Magritte, La condizione umana (La condition humaine), 1933, olio su tela, 100×81 cm. Washington, National Gallery of Art.

E’ il tema del paradosso di Oscar Wilde, secondo il quale la realtà che vediamo ci viene rivelata dell’arte, ossia dal modo del tutto personale di percepire i paesaggi, i tramonti, le città, le persone, le cose nel tempo e nello spazio.

Su un pavimento monocolore che ricorda le superfici delle piazze di De Chirico, poggia un cavalletto d’artista che sembra sospeso nel vuoto. A ben guardare, si tratta di una tela che s’innesta perfettamente con il paesaggio alle spalle della stessa, oltre la finestra. La sovrapposizione è così perfetta da suscitare meraviglia nello spettatore. Una porzione di quadro, addirittura, ci permette di vedere una porzione di paesaggio altrimenti nascosto dal tendaggio di sinistra.

Ancora più evidente è questa appassionata apologia della rappresentazione nel quadro Il tradimento delle immagini o «Ceci  n’est pas une pipe» (1928), dove una riproduzione perfetta di una pipa è accompagnata dalla scritta “questa non è una pipa”. L’invito è sempre quello: non confondere la realtà con l’apparenza, dal momento in cui il quadro in questione non si può fumare o tenere in mano come se fosse una vera pipa. L’utilizzo di caratteri assimilabili all’alfabeto studiato dai bambini nelle scuole elementari francesi non è casuale e marca la facilità con cui i più cadono in inganno. 

René Magritte, Il tradimento delle immagini, olio su tela, 63,5×93,98 cm, 1928-29, Los Angeles County Museum of Art.

Allo stesso anno appartiene il piccolo quadro Les amants, Gli amanti, provvisto delle stesse superfici oniriche dechirichiane e caratterizzato dalla copertura dei volti dei due amanti da due grandi fazzoletti. Tuttavia, si intravedono le sagome dei volti uniti in un tenero bacio. Un bacio che non sembra assaporato solo perché filtrato dai panni bianchi.

Giorgio De Chirico, Ettore e Andromaca, 1917, GNAM, Roma.

In realtà l’immagine, oltre a ricordare i volti dei manichini di De Chirico del famoso quadro Ettore e Andromaca, mi evoca le performance dell’artista bulgaro Christo Yavachev, detto semplicemente Christo (1935), famoso per i suoi “impacchettamenti”.

Christo, perfomance a Milano, piazza Duomo. Foto da blog.urbanlife.org

Le coperture di Christo permettono di riportare all’attenzione dello spettatore distratto monumenti di grande visibilità, solitamente ignorati proprio perché sotto gli occhi di tutti. L’effetto è dunque inverso: invece di nascondere, l’impacchettamento evidenzia, mentre il valore del bene opportunamente occultato aumenta. Così Magritte, nascondendo i veri volti dei due amanti, non fa altro che esaltare l’intensità dell’amore, renderlo universale, puro.

René Magritte, Gli amanti (Les amants), 1928, 54 cm x 73 cm, Moma di New York.

Al di là del perbenismo suggerito dall’abito in giacca e cravatta del personaggio di destra e del sensuale e sbarazzino vestitino rosso del personaggio di sinistra. Notiamo l’amore proprio quando non c’è o, meglio, quando scompare dalla nostra vista.

Nel 1930, dopo alcuni anni trascorsi nella capitale francese, René e Georgette fanno ritorno a Bruxelles, dove prenderanno casa in rue Esseghem di Jette n. 135, dove attualmente sorge la casa museo che porta il suo nome. Qui Magritte produrrà gli oltre 800 quadri della sua instancabile produzione artistica, qui inviterà i suoi amici artisti in occasione di feste e di pranzi, qui ha sede il movimento surrealista belga. Sotto il regime nazista e dopo il 1940, i due si allontaneranno da questa sede e andranno ad abitare a Carcassonne (Francia), salvo poi ritornare una volta finita la seconda guerra mondiale.

René Magritte, Il figlio dell’uomo, particolare, olio su tela, 116×89 cm, 1964, collezione privata.

Agli anni successivi alla guerra appartengono le rappresentazioni dell’uomo con la bombetta e una mela verde. Diventano quasi la firma dello stesso pittore. Come mai quella mela di fronte al volto e perché quel titolo del quadro? L’uomo con la bombetta è lo stesso Magritte. La mela non nasconde perfettamente il suo volto, si intravedono, in parte, gli occhi. Questa mela leggera che sembra librarsi col battito delle sue foglie o attaccata al suo naso è una divertente metafora dell’imperfezione: verde perché acerba, rende imperfetto chi la osserva.

Il figlio dell’uomo è la denominazione di Gesù nelle sacre scritture di origine ebraica. Un Gesù in chiave moderna, imperfetto come uomo e come divinità, sceso sulla terra per cancellare il peccato originale commesso da Adamo ed Eva dopo aver mangiato la mela staccata dall’albero della vita. Simboli presenti nel quadro di Magritte: una mela acerba, amara come le conseguenze di quel gesto, come la vita quando è vissuta nell’incoscienza giovanile.

Magritte è un surrealista impietoso e critico, lontano dal mondo dei i sogni e delle pulsioni inconsce dell’uomo. Muore a Bruxelles il 15 agosto del 1967, mentre si apprestavano gli anni delle contestazioni studentesche.

Salvador Dalí (1904-1989) 

Nasce a Figueras, in Catalogna, nel 1904 e frequenta l’Accademia di Belle Arti di Madrid, ma ne viene espulso nel 1926 per indegnità. E’ da questo momento che si rimbocca le maniche per ravvivare le sue conoscenze negli ambienti intellettuali e Parigi è perfetta per i suoi ambiziosi propositi.  Nella capitale francese, infatti, incontra Picasso, Mirò e Breton. Si lascia affascinare dal pensiero surrealista e comincia un viaggio all’interno della sua anima alla scoperta di pulsioni e desideri non svelati, delle sue visioni oniriche. Lo stesso Freud lo prenderà come oggetto dei suoi studi.

Dalì si spinge oltre ogni moralismo e questi suoi eccessi lo portano ad essere espulso persino dallo stesso gruppo di Breton nel 1934. Questo non fa altro che incrementare il fascino verso la sua figura di artista e di intellettuale. I legami presenti nei significanti delle sue opere seguono uno schema bizzarro che egli stesso definisce “paranoico-critico”. La paranoia, come egli stesso la definisce, è: «una malattia mentale cronica, la cui sintomatologia più caratteristica consiste nelle delusioni sistematiche, con o senza allucinazioni dei sensi. Le delusioni possono prendere la forma di mania di persecuzione o di grandezza o di ambizione». 

L’inconscio tende a gettare nella confusione e nello squilibrio le menti, mentre è il rigor di logica a riportare tutto alla normalità. Per questo Dalì s’ispira ai grandi classici greci e latini e al Rinascimento italiano, alla ricerca della forma espressiva migliore, con l’aggiunta dell’introspettiva psicologica che il Novecento porta con sé come una vera e propria rivoluzione. Attratto dalla figura del pittore seicentesco Diego Velasquez, si lascia crescere dei baffi a sua imitazione: saranno il suo tratto distintivo per tutta la vita.

Il 1929 è l’anno della sua “esplosione” surrealista: dipinge quadri dai contenuti molto spinti e scandalosi e si lega sentimentalmente a Gala Deluvina Diakonoff, già moglie del poeta Paul Eluard. Gala diviene, in breve tempo, la sua musa ispiratrice, la sua principale modella e la sua sposa. La sensualità è al centro dell’attenzione di questo rapporto e della produzione artistica che ne scaturisce.

Dalì segue anche la tecnica delle metamorfosi e, in questo ambito, crea una delle sue raffigurazioni più famose: gli orologi molli (o deformi), in “La persistenza della memoria” (1931).

Salvador Dalì, La persistenza della memoria, 1931, olio su tela, 24 x 33 cm. New York, Museum of Modern Art (MoMa)

Si tratta della visione del tempo secondo Dalì: gli orologi riprodotti sono quelli da taschino con i quali l’uomo si illude di poter controllare il tempo, quando questo non esiste se non come un codice terrestre, utile ma non indispensabile. Il pittore abbraccia la teoria della relatività di Albert Einstein, così come Picasso. Alcune formiche aggrediscono la carcassa dorata di un orologio intatto: questi laboriosi insetti raffigurano la materialità di cui l’uomo si ciba e il fascino erotico dei loro corpi neri e lucidi.

Nel “Sogno causato dal volo di un’ape intorno ad una melagrana un attimo prima del risveglio” l’artista dipinge le sue pulsioni erotiche indirizzate proprio a Gala, attraverso il linguaggio colto delle sue visioni oniriche e simboliche. Le immagini paradossali e fantasiose del quadro sono la conseguenza di una puntura d’ape che il pittore subisce durante una notte, mentre dorme.

Salvador Dalì, Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio, olio su tela, 51 x 41 cm,  1944, El Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

Nell’attimo in cui si risveglia, il suo subconscio emerge lentamente e il pittore cerca di immortalare la sua coscienza in immagini dolorose. Si tratta di un olio su tela che misura 51×40,5 cm, realizzato nel 1944 e che attualmente è esposto al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Gala dorme abbandonata su una lastra di pietra (o di ghiaccio?) mentre la baionetta di un fucile (allusione al pungiglione dell’ape) la sfiora. Dietro al fucile ci sono due api i cui colori ricordano quelli di un’ape, scaturenti dalla bocca di un pesce ispido a sua volta nascente da una melagrana, simbolo di erotismo ma anche di rinascita primaverile, di dolcezza. É il senso della vita che nasce, si sviluppa, muore (melagrana appassita in primo piano). La tecnica dei contrasti attrae lo spettatore verso questa curiosa opera, con la sua nettezza, la bellezza della colorazione, i suoi richiami sensuali, dall’acqua purificatrice al fucile punitore. Sullo sfondo, l’elefante dalle lunghe zampe che cammina sull’acqua e porta sul dorso un obelisco è ispirato all’elefante del Bernini dell’Obelisco della Minerva e rappresenta il peso della nostra memoria, così grande da testimoniare una vita e così leggera da poter svanire da un momento all’altro.

 Dopo il 1939, Dalì si trasferisce negli USA, dove la sua immagine di artista sopra le righe e dirompente cresce a dismisura, racchiudendolo in un personaggio impenetrabile, eccentrico, a volte scostante. É autore di opere stravaganti, come il telefono-aragosta, il divano-labbra di Mae West, il logo delle caramelle Chupa-Chups. Collabora a produzioni cinematografiche con i registi Luis Buñuel, Andy Warhol, Walt Disney. Nel 1942 pubblica La vita segreta di Salvador Dalí, stravagante autobiografia. Dagli anni ’50 in poi si trasferisce nuovamente in Spagna e presta particolare interesse alle nuove scoperte del mondo scientifico, in particolare del DNA e dell’ipercubo.

Famosa la sua Crocifissione (Corpus Hypercubus), dove Cristo è raffigurato sospeso su una croce ipercubica, in una estrema dimensione prospettica, schiacciato dal rigore geometrico quasi magnetico della razionalità. Il corpo sovrasta un mondo-scacchiera dove la Maddalena è la dama di un gioco più grande di lei.

Salvador Dalì, Crocifissione (Corpus Hypercubus), 58,4 × 73,7 cm, olio su tela, 1954, Metropolitan Museum di New York.

Per quindici anni (dal 1965) ha come musa e amante la cantante-soubrette Amanda Lear, di cui curò a lungo l’immagine e il lancio come artista.

Dalì muore a causa di un infarto nella sua stessa città natale il 23 gennaio 1989, all’età di 84 anni.


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