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L’ASCESA ECONOMICA DELLE FIANDRE E LA NASCITA DELLA PITTURA FIAMMINGA

Nelle terre dell’attuale Belgio, dei Paesi Bassi e della Francia, fiorisce l’arte fiamminga fra il XIV e il XV secolo.

L’epicentro della cultura fiamminga coincide con le Fiandre, grande centro di produzione e di scambi di merci del settore tessile. Tuttavia, l’attività commerciale e culturale investe a cascata anche le contee di Artois, Hainaut, Namur, Zelanda, Olanda, i ducati di Brabante, di Limburgo, di Gheldria e il vescovato di Liegi, con riverberi anche sulle regioni dell’area francese, germanica e italiana (1).

Basti pensare che in soli quaranta anni, più di centoquaranta operatori commerciali fiorentini s’impiantano a Bruges, per la produzione di stoffe di lana e di seta. Ad esempio, la famiglia de’ Medici di Firenze ha filiali bancarie a Londra e a Bruges, le cui sorti sono legate alle forti anticipazioni di capitali a favore dei sovrani. Per via dello scoppio della guerra dei trent’anni, la filiale londinese chiude i battenti e il debito è assunto dal banco di Bruges. Qui, da molti anni, si è insediato uno dei banchieri della famiglia Medici, Tommaso Portinari, che si espone notevolmente per forti anticipazioni di capitali fatte al sovrano, ma operando frodi, malversazioni e spese folli allo scopo di elevarsi socialmente. Dopo la politica di espansione di Giovanni de’ Medici, fondatore del banco e amministratore virtuoso (1397-1420), seguono quelle fallimentari di Cosimo (1420-1464), Piero (1464-69) e Lorenzo (1469-1492), con la chiusura di tutte le filiali, dovuta all’eccessiva esposizione di capitali.

Il vero problema è politico: Londra, come Bruges, non concede affari senza prestiti e le Fiandre hanno bisogno della lana inglese, così come l’Inghilterra ha bisogno della lavorazione degli opifici fiamminghi. Cosicché la scarsa attenzione rivolta da Cosimo e, soprattutto, da Piero alla selezione dei direttori di filiale (che si comportano come principi, più che come imprenditori, scrive Machiavelli nelle sue Istorie fiorentine)(2) e alla politica estera (forse perché troppo concentrati sulla crescita economica e culturale di Firenze), comportano, nel corso di tre generazioni, la chiusura totale del banco che vide filiali in tutta Europa (Londra, Bruges, Avignone, Lione, Ginevra, Marsiglia, Venezia, Milano, Pisa, Roma, Firenze) e cinquanta agenti, qualificandosi come la più importante banca del Quattrocento (3). Da non dimenticare anche la sotto-filiale di Napoli, dipendente da Roma insieme alla compagnia degli allumi della Tolfa avuti in concessione dal papa (e in società con il re Carlo il Temerario), indispensabili per il trattamento della lana e di cui i Medici avevano il monopolio (4).

Le attività sono legate non solo al necessario scambio di materie prime ma anche alle attrezzature e alla manodopera, agli istituti finanziari per il deposito e lo scambio di moneta (il fiorino d’oro era il più apprezzato), alle necessità di sovrani, papi, cardinali, signori e confraternite, di denari per i loro affari e di opere d’arte come strumento di propaganda, di potere e testimonianza del tempo.

In pittura, l’arte fiamminga insegue la ricerca della più veritiera rappresentazione della realtà. Anzi, si può dire che il pittore fiammingo cerca di superare la stessa realtà, con la resa più vivida dei colori, la nitidezza delle immagini, la collocazione di una tale moltitudine di oggetti da attrarre l’attenzione dell’osservatore, estasiato da tanta abbondanza e varietà. La profondità della composizione pittorica è creata proprio grazie alla distribuzione di oggetti e figure in progressione, in mancanza di uno studio vero e proprio sulla prospettiva (peculiarità del tutto italiana, in quel periodo). Mentre la cura dei particolari e la lucentezza degli specchi d’acqua, dei cristalli, dei liquidi o dei metalli viene resa attraverso l’innovativo uso della pittura a olio.

Fra le grandi personalità dell’arte pittorica fiamminga ricordiamo Robert Campin, Barthélemy d’Eyck, Jan Van Eyck, Rogier van der Weyden, Jacques Daret, Hans Memling, Dirk Bouts, Petrus Christus, Hugo van der Goes.

DALLE FIANDRE A NAPOLI

Un messinese di origini amalfitane, Evaristo Fiorillo, intraprende un viaggio in Fiandra su galee veneziane, già nel 1423 (5). È solo l’inizio di una felice tendenza che collega tre grandi centri commerciali: Venezia-Messina-Bruges. Le navi veneziane passano da Messina a settembre e fanno ritorno a febbraio dell’anno successivo. Interi gruppi di intermediari messinesi s’imbarcano e portano i capitali di numerosi investitori appartenenti sia al ceto aristocratico sia al patriziato cittadino.

Fra le merci importate ed esportate, ci sono anche quadri e opere d’arte? Sì, è una pratica comune, come vedremo meglio nelle pagine successive.
Giorgio Vasari, storico dell’arte, artista, architetto, fa risalire l’invenzione della pittura a olio al fiammingo Jan Van Eyck da Bruges («Giovanni da Bruggia»), spiegando anche come avvenne il passaggio dalle Fiandre a Napoli:

«I quali artefici, perché vedevano l’opere e non sapevano quello che egli si adoperasse, erano costretti a celebrarlo e dargli lode immortali, et in un medesimo tempo virtuosamente invidiarlo; e massimamente che egli per un tempo non volle da niuno esser veduto lavorare né insegnare a nessuno il segreto. Ma divenuto vecchio, ne fece grazia finalmente a Ruggieri da Bruggia suo creato, e Ruggieri ad Ausse suo discepolo, et all’altri de’ quali si parlò dove si ragiona del colorire a olio nelle cose di pittura; ma con tutto ciò, se bene i mercanti ne facevano incetta e ne mandavano per tutto il mondo a prìncipi e gran personaggi con loro molto utile, la cosa non usciva di Fiandra; et ancora che cotali pitture avessino in sé quell’odore acuto che loro davano i colori e gli olii mescolati insieme, e particularmente quando erano nuove, onde pareva che fusse possibile conoscergli, non però si trovò mai nello spazio di molti anni. Ma essendo da alcuni Fiorentini che negoziavano in Fiandra et in Napoli, mandata a re Alfonso Primo di Napoli una tavola con molte figure, lavorata a olio da Giovanni, la quale per la bellezza delle figure e per la nuova intenzione del colorito, fu a quel re carissima, concorsero quanti pittori erano in quel regno per vederla, e da tutti fu sommamente lodata.» (6)

In questo passo, è importante capire come la sottolineatura «essendo da alcuni Fiorentini che negoziavano in Fiandra» non sia del tutto casuale in merito alle attribuzioni della diffusione della pittura ad olio. Vasari con questa surreale narrazione storica vuole accontentare tutti: i fiamminghi, quali inventori; i fiorentini come distributori; re Alfonso quale patrocinatore e Antonello, vedremo, come primo pittore italiano in grado di replicare le magie di questa «scoperta».

Antonello da Messina, gli inizi

Antonio di Giovanni de Antonio (Messina, 1434/5 – febbraio 1479), detto Antonello da Messina, sembra la cristallizzazione della rivoluzione culturale e artistica che si stava compiendo in tutta
l’Europa del Quattrocento. Un piccolo uomo siciliano che, grazie al suo ingegno e al suo estro, scala le vette dell’olimpo delle arti maggiori.
Come? Perché? Con quali mezzi? Chi lo ha preceduto? Chi lo ha ispirato? E, infine, chi lo ha seguito?
Sono le legittime domande che ogni storico dell’arte si è posto e si pone di fronte a questo singolare fenomeno della pittura italiana ed europea.
Consultando le pubblicazioni d’arte successive alla morte del nostro, emerge come l’idea dell’Antonello «fenomeno» abbia da sempre affascinato cultori e appassionati dal Rinascimento in poi e che ogni secolo abbia avuto una particolare attenzione verso questo artista venuto dal nulla, con una preponderanza intorno al XX e al XXI secolo. Già Giovanni Battista Cavalcaselle (coadiuvato inizialmente da Giovanni Morelli, poi abbandonato), a metà Ottocento si mette sulle tracce dei suoi passaggi sul territorio italico, per capire come potesse spiegarsi questa particolare congiunzione tra diverse nature artistiche e geografiche riunite in un solo pittore. Gli studiosi nominati capiscono subito di trovarsi di fronte a un anello fondamentale della catena che univa due distanti sfere dell’Europa quattrocentesca e che sulle sue orme poteva svelarsi un mondo fittissimo di relazioni tra città fra loro lontanissime (anche in considerazione dei tempi e dei mezzi di trasporto dell’epoca).
Antonello, infatti, permette di parlare di Bruges, Venezia, Genova, Napoli e Messina allo stesso modo.
Il Rinascimento non è solo una rivoluzione stilistica, è il cambiamento radicale di una società che vuole identificarsi in un territorio e cerca sempre nuovi interpreti del proprio mondo. A Firenze, Filippo Brunelleschi è il pioniere di questo passaggio e il grande punto di riferimento di tutti i riformatori della nuova città. La prospettiva scientifica da lui perfezionata permette di misurare questo rapporto tra uomo e natura, e di agevolarne la rappresentazione.

L’urbanistica diventa una questione comunitaria, l’aspetto esteriore della città-domus voluta da una ristretta cerchia di ottimati, cuore pulsante dell’economia locale.
Ma questa oligarchia, a Messina, come anche in altre città medievali, divisa tra feudalità e patriziato (anche straniero), è un corpo solo? Di cosa si occupa e come gestisce la propria attività?
Ce lo domandiamo perché è proprio questo corpo (o questi corpi), insieme alle confraternite laiche e cristiane, alla base della committenza di opere d’arte.

Papa Niccolò V muore nel febbraio del 1431. Con lui, a partire dal 1417, comincia un periodo di riforme successive al Grande Scisma della Chiesa d’Occidente (1378-1417). Messina in quel periodo dichiara la sua piena fedeltà alla Chiesa romana.
Proprio in quegli anni, probabilmente, e in quel clima, nasceva Antonello. Nonostante non siamo in possesso ancora di un documento ufficiale che lo confermi, trovo ragionevole pensare che il pittore sia nato ventuno anni prima della presunta apertura della sua bottega messinese e cioè nel 1435, in relazione al primo contratto di apprendistato firmato con Paolo Ciacio e datato 1456, anche se due documenti notarili potrebbero inverosimilmente spostare la sua nascita al 1423.
Dai documenti ufficiali, alcuni purtroppo non giuntici in originale, possiamo ricavare qualche notizia in più, anche alla luce di ciò che abbiamo ricostruito fino ad ora intorno alla figura del sempre meno misterioso Antonello da Messina e contrariamente alla carenza di informazioni sempre lamentata dagli studiosi.
Il nonno paterno di Antonello, Michele di Antonio, era possessore, nel 1406, di un brigantino di nome Sant’Andrea. A Messina, non circolavano molti brigantini, imbarcazioni utilizzate per i viaggi medio-lunghi. Cosicché possiamo collocare il nostro Michele fra i mercatores che popolano la scena dei primi anni del Quattrocento e che solcano i mari del Mediterraneo da Levante ad Occidente trasportando frumento, panni e legname. Nel documento preso in esame, Michele trasporta legname prelevato dalla Calabria per portarlo a Siracusa. La Calabria, come vedremo più avanti, rappresenterà una grande risorsa per Messina, i suoi mercanti e anche per la famiglia de Antonio.
La prima opera ufficiale di Antonello è del 1457: un gonfalone a libro che raffigura una Madonna con Bambino, da un lato, e la Passione di Cristo con San Michele e il drago, dall’altro. Viene richiesto dalla confraternita di San Michele dei Gerbini di Reggio Calabria, tramite Antonio Malafa di Reggio, sullo stesso stile di quello già eseguito per la confraternita di San Michele a Messina. Questa scelta iconografica mi sembra molto in linea con il momento di grande angoscia vissuto dal mondo cristiano di fronte alla pressione turca a Oriente, ostacolata nella sua avanzata dalle crociate del papa: San Michele e il drago rappresentano l’eterna lotta del bene contro il male. Una chiave di lettura che già avevamo considerato con l’analisi della Deposizione di Quarton, anch’egli molto sensibile nei confronti del grande scisma e dello scontro culturale fra Oriente e Occidente. Si fanno sempre più difficili gli scambi con il Levante e anche Venezia è impegnata nella lotta contro l’infedele a tutela degli interessi propri e delle città portuali sue affiliate, come Messina.
A questa data, Antonello risulta già sposato con Giovanna Cuminella, una giovane vedova con una figlia a carico di nome Caterinella, e, probabilmente, già da un anno padre di Jacobello.
Il dipinto di Antonello doveva già aver fatto proseliti e suscitato emozioni in terra calabra se il giovane Paolo di Ciacio di Mileto (Calabria) chiede di diventare un apprendista del messinese, per tre anni. Dopo solo un anno di lavoro, Paolo si sposa e Antonello lo cita in giudizio per violazione dei termini contrattuali. La questione si risolve in una settimana e lascia Antonello soddisfatto. Siamo nel 1460: Giovanni de Antonio affitta un brigantino di nome Santa Maria della Scala (il nome più comune utilizzato per le barche messinesi), destinazione Amantea (Calabria), per imbarcare Antonello e la sua famiglia (moglie, figli e il fratello minore Giordano), con suocera e servi a carico.
Il brigantino è un veliero di stazza media, utile per il trasporto di piccole comitive con relativo carico di merci e bagagli, snello e veloce, adatto per le medie distanze. Ideale per le tratte intermedie verso la Calabria, la Campania, la Puglia. Credo che Amantea non fosse solo una tappa, bensì una destinazione. Lungo la rotta di cabotaggio tra Messina e Napoli, i porti di rifugio potevano essere, a parte Amantea, anche Paola, Scalea, Salerno o Vietri. Nel 1436, i padri francescani Osservanti di Amantea vi fanno erigere una chiesa dedicata a San Francesco e poi a Bernardino da Siena (1380-1444), proclamato santo nel 1450. Qui fa spesso tappa l’eremita francescano calabrese Francesco di Paola (1416-1507), considerato un taumaturgo. É possibile, visto il particolare momento di crisi religiosa e il fervore mistico della famiglia de Antonio, che Amantea sia stata la tappa di un pellegrinaggio. Oppure la destinazione di un contratto di lavoro, visto che la città calabrese è un porto da dove operatori come Antonio di Amantea, patrono della saettia Santa Maria della Scala, praticano il ritiro di seta cruda per i mercanti messinesi.

Di questi anni è il Cristo in pietà (recto) e Madonna con il Bambino benedicente e un francescano in adorazione (verso) acquistato nel 2003 dalla Regione Siciliana (a Londra, tramite la casa d’asta Christie’s, da un collezionista privato tedesco) e trasferito al Museo Regionale di Messina. Delle dimensioni di un piccolo libro, probabilmente è un’opera creata per la devozione privata. Contestuale dovrebbe essere l’Ecce homo (recto) e il San Girolamo penitente (verso) di New York.



Note:

1 Per un approccio considerevole alla pittura fiamminga, PANOFSKY Erwin, La prima pittura olandese, le sue origini e il suo carattere, Cambridge [1953], rist. 1971.
2 MACHIAVELLI Nicolò, Istorie fiorentine, libro VIII, par. 36.
3 DE ROOVER Raymond Adrien, Lorenzo il Magnifico e il tramonto del Banco dei Medici, in Archivio Storico Italiano, Vol. 107, n. 2, Firenze 1949, pp. 172-185; GOLDTHWAITE Richard A., The Medici Bank and the World of Florentine Capitalism, in «Past & Present», vol. 114, Oxford University Press, febbraio 1987, pp. 3–31; ID., Local banking in Renaissance Florence, in «The Journal of European economic history», vol. 14, 1985, pp. 5–55.
4 DE ROOVER R. A., Lorenzo il Magnifico, cit., p. 180.
5 ASMe, NA, 2, Notaio Tommaso Andreolo, II numerazione, ff. 128v-129r e 129v-130r, rispettivamente del 10 e 19.IV.1423, in FIGLIUOLO B., Alle origini del mercato nazionale. Strutture economiche e spazi commerciali nell’Italia medievale, Udine 2020, p. 116.
6 VASARI Giorgio, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma 2013 [ristampa seconda edizione del 1568], pp. 398-399.


Liberamente tratto da Dario De Pasquale, Antonello da Messina e il suo tempo, ABC SIKELIA Edizioni, 2021.

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